Servire un bacino di abitanti da 750-800mila cittadini nel sud-ovest dell’area metropolitana di Milano.
È il “sogno” della fusione degli ospedali San Paolo e San Carlo Borromeo, inaugurati rispettivamente nel 1979 e nel 1966, che dalla riforma 23/2015 della sanità lombarda costituiscono una sola Azienda socio sanitaria territoriale. La fusione amministrative doveva essere il primo passo verso la creazione un unico polo ospedaliero. “Vogliamo mantenere operativi entrambi gli ospedali nelle collocazioni attuali” ha chiuso la questione l’assessore al Welfare Letizia Moratti in settimana su sollecitazione dell’assessore all’Urbanistica del Comune di Milano, Pierfrancesco Maran.
Milano, la “capitale” dell’edilizia sanitaria in Italia
Di edilizia ospedaliera nel capoluogo lombardo ce n’è tanta. Pubblica e privata. Il nuovo Policlinico, il raddoppio del pediatrico Buzzi, l’annuncio ufficiale il 22 giugno del futuro insediamento del San Raffaele a MilanoSesto che già da capitolato prevede la nascita della “Città della Salute” con l’incrociarsi dei destini del neurologico “Besta” e dell’Istituto Nazionale dei Tumori.
Unione San Paolo e San Carlo? Ecco le opzioni in campo
Spazio per un’altra grande opera, per ora, non ce n’è. Ma quanto costerebbe fondere fisicamente oltre che amministrativamente i due ospedali? True Pharma è in possesso dell’unica analisi economico-gestionale comparativa.
Le due opzioni in campo dell’analisi costi-benefici? Ristrutturazione dei presidi attuali oppure polo unico. Lo studio di fattibilità è stato commissionato nella primavera del 2016 ad un pool di ingegneri ed economisti, provenienti dall’IE Business School di Madrid, la scuola di direzione aziendale dell’Instituto de Empresa, prestigioso ateneo della capitale spagnola, collocata nella top ten delle migliori Business School del mondo.
I numeri del San Carlo e San Paolo
Le due ex Aziende Ospedaliere sono state molto simili sul lato dell’offerta di servizi e distano uno dall’altro circa venti minuti con l’automobile e 50 minuti con i mezzi pubblici: al 31 Dicembre 2015 disponevano di 2035 dipendenti per il San Carlo Borromeo e 2387 dipendenti per il San Paolo. Il numero di accessi in Pronto Soccorso è di 76.719 per il San Carlo e i 77,800 per il San Paolo. I posti letto accreditati (PLa) di Day Hospital/Day Surgery (DH/DS) e di Degenza Ordinaria sono 723 unità per il primo (di cui 492 PL effettivi) e 516 unità per il San Paolo (di cui 457 PL effettivi). In quell’anno le due aziende ospedaliere hanno ergoato 16.589 Ricoveri Ordinari (RO), 4.121 accessi DH/DS e 961.614 prestazioni ambulatoriali per quanto riguarda il San Carlo Borromeo. Mentre il San Paolo ha erogato 17.944 RO, 12.656 accessi DH/DS e 1.998.731 prestazioni ambulatoriali.
San Paolo e San Carlo: i bilanci e gli scenari
Alla chiusura del bilancio 2015, entrambi mostrano una perdita di esercizio: 2,4 milioni di euro per il San Paolo e -38,1 milioni per il San Carlo. È a quella data che la Direzione Strategica dell’ASST, appena insediatasi, pur avendo già a disposizione un finanziamento di 48 milioni di euro per la ristrutturazione del presidio San Carlo chiede ed ottiene un analogo finanziamento per il presidio San Paolo di circa 40 milioni di euro. Ma, considerata la vetustà dei due poli, le ingenti perdite di esercizio e la necessità di offrire un’organizzazione sanitaria moderna, efficiente e competitiva, decide di valutare l’opportunità di un’analisi economico-gestionale finalizzata a valutare l’impatto di un intervento di ristrutturazione contro di costruzione ex novo e aggregativo.
