Perché questo articolo potrebbe interessarti? In Turchia si andrà al ballottaggio. Il primo turno, straordinariamente partecipato con l’affluenza che sfiora il 90%, non ha portato a un vincitore. Ecco quello che il voto turco mostra davvero.
Recep Tayyip Erdogan è in vantaggio, ma non ha superato il 50%. Lo sfidante Kemal Kilicdaroglu, il candidato unitario delle opposizioni, è in partita con 5 punti di scarto. Si deciderà tutto il 28 maggio. Ma cosa ci dicono davvero le elezioni in Turchia? True-news.it ha intervistato Alessandro Albanese Ginammi, ricercatore di Storia economica all’Università per stranieri di Perugia. Abbiamo chiesto a uno dei massimi esperti del paese, autore del libro “La promessa sospesa. Italia e Turchia dalla nascita della CEE all’Accordo di Ankara (1957-1963)“, un’analisi del voto turco.
Dottor Ginammi, cosa ci dice il primo turno del voto in Turchia?
Ci dice che la partita è aperta. Erdogan è forte nelle regioni centrali, ma è circondato nelle regioni periferiche. Il tema dei brogli ha reso ancora più infuocata la domenica del voto. La campagna elettorale si è incendiata sulla questione economica, con l’aumento del costo della vita, inflazione e politica monetaria che hanno fatto perdere punti a Erdogan. C’è un problema storico della bilancia dei pagamenti in deficit. E’ stato un voto sulla politica monetaria. La dipendenza della Turchia da Usa, Nato, Ue e Fmi ha pesato sul voto. Ma anche il terremoto ha inciso. La politica edilizia, insieme col boom economico, era uno dei fiori all’occhiello della “Erdonomics”. Le accuse di corruzioni e la politica degli aiuti selettiva – solo alle province amiche – ha creato malumore. Si è vista finalmente un’elezione vera, dove ce la si giocherà al ballottaggio.
Come pensa che andrà a finire il ballottaggio del 28 maggio?
La mia sensazione è che Erdogan sia favorito. E’ impossibile fare una previsione certa, anche per le dinamiche in cui l’opposizione presidia i seggi. Se la sono presa con l’Agenzia Anadolu, che aveva annunciato il vantaggio netto di Erdogan. Lo spoglio è ancora in corso, perchè ci sono grossi ritardi per i riconteggi e verifiche. C’è paura di perdere, anche da parte di Erdogan. Che però resta favorito: ha più di cinque punti di vantaggio su Kilicdaroglu. Ci sono poi i voti del terzo candidato, Sinan Ogan che ha ottenuto il 5%. Il leader del partito nazionalista Alleanza ancestrale è in rotta di collissione con Erdogan, ma difficilmente i suoi elettori voteranno le opposizioni al ballottaggio.
Dopo un ventennio di Erdogan, la Turchia è una vera democrazia?
Queste elezioni sono un bel test. Un voto conteso e con strascichi pesanti non è una novità in Occidente. Basti pensare alle conseguenze del voto in America nel 2020. Se la Turchia riuscirà a far accettare la sconfitta al perdente, potrà recuperare lo status di democrazia. Una condizione che aveva perso dopo il golpe del 2016, quando il paese si era trasformato in una repubblica autoritaria. Erdogan governa perchè vanta un grande consenso: almeno metà del paese lo ha votato. E questo voto pesa particolarmente, perchè l’89% di affluenza dimostra che la democrazia in Turchia gode di una società civile attiva e partecipe.
E’ possibile scalzare dal potere un “dittatore”, questa è la definizione che Draghi affibbio a Erdogan solo un anno fa?
Quantomeno è pensabile. Il tutti contro Erdogan di un’opposizione che si è compattata, coinvolgendo anche i curdi, è una dimostrazione di forza. Le chance sono abbastanza al lumicino, ma ci sono.
Alla vigilia si ipotizzava un esito differente. I sondaggi in un paese come la Turchia sono attendibili?
I sondaggi non sono particolarmente attendibili, ma non accade solo in Turchia. Dipende molto dal gioco delle parti. E dal fatto che i mezzi d’informazione in Turchia dopo il golpe non sono più liberi. Mentre i media occidentali danno sempre letture da prendere con cautela. C’era un clima di speranza, che forse sovrastimava la vittoria di Kilicdaroglu.
Che lezione trae l’Italia dal voto in Turchia?
Questo voto insegna che le questioni importanti sono due. In primis, la questione economica. L’Italia come la Turchia, si trova a rinegoziare presiti con enti stranieri, e l’esito del voto turco ha mostrato che sono trattative fondamentali anche per l’elettorato. Una gestione non solida dell’economia ha un peso enorme. L’altra questione cruciale è quella dei diritti. Kilicdarogluha riaperto la questione dei diritti, vorrebbe recuperare questo status. A conti fatti, però, ritengo che sul voto in Turchia abbia pesato maggiormente la questione economica. Una lezione da non dimenticare anche in Italia.
Come cambieranno le relazioni Italia-Turchia?
Il rapporto tra i due paesi è fortissimo dal secondo dopoguerra. Abbiamo un volume commerciale enorme e tante azienda – Unicredit e Pirelli su tutte – che sono player fondamentali in Turchia. L’assetto internazionale della Turchia non verrà stravolto, ma le relazioni potrebbero migliorare con una leadership rinnovata.