Non è un film di fantascienza, ma uno sguardo approfondito su come sarà il lavoro nel futuro. After Work in uscita il 15 giugno. Intervistando quattro lavoratori diversi di Corea del Sud, Usa, Italia e Kuwait, il regista italo-svedese Erik Gandini pone in primo piano le implicazioni che l’intelligenza artificiale porterà nel mondo del lavoro, alla luce della scomparsa di diverse professioni, per lo più manuali, nel prossimo decenni. Il docu-fim stimola domande esistenziali, che non dobbiamo immaginare come qualcosa di utopico e lontano del nostro presente: che ruolo ha il lavoro nella vita di ogni individuo? L’intelligenza artificiale contribuirà a dare ad ogni lavoratore un maggiore spazio di tempo libero nell’arco delle sue giornate? Permetterà la riduzione dello stress che impregna sempre di più i ritmi veloci della società?
Il documentario sul nuovo mondo del lavoro
Dal documentario emergono diverse problematiche sociali, alcune anche antitetiche. Come ricorda il sociologo Luca Ricolfi, tra i problemi sociali più importanti in Italia è il fenomeno dei NEET (Not in Education, Employement or Training). Circa il 30% dei ragazzi non lavora, non studia e non è in formazione. Il numero di NEET è proporzionale all’eredità attesa, infatti una famiglia tipo ha un patrimonio dell’ordine di 400 mila euro. Inoltre, è importante considerare la quantità di eredi su cui questo patrimonio si spalma, perchè una donna italiana fa in media 1,2/1,3 figli.
La principale attività di questi giovani, che scelgono la disoccupazione volontaria, sono i riti collettivi notturni (come la discoteca). Anche se il 15/20% dei dipendenti sono soggetti a condizioni lavorative vicino alla “schiavitù”, una condizione del lavoratore medio italiano molto positiva è, come sottolineato nell’opera di Erik Gandini, che noi italiani sappiamo vivere e usare il tempo libero.
Totalmente contraria alla nostra è la concezione del tempo libero in Corea del Sud e Stati Uniti. La potenza economica e informatica dell’Asia vive un problema sociale unico, al punto che il governo ha adottato la politica del PC-off. Alle 18 i computer vengono automaticamente arrestati. Questo, e altre campagne pubblicitarie, sono nate per fronteggiare lo stacanovismo performativo, dove l’impiegato diventa devoto al lavoro, creando una sorta di dipendenza. Nonostante si siano raggiunti miglioramenti, resta alto il tasso di suicidio, cancro allo stomaco, la sindrome cervicale, famiglie infelici e una media di 4/5 ore al giorno di sonno. Gli Stati Uniti affrontano problematiche tutt’altro che distante, con oltre 578 milioni di ore di ferie a cui hanno rinunciato il 55% dei salariati americani.
L’illusione del lavoro
Come sostiene un intervistato “a noi americani piace creare l’illusione di importanza, alimentata da impegno e lavoro. Il lavoro è al centro di tutto”. Questa concezione calvinista è alla base di un’etica del lavoro puritana che vede la salvezza dell’anima attraverso il lavoro. Il quadro più ambiguo è sicuramente il Kuwait, un paese povero prima della scoperta dell’oro nero, che ora affronta un problema dovuto a un’economia esclusivamente basata sull’esportazione del petrolio.
Come viene raccontato dagli stessi lavoratori del settore pubblico intervistati, in Kuwait c’è un eccesso di personale, al punto che il lavoro si trasforma in una farsa. Molti dipendenti che vengono pagati per guardare Netflix. Nonostante, la popolazione sia generalmente ricca e abbia tempo a disposizione, non viene fatto alcuno sforzo per approfondire e intensificare l’umanità. La popolazione è depressa, frustrata e arrabbiata, e non trova uno scopo o senso di vita. Le responsabilità e i lavori che i kuwaitiani si rifiutano di fare vengono scaricate sugli immigrati; ad esempio ogni casa ha almeno due domestiche.
Pareri importanti sul futuro del lavoro
Il lavoro rappresenta l’individuo, e non è ovviamente visto universalmente come un piacere. Nel documentario vengono evidenziati tre categorie. I lavoratori impegnati (il lavoro li fa sentire bene e sono il 15% al mondo), non impegnati (non sono emotivamente impiegati) e attivamente disimpegnati (c’è di base una frustrazione e compromettono gli sforzi del lavoratori impegnati).
Diverse sono le riflessioni sul futuro espresse da Elon Musk. Per il fondatore di Tesla ci saranno sempre meno lavori che un robot non possa fare meglio. Il vero tema del ventunesimo secolo sarà la battaglia contro l’irrilevanza (“che è peggio di essere sfruttati”). Una soluzione del magnate sudafricano è l’istituzione di un reddito di base universale, che potrebbe aiutare il lavoro creativo. Opposta è l’opinione di Janis Varoufakis. L’ex Ministro delle finanze greco sostiene che si tratterebbe di dare soldi a chi non lo merita.
Nuovi interrogativi sul mondo del lavoro
Il film si apre con una riflessione sul lavoro, che viene dichiarato uno dei massimi traguardi della vita. Ai giovani il miglior consiglio da dare è di prepararsi alla nuova esperienza. “Passare l’esistenza alla mercè di un padrone“. Il racconto si chiude ponendo delle domande agli intervistati. “Qual è il tuo scopo nel mondo?”. “Se tu avessi uno stipendio mensile senza lavorare, cosa faresti?”. Interrogativi che rimangono senza risposta. Ecco come l’autore Erik Gandini affronta un tema sociale significativo. Il regista svedese classe 1967 torna con una nuvo documentario, dopo Videocracy – Basta apparire. Un’analisi sul potere della televisione e la sua influenza sui comportamenti e sulle scelte della popolazione. Quanto mai attuale.