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Child Star: Demi Lovato scoperchia il vaso di Pandora della Disney

Child Star: Demi Lovato scoperchia il vaso di Pandora della Disney

Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? Demi Lovato – attrice e cantante statunitense impegnata da anni nel denunciare i problemi dell’industria disneyana – rilascia il suo nuovo documentario: Child Star. Insieme a Drew Barrymore, Christina Ricci, Alyson Stoner, Raven-Symoné, Kenan Thompson e JoJo Siwa ricostruisce le luci ma soprattutto le ombre del mondo dello spettacolo dei primi anni ‘2000 tra violenza psicologica, omofobia, uso di sostanze stupefacenti e tanto altro.

Una denuncia collettiva

L’impegno di Demi Lovato nel raccontare le contraddizioni e le violenze dell’industria cinematografica per bambini e adolescenti è noto da anni. Nel 2021 l’artista aveva raccontato la sua carriera in Demi Lovato: Dancing With the Devil, soffermandosi in particolare sulla violenza sessuale subita, sui disturbi alimentari e sull’overdose che nel 2019 l’ha quasi portata alla morte. Questa volta si sposta dietro la cinepresa diventando regista – nonché protagonista – di Child Star.

Il documentario è stato inizialmente pensato per YouTube Originals, ma dopo la sua chiusura nel 2022 è stato proposto e accettato da Hulu, che sembra aver dato carta bianca sui temi da affrontare nonostante la partnership con Disney. Lovato ha deciso quindi di ampliare gli orizzonti narrativi: questa volta non si parla solo della sua storia, ma di come vivevano (e in parte vivono) le child star dell’industria cinematografica americana, grazie anche all’intervento di altre personalità dello spettacolo provenienti da Disney Channel e Nickelodeon che hanno avuto esperienze simili. Hanno condiviso la propria storia Drew Barrymore, Christina Ricci, Raven-Symoné, Kenan Thompson, Jojo Siwa e Alyson Stoner. Età e background diversi ma con in comune gli effetti disorientanti che la fama mondiale in giovane età può causare.

Nessuna sosta per i breadwinner

Ciò che accomuna le diverse testimonianze è il ritmo concitato a cui attori e attrici sono stati sottoposti fin dagli inizi della loro carriera, senza considerarne la giovane età. Drew Barrymore (Gertie in E.T. l’extra-terrestre) racconta infatti di aver avuto il suo primo ruolo per il piccolo schermo a 11 mesi e di non aver mai smesso di lavorare da allora. Molte child star sono consapevoli fin dal loro ingresso nell’industria cinematografica di essere i breadwinner, coloro che mantengono le proprie famiglia, soprattutto nel caso di genitori single e/o in difficoltà economiche, come nel caso di Barrymore. Proprio per questo non è concesso loro di fermarsi. Lo racconta anche Raven-Symoné (Olivia in The Cosby Show e protagonista di That’s So Raven), che ha iniziato a lavorare come attrice a 3 anni. I genitori le hanno subito spiegato che il suo ruolo era intrattenere le persone e lei lo faceva anche per guadagnarsi l’affetto della famiglia.

Il lavoro delle child star per il piccolo schermo è messo a rischio da un vuoto normativo. Negli Stati Uniti le leggi sul lavoro minorile a livello federale sono state regolamentate principalmente dal Fair Labor Standards Act (FLSA) del 1938, che disciplina le ore e le condizioni di lavoro per i minori in vari settori. Tuttavia il campo dell’intrattenimento, incluso il lavoro cinematografico, è stato da sempre un’eccezione. Il FLSA non regolamenta rigorosamente il lavoro minorile nell’intrattenimento, che è lasciato alle leggi dei singoli Stati. La maggior parte di essi ha implementato nel corso del tempo delle leggi che stabiliscono limiti orari, necessità di tutor scolastici e protezioni aggiuntive per i giovani attori, ma queste norme variano ampiamente, lasciando molte child star in balia delle case cinematografiche e dell’avidità delle proprie famiglie.

