Il racconto del viaggio di Alain Elkann da Roma a Foggia è già un meme. Il giornalista e scrittore se ne esce oggi su Repubblica, di cui la sua famiglia è proprietaria, con un pezzo imbarazzante, cringe, se vogliamo mantenerci giovani. Il titolo è “Sul treno per Foggia con i giovani lanzichenecchi” e, già leggendo il riferimento ai portatori manzoniani della peste, viene da ridere. O da mettersi le mani nei capelli.
L’incipit dell’articolo
Ecco l’incipit: “Qualche giorno fa, dovendo andare da Roma a Foggia, sono salito su una carrozza di prima classe di un treno Italo. Il mio posto assegnato era accanto al finestrino e vicino a me sedeva un ragazzo che avrà avuto 16 o 17 anni”. Poi, dopo aver descritto l’abbigliamento dei suoi vicini di posto, tiene a precisare che tutti “avevano un iPhone in mano” e, soprattutto, “erano tutti tatuati e senza orologio”. Caratteristiche che, per il nobile e borghese Alain, che presumiamo abbia uno smartphone se non proprio un iphone, sembrano indicare teppisti o gente poco meritevole di sedergli accanto.
Alain Elkann, lo sfoggio di boomerismo e classismo
Ma lo sfoggio di boomerismo e di classismo militante continua quando Alain elenca le sue attività durante il viaggio mentre i ragazzi parlano “come fossero i padroni del vagone, assolutamente incuranti di chi stava attorno”. Scrive il barone Elkann: “Io indossavo, malgrado il caldo, un vestito molto stazzonato di lino blu e una camicia leggera. Avevo una cartella di cuoio marrone dalla quale ho estratto i giornali: il Financial Times del weekend, New York Times e Robinson, il supplemento culturale di Repubblica. Stavo anche finendo di leggere il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust e in particolare il capitolo “Sodoma e Gomorra”. Che fine intellettuale! Lontano anni luce da quei ragazzi che – mettetevi comodi – all’età di 16 o 17 anni scambiano opinioni sulle ragazze in treno e si preparano, con foga e goliardia, a una vacanza estiva.
Gentaglia da non frequentare per il nostro Elkann che, per darsi ancora di più un tono, sfoggia una penna stilografica. E aggiunge: “Non ho mai rivolto la parola al mio vicino che o taceva ascoltando musica o si intrometteva con il medesimo linguaggio nella conversazione degli altri ragazzi”. Che poi cominciano a parlare di come trovare e agganciare ragazze. Una chiacchierata che urta la sensibilità del fine lettore di Proust: “Quella conversazione sulle donne da trovare era andata avanti mentre io avevo finito di scrivere sul mio quaderno ed ero immerso nella lettura di Proust. Loro erano totalmente indifferenti a me, alla mia persona, come se fossi un’entità trasparente, un altro mondo”.
Che peccato: nessuno dei ragazzi si rende conto di avere vicino un luminare del giornalismo, una persona, appunto, di “un altro mondo”. “Arrivando a Foggia, mi sono alzato, ho preso la mia cartella. Nessuno mi ha salutato, forse perché non mi vedevano e io non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani “lanzichenecchi” senza nome”.