Perché leggere questo articolo? Un piano per rispondere a un’emergenza plausibile, uno per apprendere le lezioni su una già nota. Vediamo cosa insegnano le storie del piano nucleare italiano e di quello sanitario europeo: si amplia la cultura della prevenzione?
Un piano nucleare per l’Italia, un piano anti-pandemico per l’Europa. Gli sviluppi delle ultime settimane hanno visto due novità notevoli sulle emergenze potenziali o di ritorno che possono riguardare il nostro Paese o l’Europa.
L’Italia aggiorna il Piano nucleare
Roma ha di recente aggiornato la sua versione di piano di gestione per un rischio nucleare di qualsiasi tipo. Sia legato a emergenze radiologiche che a tematiche connesse a danni a centrali in altri Paesi o, extrema ratio, sabotaggi o danni a impianti legati a eventi bellici.
Il sistema di allerta per la gestione del rischio nucleare è stato Dipartimento della Protezione Civile, dall’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione e dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile. Sul fronte della gestione dei rischi legati al fallout di impianti stranieri sono stati presi in considerazione tre livelli di allerta.
Tre livelli di rischio nucleare
La prima idea ipotizza un incidente a un impianto posto entro 200 km dai confini nazionali, come lo sono molti di quelli francesi ad esempio. Il coordinamento interforze deve essere “tale da comportare l’attuazione di misure protettive dirette e indirette della popolazione” nel giro di poche ore. Si dà priorità alla gestione all’estero dei cittadini nel Paese incidentato.
Il secondo livello di rischio è quello di un impianto europeo a oltre 200 km come avrebbe potuto essere Chernobyl negli Anni Ottanta o oggi Zaporizhza. In questo caso si attiverebbe la modulazione delle risposte in base dell’attenzione data dall’Agenzia internazionale dell’energia atomica all’evento. Si va su tre livelli di attenzione: da una fuga riguardante il singolo impianto al sistema generale di allerta nazionale che garantisce all’Isin coordinamento nello stabilire le priorità di indicazione dei territori che possono essere interessati dalla nube radioattiva; dei livelli ipotizzati di contaminazione dell’aria, del suolo e dell’acqua; delle possibili risposte preventive.
Stesso discorso per gli impianti extraeuropei, ove del resto la ricaduta securitaria diretta sarebbe inferiore ma andrebbe di pari passo con un attento screening dei cittadini e dei prodotti provenienti dall’area del “cratere” di un dato incidente. Monitorando anche il sistema economico e alimentare con un piano straordinario di controllo della filiera produttiva. In definitiva, le competenze verrebbero ben compartimentate e assegnate attivamente. Così da far capire a ogni soggetto coinvolto la sua responsabilità in caso di rischio nucleare.
Scarica il Piano nazionale per rispondere a un’emergenza nucleare
Vaccini e filiere, il piano europeo contro la prossima pandemia
Da un rischio in potenza a uno già noto, ecco anche il piano europeo per espandere la capacità produttiva dei vaccini.
La Commissione europea nella giornata del 30 giugno ha siglato un contratto con un gruppo di quattro aziende farmaceutiche per ampliare la capacità di produzione di vaccini in caso di futuri focolai pandemici del Covid-19 o di malattie simili. Coinvolti nell’accordo il colosso farmaceutico statunitense Pfizer, i produttori di vaccini spagnoli HIPRA e CZ Vaccines e la società olandese Bilthoven Biologicals.
La capacità extra è di 325 milioni di dosi potenziali che saranno riservate all’Europa. Inoltre, nota Politico.eu, “la Commissione europea ha accordi simili per riservare capacità per i vaccini contro l’influenza aviaria sia con GlaxoSmithKline che con Seqirus”. Per l’Ue “l’aviaria è considerata un ottimo candidato per la prossima pandemia”.
Un’infrastruttura pubblica per i vaccini europei?
In quest’ottica, nella giornata del 12 luglio, il Parlamento europeo ha approvato una relazione sulle dinamiche prodotte dal Covid-19 che ha incorporato una proposta, che parla molto italiano, per affiancare agli accordi della Commissione un piano per un’infrastruttura pubblica di gestione della sanità in vista delle prossime pandemie.
Si propone in tal senso di potenziare Hera, la direzione della Commissione europea per le emergenze sanitarie, con maggiori prospettive operative, in rispetto di una serie di analisi che hanno attestato il ruolo del decisore pubblico nello sviluppare la risposta al Covid-19.
Il ruolo pubblico nel sostenere la produzione di vaccini è stato confermato da uno studio realizzato per la Commissione da tre studiosi italiani: Massimo Florio e Simona Gamba dell’Università degli Studi di Milano e Chiara Pancotti del Csil. Il progetto è sostenuto anche dal Forum Disuguaglianze Diversità guidato dall’economista ed ex ministro Fabrizio Barca e se implementato potrebbe ampliare le prospettive pubbliche di gestione dell’infrastruttura sanitaria. Mettendola al servizio del bene comune e delle prospettive future antipandemiche piuttosto che agli obiettivi di profitto delle singole aziende. Nuove strategie per minacce vecchie, complementari agli accordi già firmati: diversificare il rischio è d’obbligo. E forse l’Europa lo sta capendo.