Perché questo articolo potrebbe interessarti? In Italia si va verso un inverno demografico, una fase di profondo decremento della popolazione. La denatalità è un problema presentato quasi esclusivamente come nocivo per il mercato del lavoro, ma che in realtà ha a che fare con molte altre dinamiche. A partire dal profondo squilibrio tra nord e sud.
Il tema della denatalità è oggetto di numerosi dibattiti. In Europa, e in Italia in particolar modo, si parla di “inverno demografico”. Un’espressione volta a indicare la costante diminuzione della popolazione non solo nel contesto attuale ma anche, in prospettiva, nel lungo periodo. Una circostanza che ovviamente non manca di causare allarmi. Meno persone vuol dire meno capitale umano. E quindi gravi danni per l’economia. Ma è davvero così? A un inverno demografico corrisponde per davvero un inverno economico?
L’andamento demografico a livello globale
La popolazione dell’intero pianeta sta aumentando. Ma non è vero che, contrariamente a quanto si crede, solo i Paesi occidentali hanno problemi relativi alla decrescita demografica. In Cina ad esempio, per la prima volta dal 1961 il saldo tra nascite e decessi è stato negativo. Nel 2022 nel Paese del dragone sono nati 9.5 milioni di bambini, ma sono morte più di dieci milioni di persone. Un trend che tra non molti anni coinvolgerà anche l’altro gigante asiatico, ossia l’India. Nelle zone urbane, nel 2022 il numero medio di figli per donna è sceso sotto quota 2. Cifra quest’ultima considerata essenziale per mantenere, nelle successive generazioni, quantomeno stabile il numero di abitanti. New Delhi assisterà, considerando il trend degli ultimi decenni, a un incremento della popolazione fino a toccare l’apice nel 2047. Successivamente inizierà una decrescita.
“In gran parte del mondo – si legge nelle relazioni di Massimo Livi Bacci, statistico ed esperto di demografia – la riproduttività è attorno o sotto i due figli per donna”. Numeri che fanno pensare a un cammino verso una globale stazionarietà della popolazione entro la seconda parte del secolo. In poche parole, dopo una fase molto lunga che ha fatto registrare un crescita molto veloce della popolazione, si virerà inevitabilmente verso il picco e poi verso una stazionarietà o addirittura un decremento degli abitanti del pianeta.
Questo potrebbe far “respirare” la Terra, dove si è alla continua ricerca di nuove risorse. Tuttavia c’è un elemento da tenere in considerazione e che riguarda le differenze tra le varie aree del pianeta. In Africa si arriverà a breve a contare circa due miliardi di persone, in Europa già da tempi il decremento è ben visibile. Come anche nei Paesi dell’estremo oriente come Giappone e Corea del Sud.
Perché si parla di inverno demografico e denatalità in Italia
Nel nostro Paese il tasso di riproduttività è di 1.3 figli per donna. Sotto quindi la soglia di 2 che garantisce il rimpiazzo generazionale. Vuol dire che se già oggi l’Italia ha un deficit tra nascite e decessi, nei prossimi decenni la popolazione è destinata a diminuire ulteriormente. Il nodo della discussione delle ultime settimane sta proprio qui. Fermo restando che a livello globale il trend è quello di una media di nascite che renderà stazionario o minore il numero di abitanti della Terra, il mancato rimpiazzo nel nostro Paese potrebbe rendere questa decrescita insostenibile sia a livello sociale che economico. Dal 2014 in poi, tra le altre cose, anche la popolazione di origine straniera in Italia non ha un tasso di natalità tale da sopperire al generale deficit negativo.
La cruciale differenza tra nord e sud
L’allarme per il nostro Paese è quindi concreto. “Per l’aspettativa di vita l’Italia è al terzo posto nel mondo, ma è al 180° posto per natalità – scrive ancora Livi Bacci sul sito dell’università Tor Vergata – La combinazione di queste tendenze avrà conseguenze allarmanti per la stabilità economica e sociale del nostro Paese, in particolare per le pensioni e la sanità pubblica”. Ma per gli effetti sul mercato del lavoro, il discorso è un po’ più complesso. La questione non è soltanto relativa alla quantità di persone che verrebbe a mancare, quanto alla qualità. E in Italia il problema principale al momento riguarda la fuga dei cervelli, prima ancora che le mancate nascite.
In tal senso, l’attuale inverno demografico rischia di acuire le distanze tra nord e sud. Il mezzogiorno non solo sta affrontando il calo delle nascite, ma sta subendo anche una continua emigrazione verso il nord. A differenza del dopoguerra, l’attuale emigrazione ha altra natura. Non si tratta di manodopera che invia alle famiglie del sud le rimesse. Al contrario, si tratta di studenti o di lavoratori specializzati. I quali o spendono nel settentrione il proprio reddito oppure, come nel caso degli universitari, vengono mantenuti dai soldi che arrivano dal sud. In poche parole, il mezzogiorno rischia di diventare nel giro di pochi anni più svuotato e molto più povero.
Tre milioni in meno in dieci anni
Secondo l’Istat, nel 2040 l’Italia perderà 2.9 milioni di abitanti rispetto a oggi. Di questi, due milioni riguardano la popolazione del sud, 0.9 invece è distribuito tra centro e nord. Se si aggiunge che il tasso di fecondità nel meridione è inferiore rispetto al settentrione, il quadro è drammaticamente chiaro: nel nord Italia l’impatto dell’inverno demografico potrà ancora essere attutito e sostenibile. Questo grazie anche alle risorse umane che arrivano dal sud. Mentre nel mezzogiorno più che di inverno demografico, si rischia di dover parlare di vera e propria desertificazione.
La lezione che arriva dal nostro Paese è quindi di vitale importanza per capire cosa comporta il decremento demografico. Esso appare come un processo quasi fisiologico a livello globale, dopo tanti anni di crescita. Nell’ottica della sostenibilità del mercato del lavoro, è un processo che può essere assorbito e governato. Il problema risiede nella disparità del fenomeno: in alcune zone, più che in altre, quantità e qualità delle perdite di capitale umano rischiano di incidere significativamente sulla tenuta della società.