Perché questo articolo potrebbe interessarti? In un comizio in Sicilia, alla vigila delle amministrative, Giorgia Meloni ha dichiarato che l’evasione fiscale la fanno le grandi aziende. Mentre se il fisco si rivale sui piccoli commercianti è “pizzo di Stato”. I conti però non tornano. Anzi, i dati ufficiali del Ministero dell’Economia smentiscono in pieno la versioni della premier sugli evasori in Italia.
“La lotta all’evasione fiscale si fa dove sta davvero l’evasione fiscale: le big company, le banche, le frodi sull’Iva. Non il piccolo commerciante al quale vai a chiedere il pizzo di Stato“. Parola di Giorgia. In un comizio elettorale alla vigilia delle amministrative, lo scorso 26 maggio. Più che la data a ridosso di un’elezione – tutt’altro che cruciale – a colpire è il luogo da cui proviene il discorso della premier sul “pizzo di Stato”: Catania.
Con gli evasori i conti di Meloni non tornano
Si sono spesi fiumi di inchiostro sull’opportunità del riferimento al “pizzo” in una terra martoriata dalla mafia come la Sicilia. Per giunta da parte di una delle massime cariche dello Stato come Meloni. Che ha perfino l’aggravante di aver dichiarato di “aver iniziato a fare politica il giorno dopo la strage di via D’Amelio“.
A far crollare l’impalcatura del discorso di Giorgia Meloni sul rapporto tra Stato e contribuenti è però un altro punto, ben più sostanziale che formale. Se la metafora del pizzo – come ha scritto Luciano Capone su Il Foglio – eleverebbe in automatico la Presidente del Consiglio a “Capa dei capi” della presunta “Cupola” che esige il “pizzo di stato”, la realtà dei fatti, messa nero su bianco da documenti ministeriali, inchioda la versione della premier sulla reale natura degli evasori in Italia.
La Relazione annuale del governo che mostra gli evasori in Italia
Per cercare “dove sta davvero l’evasione fiscale” non bisogna cercare tra le big company, ma guardare proprio a quei piccoli evasori che Meloni vorrebbe liberare dal pizzo. La realtà dei fatti è svelata dalla “Relazione annuale sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva”. Un documento che ogni anno il governo – non ultimo quello di recente insediamento targato Meloni – presenta insieme con la Nadef. Si tratta di una relazione scritta da una commissione di esperti di finanza, lavoro e statistica; e che quantifica quanto l’evasione delle imposte e dei contributi previdenziali in Italia.
Ecco che il documento del Ministero di Economia e Finanza smentisce la versione della premier sugli evasori. Anche nel nostro paese vige un principio di proporzionalità inversa tra la grandezza di un’azienda e l’evasione fiscale. Nelle grandi imprese impersonali la rendicontazione degli incassi è un processo di contabilità e controllo interno. Mentre per lo sterminato esercito di piccole e medie imprese – spesso a conduzione familiare – le possibilità di evadere aumentano.
Evasione in calo, non certo grazie alle Pmi
Secondo i dati più aggiornati del ministero, nel 2019 l’evasione fiscale ammontava a oltre 79 miliardi di euro, considerando imposte come l’Irpef, l’Iva, l’Ires e l’Irap. La cifra sale a 89 miliardi di euro aggiungendo l’evasione dell’Imu, delle accise, del canone Rai e dei canoni degli affitti. L’evasione dei contributi previdenziali, a carico dei dipendenti e dei datori di lavoro, ammontava invece a circa 12,7 miliardi di euro. Nel complesso l’evasione fiscale e contributiva era stimata dunque intorno ai 99,7 miliardi di euro, in calo rispetto agli oltre 106 miliardi di euro del 2015.
I dati della Relazione mostrano come nel 2020 l’evasione Irpef da lavoro dipendente è di 3,8 miliardi, mentre l’evasione da lavoro autonomo e impresa di 28,3 miliardi. Sempre secondo la stessa relazione, la propensione all’evasione è del 2,4 per cento per i dipendenti e del 69,7 per cento per gli autonomi. La propensione all’evasione dell’Ires, l’imposta sui redditi delle società, è del 24 per cento (ma va considerato che l’Ires la pagano non solo le multinazionali, ma anche tantissime piccole imprese). Meloni parla di “truffe sull’iva”, come se riguardassero le multinazionali. Nel confronto europeo dell’evasione Iva, l’Italia ha un tax gap del 20,8 per cento, simile alla Grecia (19,7 per cento), mentre quello della Francia è all’8 per cento e della Germania al 4,8 per cento. Non è un caso che Italia e Grecia abbiano un tessuto produttivo con molte più Pmi e più evasione Iva, mentre Francia e Germania abbiano molte più big company e meno evasione Iva.
La prova dell’Irpef
Come evidenzia anche un fact checking di Pagella Politica, un quinto dell’Iva potenziale viene evasa (il 20,4 per cento nel 2019), per un totale di 31,8 miliardi di euro. Buona parte dell’evasione dell’Iva deriva dalle piccole transazioni, come quelle del commercio al dettaglio, che sono semplici da non dichiarare al fisco. C’è poi una cifra che rende bene l’idea di chi non paga le tasse in Italia. L’evasione dell’Irpef da parte dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese. Secondo le stime del ministero, nel 2019 sono stati evasi 32,5 miliardi di euro di Irpef da lavoratore autonomo e di imprese. I lavoratori autonomi e le piccole imprese, infatti, non pagano in media il 69 per cento delle imposte sul reddito che dovrebbero pagare allo Stato ogni anno (una percentuale che nel 2015 era pari al 65 per cento). Ecco dove sta veramente l’evasione in Italia.