Il ruolo delle famiglie

Il documentario di Lovato mostra due tendenze. Da un lato ci sono le famiglie che spingono i propri figli a lavorare a ritmi frenetici nell’industria dello spettacolo per poterne trarre denaro e prestigio. Una vera e propria capitalizzazione di minori. Dall’altro ci sono bambini e adolescenti che si sentono geek, estranei rispetto ai pari e con forti fatiche relazionali, che quindi trovano nel cinema il luogo ideale in cui estraniarsi. Christina Ricci (Mercoledì ne La Famiglia Addams) racconta di aver avuto grossi problemi a scuola all’età di 7 anni e di aver trovato nelle audizioni uno spazio in cui rifugiarsi – anche dalla vita domestica: il padre era il leader di una setta – e in cui dimostrare di avere talento.

Il fenomeno viene messo in parallelo con quanto accade oggi sui social media: giovani content creator che devono o desiderano iper performare per mantenere i numeri alti e adulti che li utilizzano per trarne profitto. Questo accade soprattutto nel campo del beauty, dove madri e figlie si truccano insieme per ottenere migliaia di visualizzazioni. Inoltre il lavoro sui social è ancor meno coperto dal punto di vista legale e i rischi per le celebrità minorenni aumentano. Proprio per questo l’attivista Chris McCarty, insieme ad alcuni membri del Congresso, sta elaborando a una proposta di legge per tutelare i minori che si espongono sui social e ne traggono un guadagno.

The Worst of Both Worlds

Le giovani promesse della televisione iniziano ben presto a vivere in una sorta di realtà alternativa. C’è la vita sul set e c’è la vita fuori dal set ed entrambe comportano delle grosse fatiche quando le star sono così giovani. The Worst of Both Worlds, per riprendere un brano di Hannah Montana.

Quelle che frequentano ancora la scuola si vedono ben presto relegate a una condizione di forte isolamento. Ricci spiega che ha subito capito di non poter raccontare il suo lavoro come attrice alle compagne di classe, perché non le credevano. Lovato, invece, narra il forte bullismo subito: scritte denigratorie sui muri, insulti e addirittura una petizione firmata dagli studenti della sua scuola per invitarla al suicidio.

Il celebre caso del “monello” Jackie Coogan

Nemmeno la vita nell’industria dell’intrattenimento, però, è facile e garantisce sicurezze economiche. Anche se le child star hanno stipendi da favola, capita che i membri delle loro famiglie se ne approfittino. Celebre è il caso di Jackie Coogan, che nel 1921, a 7 anni, fu protagonista del film di Charlie Chaplin Il monello. Pur avendo guadagnato milioni di dollari, quando raggiunse la maggiore età scoprì che la maggior parte del denaro accumulato era stata spesa dalla madre e dal patrigno. La conseguenza fu una battaglia legale che Coogan vinse, riuscendo però a recuperare solo una piccola parte della sua fortuna.

Questo scandalo portò alla creazione del Coogan Act o California Child Actor’s Bill nel 1939, una legge californiana che imponeva ai datori di lavoro di mettere da parte una percentuale dei guadagni di un attore minorenne in un fondo fiduciario, noto come Coogan Account, a cui il minore avrebbe avuto accesso al raggiungimento della maggiore età. Non essendo una legge federale, ci sono Stati degli USA che restano scoperti. Kenan Thompson infatti racconta che un truffatore si è avvicinato alla sua famiglia durante la sua attività per Nickelodeon ed è riuscito a sottrarre gran parte dei suoi stipendi. Una situazione simile viene narrata da Alyson Stoner (Caitlyn in Camp Rock), che al microfono del podcast Dear Hollywood già da tempo denuncia il dietro le quinte oscuro e traumatico dell’industria cinematografica

Disney Channel fever

The Cheetah Girls, High School Musical, Hannah Montana, Camp Rock. Sono solo alcuni degli show che hanno contribuito a costruire il mito delle teenager pop star. Mostrano a un pubblico, soprattutto di ragazze adolescenti, come il successo sia possibile. Quasi a portata di mano se ci si impegna abbastanza. Non a caso nel 2010, dopo il successo di Camp Rock 2, anche in Italia è stato organizzato un campo estivo chiamato My Camp Rock con lezioni di musica e di performance e la vincitrice – Martina Russomanno – ha avuto la possibilità di duettare con Joe Jonas.

