Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? Il Milano Pride si avvicina e, come ogni anno, torna in auge l’accusa di rainbow washing. La manifestazione dà eccessivo spazio a sponsor che mirano solo al proprio interesse o media tra la necessità di finanziamenti e l’aspetto etico? Dove vanno a finire i fondi degli sponsor?
Tra gli aspetti contestati del Milano Pride c’è la partnership con diversi brand – spesso multinazionali – che non sono celebri per la tutela delle categorie marginalizzate. È una critica che torna ciclicamente ogni anno e che si scontra con la necessità di fondi per la manifestazione.
Un Pride brandizzato
Da parte degli sponsor privati le donazioni sono senza dubbio notevoli, tanto da permettere loro di avere dei carri propri durante la parate e una buona dose di pubblicità all’evento. Non sono disponibili però le rendicontazioni delle donazioni private.
È chiara la presenza di una gerarchia dei brand a sostegno del Pride, che vengono presentati suddivisi in categorie. Tra gli “sponsor gold” troviamo la multinazionale tedesca della farmaceutica Bayer e Coca-Cola, il motore di ricerca Indeed e la piattaforma PayPal. Quest’ultima ha aperto anche un Giving Fund per sostenere alcune realtà LGBTQ+ nazionali e internazionali. Mancano però, da parte dei brand, dei feedback concreti sulle misure messe in atto all’interno della propria azienda per la comunità queer.
All’interno degli “sponsor silver” troviamo gli enti più diversi. Da Google a Garnier – che ha ideato una linea di prodotti dalla confezione arcobaleno -, da Generali a Durex. Non mancano naturalmente i brand che a giugno modificano il loro logo come Tim, Vitasnella e Docebo. In alcuni casi il sostegno economico si accompagna – com’è accaduto per Ferrarelle Società Benefit – con l’organizzazione di una formazione interna volta a riconoscere i pregiudizi e rispettare le differenze.
La lista di sponsor si allunga con gli ambasador, i supporter e i media partner. Una serie corposa di brand che comprende A2A, Accenture, Nestlé, Disney, L’espresso e tanti altri.
I fondi per la beneficienza
Nel 2020 è stato istituito a Milano il Rainbow Social Fund, che ha lo scopo di trasformare i fondi raccolti per il Pride della città in progetti per la comunità locale. Al netto dei costi della manifestazione, la quota viene usata per finanziare delle iniziative che coprono l’intero anno, non solo il mese dell’orgoglio LGBTQ+.
All’interno del Rainbow Social Fund confluiscono le donazioni delle aziende, delle organizzazioni e della cittadinanza. Arcigay Milano ha reso nota la destinazione di tale ricavato. Tra i progetti così sostenuti troviamo Casa Alba, che fornisce alla donne senza fissa dimora un luogo in cui dormire e due pasti caldi durante i mesi che rientrano nel Piano Freddo del comune di Milano. Viene poi fornita assistenza abitativa ai richiedenti asilo politico LGBTQ+ e supporto legale alle vittime di omolesbobitransfobia grazie alla helpline Pronto. Traggono benefici dal Fund anche Milano Check Point, lo spazio in che offre test HIV e sifilide gratuiti e consulenza relativa alla salute sessuale, e il Mix Festival che da trent’anni si occupa di cinema LGBTQ+.
Infine il denaro raccolto durante il Pride va anche a sostegno del Various Voices, il principale festival di cori queer d’Europa, e Pessima Art. Vista l’emergenza internazionale sono stati devoluti dei fondi anche a sostegno delle persone LGBTQ+ in Ucraina. Per avere un impatto positivo sulla città di Milano, i fondi raccolti nel 2023 sosterranno un intervento di forestazione urbana.