Recovery Plan o Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Da un anno – con il governo Conte bis prima e quello Draghi dopo – tutti parlano dell’antidoto che farà riprendere l’Italia dopo il calvario provocato dalla pandemia da Covid-19. Detto in maniera più tecnica, il documento che piloterà decisioni e risorse dello Stato negli anni a venire.
Recovery plan, quale ratio governa il documento?
Tutto parte dal Recovery Fund, un maxi fondo per la ripresa, al e resilienza, la “Next Generation” europea, concordato dai Paesi membri dall’Unione Europea, al fine di finanziare una ripresa economica collettiva, entro il 2026. Dal canto loro, i singoli membri Ue, per poter beneficiarne, hanno dovuto stilare e presentare a Bruxelles un piano riportante tutti gli interventi e gli obiettivi da realizzare e raggiungere. Rimangono dei dubbi ancora oggi in Italia: i soldi arriveranno per davvero? Saranno spesi realmente? Quali sono gli obiettivi finali: la crescita economica? L’ambiente? E cosa succede se non si raggiungono.
A leggere la mole di documentazione che l’Esecutivo ha prodotto in questi mesi si rimane spiazzati: bozze, documenti ufficiali, allegati, schede tecniche, tabelle, relazioni. L’impressione è che più ancora di un documento di misure economiche in senso stretto si sia di fronte a un documento politico-programmatico, in un certo senso anche “ideologico”. Che visione hanno del mondo Draghi&Co stando al Recovery? Le ideologie – si sa – si reggono sulle parole: lessico e semantica possono molto più di tabelle, percentuali e dati di cui è il web è intasato. E allora True-News ha scelto un metodo meno “clinico”: partendo da un campione discrezionale, quali sono le parole più presenti nei documenti analizzati e che sommate valgono 235 miliardi di euro, tutto compreso? Quali quelle meno presenti?
Ecco le parole preferite del Recovery plan
Sorpresa: la parola “lavoro” (ma può essere associata anche a espressioni come “gruppo di lavoro” o “lavoro di studio”) si trova circa 200 volte nel documento in italiano presente sul sito della Presidenza del Consiglio. Non male. Ma c’è il trucco. La parola “stipendio”? Una volta. “Disoccupazione”? 14 volte. “Agevolazioni fiscali” invece? 15 ricorrenze.
Andiamo al cuore del pensiero che il “pentapartito” Mario Draghi, Daniele Franco, Roberto Cingolani, Vittorio Colao e Enrico Giovannini (i 5 big del Recovery) hanno usato più spesso: “ricerca”, “digitalizzazione” e “infrastrutture vengono citate rispettivamente 296, 145 e 153 volte. Sono tra le espressioni con la maggior densità nel documento, dimostrando chiaramente alcune delle priorità del Recovery Plan e dei suoi autori.
I temi delle diseguaglianze e dell’abitare? Poco citati
Altre parole e “temi caldi” da anni, invece, appaiono poco o per nulla. Un esempio? “Abitare”. Solo 2 volte; “disuguaglianze”, 7 volte; “case popolari”, 1 volta. Considerando che il piano gira attorno alla parola “resilienza” – da Treccani “capacità di reagire di fronte a traumi e difficoltà” –, parola tra l’altro presente quasi in ogni pagina a mo’ di messaggio subliminale, c’è parecchio da riflettere innanzitutto su quali siano per la nostra nazione i traumi da superare. Un grande lavoro di auto psicanalisi collettiva di massa.
Rimane la domanda: il Pnrr e le sue migliaia di parole sono attualmente l’unico appiglio che l’Italia ha per sperare in un futuro migliore? O resterà semplicemente un costoso documento (in termini di tempo e energie) da tramandare agli storici, che fra 70 anni si domanderanno: chissà perché si parlava così tanto di “resilienza” e così poco di “stipendi”?