Nei primi anni ‘2000 si è creata una vera e propria Disney Channel fever. Chi voleva perseguire la carriera attoriale o musicale cercava in tutti i modi di entrare in questo universo. Perché era l’unico che permetteva una fama mondiale in giovane età. Anche fuori dagli USA si è replicato un meccanismo simile con i remake dei film Disney per adolescenti più famosi. High School Musical, ad esempio, è stato riproposto in chiave argentina, messicana e brasiliana con il titolo El desafío. In Italia è stata portata nei teatri un’edizione interamente doppiata.

Child star: un fenomeno recente

Eppure il fenomeno delle child star è abbastanza recente. Anche se gli attori bambini sono presente nella storia del cinema fin dagli albori (come Shirley Temple negli anni ’30, modello sia per Lovato che per Barrymore ), l’idea di realizzare contenuti per bambini e adolescenti con protagonisti coetanei è diventata più comune verso la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Il canale televisivo Nickelodeon ha giocato un ruolo chiave in questa evoluzione.

Negli anni ’90, infatti, ha realizzato una serie di sondaggi e ricerche di mercato per capire cosa piacesse al suo giovane pubblico. Il risultato: adolescenti e bambini voglio vedere personaggi della loro stessa età, con cui identificarsi. Non più adulti che hanno uno stile di vita diverso dal loro. Le reti televisive si sono quindi rese conto del grande potenziale di questo pubblico e hanno iniziato a creare programmi specifici per minori, assumendo in modo massiccio attrici e attori sempre più giovani. Sia Disney Channel che Nickelodeon hanno colto al balzo tale possibilità, facendosi concorrenza a vicenda. Per le child star questo significava dover estremizzare la propria appartenenza al canale. Lo staff di Disney Channel aveva il compito di mantenere viva un’immagine pulita e in regola. Nickelodeon, invece, puntava su atteggiamenti più disordinati – ma non troppo – e anticonformisti.

Merchandising: le persone diventano prodotti

I film in cui le child star hanno recitato non erano mai solo dei film, ma fonti perfette per generare ogni tipo di merchandising. Nel documentario di Lovato lo rende evidente JoJo Siwa, che ha rilasciato numerose canzoni per Nickelodeon e ha visto il proprio volto su ogni tipo di prodotto. Dalle magliette alle bath bomb, dalle lenzuola agli accessori per capelli. Ben presto le child star smettono di interpretare il personaggio di uno show e vengono presentate con il proprio nome. Diventando un vero e proprio brand.

Proprio per questo cresce a dismisura l’attenzione verso l’immagine che le attrici e gli attori portano davanti alla telecamera. Non solo durante le riprese dei film. Ma anche nelle conferenze stampa, nelle interviste e nella vita privata. Lo racconta Alyson Stoner, ricordando lo stupore e la perplessità provati nel vedere le fotografie promozionali per il tour europeo di Camp Rock.

In post produzione, infatti, sono stati ritoccati i volti del cast manipolando alcuni aspetti che “non sapevo nemmeno fossero dei difetti”. La forte pressione ha generato anche in questo caso dei disturbi alimentari. Molto frequenti tra le e gli adolescenti che raggiungono una fama di tali dimensioni. Sia Lovato che Stoner ne parlano apertamente in Child Star. Ma non sono le uniche. Molto noto è anche il caso di Zayn Malik. Che ha sofferto di disturbi del comportamento alimentare mentre faceva parte della boyband One Direction.

Star prosciugate fino all’esaurimento

Un aspetto del dietro le quinte dell’industria disneyana già denunciato da Lovato ma anche da Miley Cyrus in Used To Be Young è il ritmo frenetico e per nulla sano a cui gli artisti sono sottoposti. La protagonista di Camp Rock racconta di aver, in pochi mesi, girato il film, due programmi televisivi e organizzato il tour a livello mondiale. In alcuni casi non c’erano ore disponibili nella sua schedule giornaliera per dormire.

