Perché leggere questo articolo? La Seif, società editrice del Fatto Quotidiano, ha annunciato la nomina di Peter Gomez come condirettore del quotidiano, al fianco del direttore Marco Travaglio. Ufficialmente, dietro la promozione c’è la necessità di integrare il cartaceo e la versione online, diretta da Gomez. Ma dietro ci sono anche tensioni interne alla redazione.
“Realizzare e implementare una strategia digitale unitaria per le redazioni del cartaceo e dell’online”. Questa è la motivazione ufficiale della nomina di Peter Gomez a condirettore de Il Fatto Quotidiano a partire dal 1 settembre, fornita dalla Seif (Società Editoriale Il Fatto) in una nota. Insomma, la promozione di Gomez, attuale direttore della versione web del Fatto, è da attribuire alla necessità di integrare il sito e il quotidiano, diretto invece da Marco Travaglio.
Peter Gomez più “autonomo” di Marco Travaglio
Ma dietro all’affiancamento di Gomez a Travaglio c’è di più. E la diarchia alla guida del giornale sarebbe l’apice di un percorso tormentato, fatto di tensioni interne alla redazione. Un commissariamento del divisivo Travaglio con il direttore del ilfattoquotidiano.it, considerato più “autonomo” e “meno radicale” dai giornalisti.
Ma perché la redazione è insolentita dal direttore, tanto da spingere per la nomina di un condirettore di peso come Gomez? In questo momento i punti di frizione tra i redattori e il vertice del giornale sono diversi. Innanzitutto due, di contenuto: la linea di politica interna del Fatto Quotidiano e l’atteggiamento di Travaglio sulla guerra in Ucraina. Collegata a questi due punti, c’è una questione di carattere economico e organizzativo, ovvero la gestione di alcune collaborazioni. In primis quelle del prof. Alessandro Orsini e dell’ex deputato del M5s Alessandro Di Battista. La speranza della redazione è che Gomez freni Travaglio, assicurando al quotidiano una guida più aperta e collegiale.
Polemiche sulla linea del Fatto “house organ M5s”
Dal punto di vista della linea politica, c’è chi lamenta la perdita di terzietà e indipendenza del Fatto. “Siamo diventati l’house organ del M5s”, è una voce che arriva dalla redazione. Un problema già evidenziato dai giornalisti a maggio del 2019. “Il giornale ha perso la sua terzietà”, l’accusa lanciata allora in un documento sindacale rivolto all’amministrazione e al direttore Travaglio, accusato di essere troppo ripiegato sui Cinque Stelle e su Giuseppe Conte.
L’altra “bomba” scoppiata nella redazione è stata la guerra in Ucraina. L’anno scorso Furio Colombo, cofondatore de Il Fatto Quotidiano, ha lasciato il suo ruolo di editorialista, in disaccordo con la scelta di Travaglio di assegnare una rubrica a Orsini, che era stato appena cacciato da Il Messaggero per via delle sue dichiarazioni controverse sul conflitto. Il direttore ha difeso il discusso professore della Luiss. Mentre Gad Lerner, altra firma del Fatto, ha giustificato l’addio di Colombo. Il tema è ancora molto caldo in redazione, tra mugugni su Orsini e imbarazzo malcelato per le posizioni di Travaglio, giudicate filo-russe più che pacifiste. Anche alcune frasi scettiche del direttore sui vaccini, durante l’emergenza Covid, hanno fatto storcere il naso a più di qualcuno negli uffici del Fatto, compreso lo stesso Gomez.
Ucraina e Dibba dividono Il Fatto
Uno stillicidio, quello che ha portato alla promozione di Gomez come condirettore. Nel dibattito interno sulla linea di Travaglio ha preso posizione anche Antonio Padellaro, editorialista e un altro dei fondatori del Fatto. Mentre il direttore l’anno scorso invitava Conte a staccare la spina al governo di Mario Draghi, Padellaro predicava e scriveva prudenza nei suoi editoriali. Tra i collaboratori discussi c’è pure Di Battista. Nel 2018 la redazione già chiedeva alla direzione quanto guadagnasse Dibba per i suoi reportage. Una questione ancora d’attualità. Sperando che Gomez stemperi le asprezze della gestione di Travaglio.