Primo scenario
Tre gli scenari possibili. Il primo: “prosecuzione inerziale della situazione attuale” si legge nello studio e “mantenimento dei due vecchi presidi con le attuali difficoltà logistico organizzative, nessun investimento di grande importo se non per garantire l’ordinaria manutenzione dei due edifici, nessuna variazione sul personale”. S
Secondo scenario
Secondo: la ristrutturazione in serie dei due presidi con “unificazione e/o centralizzazione di alcune funzioni sanitarie/amministrative”. Richiede un investimento di circa 90 milioni di euro, nei fatti a quella data già stanziati.
Terzo scenario
Il terzo è il più futuristico ma che oggi deve fare i conti con le conseguenze culturali, sanitarie e organizzative della pandemia Covid: costruzione di un unico nuovo presidio per acuti dotato delle migliori tecnologie. Investimento? Tra i 350-400 milioni di euro con quello che sarebbe uno degli interventi più cospicua d’It e dismissione parziale dei vecchi edifici.
Scenari ipotizzati: quanto costano?
Economia del primo scenario
L’ipotesi del primo scenario stimava anche cosa sarebbe accaduto al conto economico degli ospedali al 2021 in caso di conferma dell’attuale modello di gestione tenendo presenti la variazione demografica e numerica del bacino d’utenza da servire. Sono dati che saranno verificabili solo nei bilanci depositati del 2022 ma, senza alcun investimento, il pool di studiosi prevedeva l’assetto economico finanziario dei due presidi al 2021 in una perdita di 9,6 milioni per il San Paolo e – 47,8 milioni per il San Carlo nel caso peggiore. Un avanzo di 19,4 milioni per il San Paolo e disavanzo di 35,4 milioni per il San Carlo nell’ipotesi più probabile. E infine un utile di 32 milioni secchi per il San Paolo e una perdita di 23 milioni per il San Carlo nel caso ottimale.
Economia del secondo scenario
Per la valutazione dello “Scenario 2” (ristrutturazione con unificazione/centralizzazione di alcune funzioni) si è provveduto ad estrarre dai bilanci 2015 i ricavi e a calcolare la redditività per singolo PL dell’Asst Santi Paolo e Carlo e di altre tre aziende sanitarie pubbliche lombarde di simili dimensioni: Ospedale Policlinico di Milano, Ospedale Luigi Sacco ed ex Ospedale di Lecco. Il range individuato è stato tra i 140mila e 150mila euro di redditività/Posto letto. L’Ass in questione invece, con i suoi 860/870 PL totali, si colloca appena al di sotto dei 145mila €/PL. La letteratura indica invece, per le principali aziende sanitarie di diritto privato della Regione Lombardia, una media di redditività per PL intorno ai 180mila euro ma è sostanzialmente impossibile che un’azienda sanitaria pubblica possa garantire gli stessi margini di una privata.
Lo scenario con investimento da 90 milioni in ristrutturazione/accentramento, secondo gli esperti, offrirebbe una serie di vantaggi determinate condizioni: risparmi sui costi operativi post-fusione che si ottengono a partire dal terzo anno a patto che vengano ottenuti dalla fusione di ospedali di simile dimensione, a basso tasso di occupazione e con alta ridondanza di servizi; i presidi che vengono unificati aumentano la loro efficienza principalmente grazie ad una migliore condivisione delle risorse e maggiore utilizzo delle stesse.
Ci sono dei rischi tuttavia: su tutti l’attuazione solo per fasi, intervenendo su un presidio alla volta; la cantierizzazione prolungata con notevoli disagi per l’utenza; l’impossibilità nel risolvere vincoli strutturali di edifici progettati negli anni ‘60. La stima economica più probabile per questa ipotesi prevede un incremento della produttività per singolo PL (così da evitare la riduzione del fatturato), una riduzione del 5% nell’acquisto di beni e servizi e dei costi per le funzioni amministrative (grazie all’eliminazione di certe funzioni duplicate e la centralizzazione di altre) e un riduzione del 3% del personale. La simulazione prevedeva al 2021 dei ricavi per 358 milioni di euro e dei costi per 366 milioni, risultando quindi in una perdita annuale di 8 milioni.
