Perché leggere questo articolo? Il 10 ottobre l’Uefa annuncerà le sedi degli Europei 2028 e 2032. Dietro la candidatura congiunta c’è la mano di Ceferin. E un compromesso che crea non pochi imbarazzi.
L’Italia ospiterà gli Europei di calcio del 2032. O, almeno, ne ospiterà la metà, se è vero che, dopo mesi di lavoro e un corposo dossier presentato in aprile per organizzare il torneo in solitaria, qualche giorno fa Figc e la federazione calcistica della Turchia (anch’essa candidata) hanno annunciato con una lettera alla Uefa l’intenzione di unirsi in una candidatura congiunta. Così, quando il prossimo 10 ottobre il comitato esecutivo della confederazione decreterà quali saranno le nazioni cui spetteranno l’onore e l’onere di organizzare Euro 2028 ed Euro 2032, salvo improbabili sorprese vi sarà la designazione di Regno Unito e Repubblica d’Irlanda per il 2028 e Italia e Turchia quattro anni dopo.
Ma come si è giunti a questo punto? Con l’insediamento presso Palazzo Chigi del Comitato Interistituzionale a supporto della candidatura dell’Italia a ospitare la fase finale degli Europei di calcio 2032 si era già intuita la mossa capace di sbloccare tutto, frutto di un compromesso tutto politico spinto dal presidente dell’Uefa, Aleksandr Ceferin, ma per capire ciò che ora è di dominio pubblico vale la pena fare un passo indietro.
Le candidature originarie
Per entrambe le edizioni degli Europei a completare il bidding process erano state due candidature, rispettivamente Regno Unito-Repubblica d’Irlanda e Turchia per il 2028, Italia e ancora Turchia per il 2032. Se per il 2028 la partita sembrava comunque essere già chiusa, dato l’enorme e incolmabile vantaggio britannico in termini di strutture, infrastrutture e contesto politico-economico (gli stadi saranno a Londra, Manchester, Liverpool, Newcastle, Birmingham, Cardiff, Glasgow, Belfast e Dublino), con la Turchia relegata all’ennesima sconfitta, essendosi sempre candidata a partire da Euro 2008 senza mai ottenere soddisfazione, a rimanere aperta rimaneva solo la partita del 2032.
L’Italia e la Figc, con la speranza di ottenere l’organizzazione di una manifestazione calcistica internazionale per la prima volta dopo la grande mangiatoia di Italia 90, una costosa occasione persa, avevano candidato Milano (San Siro), Roma (Olimpico), Torino (Juventus Stadium), Napoli (Maradona), Genova (Ferraris), Bari (San Nicola), Verona (Bentegodi), Firenze (Franchi), Bologna (Dall’Ara) e Cagliari. Lo stadio di Cagliari ancora non c’è, mentre quelli di Firenze, Bologna, Verona e anche Bari necessitano di significativi e costosi interventi di ristrutturazione. La Turchia, in un dossier identico per 2028 e 2032, aveva proposto tre stadi a Istanbul (quello della finale sarebbe l’Atatürk, dove si è giocata l’ultima finale di Champions), uno già in costruzione ad Ankara, quindi Antalya, Bursa, Eskişehir, Gaziantep, Konya e Trabzon.
Una questione politica
Italia contro Turchia, nessuna favorita per una grave impasse strategica da parte dell’Uefa. Le chance dell’Italia si dovevano principalmente al posizionamento del numero uno della Figc Gabriele Gravina il quale, in un momento non facile per la confederazione continentale (sulla testa della quale c’è sempre la spada di Damocle della pronuncia della Corte di Giustizia dell’UE sul caso European Super League), aveva puntato tutto sul consolidamento di rapporti di Aleksandr Ceferin. Gravina da aprile è vicepresidente della confederazione, fedele gregario dello sloveno al punto da non deviare mai dalle sue posizioni.
Dall’altro lato la Turchia, che dal punto di vista degli stadi già oggi appariva decisamente avanti, persi di fatto anche gli Europei 2028, poteva contare su un diverso peso politico, soprattutto da quando uno dei principali sponsor dell’Uefa – che ha dovuto rimpiazzare i russi, Gazprom in primis – è diventato Turkish Airlines, compagnia di bandiera partecipata per metà dallo Stato. Del resto alla strategia di immagine proiettata del presidente Recep Tayyip Erdoğan mancava l’assegnazione di un grande evento calcistico continentale, e Ceferin sapeva bene di non potersi permettersi un doppio sgarbo a una federcalcio alleata. Da ciò, ecco il rompicapo che Ceferin ha sbrogliato invitando le due federazioni a unirsi in una candidatura congiunta che nessuna delle parti, a prescindere dalle dichiarazioni di facciata, avrebbe voluto.
Il compromesso
Il compromesso, una volta che l’Uefa avrà valutato la rispondenza ai requisiti della doppia candidatura (in attesa di capire la programmazione delle 51 gare nei vari stadi, l’accettazione è scontata), permette a Ceferin di mantenere in qualche modo le promesse fatte in chiave do ut des alle due federazioni, ma soprattutto non scontenta nessuno di coloro con i quali si è impegnato, puntellando ulteriormente la sua posizione. Non è la migliore delle soluzioni possibili, anche perché presuppone la rinuncia ad alcuni progetti di ristrutturazione (per l’Italia, ma a quel punto sarà un problema di Gravina raccontare alle città escluse la bontà di questi Europei a metà, non di Ceferin) e la scelta, per la Turchia, di “tagliare” alcune sedi ospitanti, magari quelle che avrebbero più bisogno di un volano turistico, soprattutto dopo il recente sisma che ha devastato la provincia di Gaziantep.
Si sta delineando così il paradosso di una Figc la cui piramide calcistica perde continuamente credibilità (il caos di B e C, una giustizia sportiva discutibile e i diritti tv interni che valgono decisamente meno di quanto i club vorrebbero) eppure, nonostante tutto, è capace di ottenere, sebbene a mezzo servizio (ma con la finale) quegli Europei che, al di là dell’edizione itinerante del 2021, non ospita dal 1980. Poi sarebbe anche il caso di farsi due domande sull’opportunità di questa alleanza che, sotto il pretesto del calcio, legherà la Figc e l’Italia a un Paese le cui scelte militari (si pensi all’offensiva turca nella Siria nordorientale, nel 2019) dovrebbero almeno suggerire di porsi qualche domanda, se non proprio creare un profondo imbarazzo.