Perché questo articolo potrebbe interessarti? Joe Biden ha definito Xi Jinping un “dittatore”. Il presidente cinese è però una figura indispensabile per le grandi aziende Usa che vogliono fare breccia nell’immenso mercato del Dragone. Almeno a giudicare dall’interminabile pellegrinaggio in Cina dei Ceo delle principali multinazionali statunitensi (e non solo).
Joe Biden come Mario Draghi. Durante un evento per una raccolta fondi in California, l’inquilino della Casa Bianca ha definito Xi Jinping un “dittatore”, ricalcando l’approccio dell’ex premier italiano Mario Draghi che, nel 2021, etichettò allo stesso modo il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. L’uscita di Biden ha scatenato l’ira della Cina, che ha bollato i suoi commenti come “irresponsabili”.
Anche perché, potrebbero indirettamente far notare da Pechino, Xi sarà pure un “dittatore”. Guiderà un Paese il cui sistema niente ha a che spartire con la liberal democrazia Usa. Ma, se guardiamo agli ultimi anni, il presidente cinese piace tantissimo ai Ceo delle principali multinazionali statunitensi (e non solo a loro).
Dall’Italia alla Francia, dalla Germania all’Uk, chiunque voglia fare breccia nell’immenso mercato della Repubblica Popolare Cinese deve dialogare, comunicare, fare diplomazia con la leadership del Partito Comunista Cinese e con il suo capo. Per alcuni, tutto questo significa scendere a compromessi con una “dittatura”. Per altri, i dirigenti delle aziende, è semplicemente pragmatismo e realpolitik, nonché un modo per far quadrare i conti delle proprie maxi aziende.
Gates e Musk alla corte del “dittatore” Xi
Bill Gates è soltanto l’ultimo dei grandi capitani di impresa Usa atterrati nell’ex Impero di Mezzo. Il fondatore di Microsoft è arrivato a Pechino in vesti filantropiche, come presidente della Bill & Melinda Gates Foundations. Ha incontrato Xi, il quale ha accolto con piacere l’ospite americano chiamandolo addirittura “caro vecchio amico”.
I due hanno parlato di temi globali, cambiamento climatico e cooperazione contro l’insorgere di malattie infettive. Dietro le quinte, Gates e Xi avrebbero però parlato anche di intelligenza artificiale, con il presidente cinese felice di aver accolto in Cina le aziende statunitensi – compresa Microsoft – che portano con sé le tecnologie legate all’AI. Ricordiamo che Microsoft, sostenitore di OpenAi, è in Cina da oltre 30 anni, e che qui ha un enorme centro di ricerca. Come se non bastasse, il suo Bing è l’unico motore di ricerca straniero accessibile all’interno del cosiddetto Great Firewall cinese.
Mentre Microsoft sta ragionando su come sfruttare la Cina per diventare un gigante nell’intelligenza artificiale, altri top brand hanno escogitato piani diversi, in settori differenti. Elon Musk è da poco rientrato da un viaggio da quelle parti. Il patron di Tesla (ma anche di Space X e Twitter) ha scelto il Dragone come partner principale per conquistare definitivamente il mercato delle auto elettriche. Tesla ha da poco aperto una gigafactory a Shanghai, che è oggi uno dei siti produttivi più importanti al mondo. E qui, in Cina, intende espandersi ulteriormente sia nel campo dei veicoli elettrici e auto connesse, che in quello (forse) della costruzione di batterie.
Il mercato che piace ai Ceo
Insomma, Xi potrà non piacere a Biden ma, a quanto pare, viene apprezzato dai Ceo, in primis quelli americani. Oltre a Musk e Gates, hanno effettuato da poco un viaggio in Cina il capo di Jp Morgan, Jamie Dimon, deciso a puntare sull’espansione verso Oriente, ma anche Pat Gelsinger di Intel, Tim Cook di Apple, David Solomon di Goldman Sachs. E ancora: Mary Barra di General Motors, Jane Fraser di Citigroup e Laxman Narasimhan di Starbucks.
Anche i Paesi europei continuano ad essere attratti dal mercato cinese. Durante la sua visita in Cina, lo scorso novembre, il cancelliere tedesco Olaf Scholz è stato accompagnato dai vertici di oltre una dozzina di aziende tedesche, tra cui qielli di Volkswagen AG.
Ad aprile è toccato invece a Emmanuel Macron. Accompagnato, nella sua trasferta nell’ex Impero di Mezzo, da Ursula von der Leyen e da una nutrita schiera di leader aziendali. Una sessantina in tutto, tra i quali gli amministratori delegati di Airbus, Alstom ed Edf. Risultato: decine di accordi firmati tra le aziende francesi e quelle cinesi.
E l’Italia? Non pervenuta o quasi. A differenza di Parigi e Berlino, Roma continua ad allontanarsi da Pechino. Non solo in (geo)politica ma anche in economia. Il futuro della Via della Seta è appeso ad un filo, e il governo Meloni sembra essere più interessato a prendere le distanze da Xi che non a ragionare su approcci pragmatici.
Il risultato, in questo caso, è che gli imprenditori italiani si muovono in autonomia. Renzo Rosso, come ha riportato Rai News, ha incontrato a porte chiuse l’ambasciatore cinese in Italia, Jia Guide. Spiegando di aver aperto a Shanghai un mega store da 2.400 metri quadrati e di avere, in Cina, oltre 100 negozi. “Entro il 2025 un terzo dei nostri investimenti sarà in Cina, soprattutto a Shanghai”, ha affermato l’imprenditore, fondatore di Diesel e presidente di OTB Group, la holding che controlla, tra gli altri, i marchi di moda Diesel, Maison Martin Margiela e Marni.