Lo stress e l’ansia da prestazione erano talmente alte da generare delle forti amnesie. Sia Lovato che Stoner che Raven-Symoné raccontano di non ricordare nulla di interi progetti. Come se non li avessero mai realizzati. Perché continuassero a stare al passo – si illustra nel documentario – capitava che venissero offerte delle sostanze stupefacenti o dell’alcool alle child star. Barrymore racconta che la prima volta che le è stata data della marijuana aveva 10 anni ed era insieme a degli amici della madre. Anche Ricci ha fatto uso di alcol e sostanze stupefacenti, viste come unico modo per trovare un po’ di felicità.

Lovato riferisce che Disney controllava in modo ossessivo il modo in cui gli attori venivano visti dal pubblico. Ad esempio non potevano farsi riprendere tenendo in mano i tipici bicchieri rossi americani per non dare l’impressione di bere alcolici. Eppure si chiudeva un occhio quando, fuori dallo sguardo delle telecamere, si assumevano sostanze di ogni tipo. Solo dopo quello che viene tutt’ora chiamato “l’incidente” – l’episodio in cui Demi Lovato picchiò la ballerina Alex Welch nel 2010, mentre era in tour con i Jonas Brothers – l’azienda ha deciso di intervenire.

Modelli di moralità

Con il successo che i prodotti firmati Disney Channel e Nickelodeon stavano avendo e la crescita anagrafica delle child star, nel secondo decennio del ‘2000 l’industria compie una virata trasformando attrici e attori in role model e sottoponendoli a regole precise su ciò che dovevano comunicare della propria vita privata.

Siwa racconta la reazione durissima di Nickelodeon al suo coming out. Era inaccettabile che una child star parlasse apertamente del suo orientamento sessuale. Si è quindi vista chiudere le porte dell’industria e dei brand con cui collaborava da anni. Raven-Symoné è stata posta davanti alla possibilità di lasciare il mondo dell’intrattenimento quando – solo nell’ambito – si è saputo della sua queerness. Il coming out pubblico è stato ben più avanti, nel 2013, quando aveva ormai 28 anni.

Per promuovere modelli per altri adolescenti, è stato elaborato anche uno specifico modo di vestirsi: colori brillanti, fantasie non abbinate e soprattutto stratificazione. Si indossavano strati su strati di vestiti, lasciandoli intravedere tutti: leggins o jeans sotto le gonne, top sopra le t-shirt, giacche, sciarpe, etc. Cathryn Wagner, che ha lavorato come costume designer per Disney Channel, ha spiegato che il tutto faceva parte di una precisa strategia estetica.

Innanzitutto i colori dovevano essere accesi perché gli show televisivi avevano bisogno di tenere alta l’attenzione di un pubblico abituato ai cartoni animati. La stratificazione degli abiti serviva invece per adattare gli outfit in voga ad attori e soprattutto attrici così giovani. I tipici jeans indossati sotto le gonne servivano per mantenere l’abbigliamento modesto e un po’ infantile, mantenendo l’aspetto giovane anche quando le child star crescevano.

Il purity ring alle dita delle child star

Più Disney Channel che Nickelodeon – per via della diversa immagine che volevano trasmettere al pubblico – insisteva sull’innocenza delle attrici e degli attori. A cavallo del 2010 era usuale vedere un purity ring alle dita delle child star. Miley Cyrus, Selena Gomez, tutti e tre i Jonas Brothers, Demi Lovato e Hilary Duff sono solo alcuni dei nomi dello spettacolo che sono stati spronati a indossare delle fedi con scritte come “Love Waits” per indicare il loro impegno all’astinenza dal sesso fino al matrimonio. Per gli adolescenti in pieno successo mondiale era un ulteriore standard da rispettare per continuare a lavorare, per le aziende una via per aumentare i profitti.