Economia del terzo scenario
L’ultima ipotesi – oggi lontana dopo le parole di Letizia Moratti – con la costruzione di un unico nuovo presidio per acuti per un investimento di circa 350/400 milioni di euro, e una dismissione parziale dei vecchi edifici nei quali ri-collocare la rete territoriale e le attività a più bassa intensità dell’Asst si fonda su una serie di assunzioni: presidio unico di 760 PL; mantenimento o aumento della produttività per singolo PL; riduzione dell’acquisto di beni e servizi e dei costi per le funzioni amministrative tra lo 0 e il 25%; riduzione dei costi per i servizi di diagnostica tra lo 0 e il 10%; riduzione del personale dipendente e libero professionista, compreso tra lo 0 e il 5%, declinato nel blocco del turn over con la mancata sostituzione del personale collocato a riposo e infine un risparmio di 10 milioni di euro sui costi energetici derivante dal polo unico.
I problemi individuati all’epoca dello studio di fattibilità si concentravano sostanzialmente su come e dove reperire il finanziamento così importante che avrebbe quindi necessitato di una serie di stakeholders diversi e l’assenza di un sito definitivo dove erigere il nuovo edificio. Il caso più probabile proiettava al 2021 questi numeri: ricavi per 357 milioni e costi per 342 milioni, garantendo così un utile annuo di 15 milioni. Ma senza tenere conto che l’analisi degli scenari, si legge nella nota metodologica, non tiene conto della differenza di perdita di esercizio che si avrebbe durante la ristrutturazione dei due presidi e durante la costruzione del presidio unico. Ipotizzando una riduzione del 20% dei PL in entrambi i presidi, durante i lavori di ristrutturazione, la perdita economica in cinque anni viene stimata a 230 milioni di euro. Se negli stessi anni venisse costruito invece un nuovo presidio, la stima della perdita sarebbe di 144 milioni di euro.
Lo studio di fattibilità del 2016 e le cifre contenute risentono certamente del clima culturale nella sanità lombarda post riforma Maroni. Ospedale-territorio (che spesso si è tradotto in: grande ospedale per grande territorio) ed economie di scala pubblico-private per eliminare sprechi ed efficientare la spesa. Oggi il mondo è cambiato e anche alla luce della pandemia va letto il secco “no” della donna che governa la sanità lombarda.
Austerità? Non più un termine da post-pandemia, specie in sanità
Per la prima volta da 30 anni si assiste, anche nel settore privato, a fusioni/acquisizioni che non puntano alla chiusura di presidi, laboratori o centri. La vera economia di scala è diventa la capillarità sul territorio. per dirla in gergo: l’austerità non è del post pandemia. Lo si vede in importanti operazioni di farmaceutica, diagnostica molecolare sanità che stanno prendendo piede nel globo a partire dagli Stati Uniti.
Unione San Carlo e San Paolo, l’opinione del Movimento cinque stelle
“Non ci interessano le polemiche politiche tra Regione e Comune di Milano, che si accendono sempre in periodi elettorali” dichiara a True Pharma Gregorio Mammì, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, segretario della Commissione Sanità e Politiche sociali del Pirellone. “Dalle relazioni commissionate da Regione Lombardia è evidente che, in linea con quanto previsto dalla legge 23, si volessero unificare le due strutture, privando il territorio di importanti servizi sanitari, ma non si è mai trovata un’area idonea, tanto che quella proposta dal Comune di Milano era sottodimensionata con 55mila metri quadrati e ancora da bonificare”.
La strada da seguire? “Mantenere i due poli territoriali – è l’opinione del pentastellato – creando un campus universitario al San Carlo, che gode di 16mila metri quadri di palazzine inutilizzate e trasformando il San Paolo in Presidio ospedaliero territoriale con pronto soccorso, area riabilitazione e lungo degenze”. Secondo le previsioni del Pnrr, chiude Mammì, “andranno costituite due case della comunità e la creazione del Campus al San Carlo potrebbe essere l’occasione giusta per creare un polo di formazione universitaria per la medicina generale all’interno delle case della comunità. Regione Lombardia e l’Asst Santi Paolo e Carlo potrebbero essere i primi a far nascere un percorso universitario di Medici di medicina generale direttamente sul territorio”.