Perché leggere questo articolo? Nella Nato si parla spesso di spese militari. Ma per l’Italia dove vanno i fondi per la Difesa? Roma è prima per spese per il personale. Ma questo non vuol dire necessariamente che si spendano male i fondi
L’Italia è la “regina” della Nato per le spese del personale militare. Lo riportano i dati forniti dall’Alleanza Atlantica il 7 luglio scorso sui prospetti delle spese militari dei Paesi Nato a partire dal 2014. Anno in cui è stato fissato un target minimo del 2% del Pil in spesa della Difesa. L’Italia, da allora a oggi, è sempre stata in testa per l’impatto dei costi del personale sul totale della spesa per la Difesa.
I costi del personale dell’Italia, prima nella Nato
Nel 2014 i costi del personale ammontavano al 76,41% su un totale di 20,8 miliardi, secondo le stime del comando Nato di Bruxelles nel 2023 saranno il 60% su una spesa militare totale di 28,56 miliardi. Si passa da 15,89 a 17,14 miliardi, con l’aumento del costo del personale che ha assorbito il 16% della nuova spesa militare. Facendo sentire meno il proprio peso in termini relativi ma più in senso assoluto sul bilancio dello Stato.
Tra Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri il personale militare è sceso da 183.500 a 173.900 unità. Dunque tra stipendi, ospitalità nelle caserme, indennità di servizio per il personale all’estero, addestramento, vettovagliamento e spese fiscali e previdenziali il costo medio per singolo militare è cresciuto, annualmente, da 86.594 euro a 98.562 euro pro capite, un aumento del 12% inferiore a quello della crescita della spesa complessiva e dei costi del personale.
Salgono le forniture, ma restano minoritarie
Questi dati possono essere letti in modo eterogeneo. Si nota sicuramente un limite che è strutturale in Paesi come l’Italia ove la ricerca per nuove armi e tecnologie è spesso esternalizzata alle imprese e in cui il personale ha un’età di servizio crescente e elevati costi di mantenimento: la difficoltà a dirottare voci di spesa verso programmi strutturali come il procurement militare.
Quest’ultimo, ovvero la dotazione di nuovi armamenti, assorbe il 23% della spesa nelle previsioni Nato per l’Italia di quest’anno, più del doppio del 10,92% di nove anni fa: si passa da 2,27 a 6,57 miliardi di euro l’anno, di fatto triplicando gli stanziamenti. Ma è difficile pensare a crescite ulteriori, in un contesto che vede la quantità e la qualità della spesa chiamate a compenetrarsi.
Un fattore di costo? Le eccellenze italiane e le missioni Nato
Un dato sicuramente incisivo nel costo crescente del personale è dato dall’aumento dei militari italiani in missione all’estero, quasi raddoppiati dai 4mila del 2014 ai circa 7.500 attualmente impiegati.
Sul fianco Est della Nato dopo l’invasione russa dell’Ucraina l’Italia ha potenziato la enhanced Forward Presence (eFP) e la enhanced Vigilance Activity (eVA) dalla Lituania alla Romania; è al comando delle missioni in Iraq (NMI), Kosovo (KFOR) e al largo della Somalia (EUTM), è presente in Libano e del Settore Ovest di UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon) in Libano. Le missioni hanno un impatto di 1,4 miliardi di euro sulle casse dello Stato per questioni organizzative e sicuramente ancora più alto sul piano degli stipendi maggiorati dei militari in missione.
Aggiungiamo a ciò il fatto che la Difesa italiana si trova comunque a dover fare i conti con una questione chiave: la qualità si paga. Dai GIS dei Carabinieri a unità come il Battaglione “San Marco” e il reggimento “Col Moschin” dei paracadutisti, le forze speciali, molte delle quali di alto livello per gli standard Nato, sono un esempio di eccellenza. E lo stesso si può dire della Marina.
Spendere meglio prima che di più
Tra missioni militari che aumentano la proiezione geopolitica del Paese e unità d’élite possiamo capire che la primazia italiana nei costi per il personale in ambito Nato è comprensibile ma al tempo stesso fonte di una sostanziale rigidità. Segnale che per raggiungere la quota del 2% prevista nel 2014 dalla Nato servirebbe un’espansione di altre voci che ad oggi è difficile prevedere.
Il piano dunque è spendere sempre meglio, non necessariamente il più possibile. Nella consapevolezza che spesso in formali fragilità della nostra spesa militare, come l’elevato costo del personale, si possono nascondere i segreti di un’eccellenza militare dell’Italia legata al principio che la qualità si paga.