Lo chiamano “aldilà digitale“, la sorte incerta che tocca agli account social dei morti. Uno studio pubblicato nel 2019 ha anche calcolato il peso che gli account “deceduti” avranno nelle grandi piattaforme, con risultati sorprendenti. Facebook, ad esempio, ha un trend di crescita tale da rischiare di ospitare più profili “morti” che vivi entro la fine del secolo. Entro il lontano 2100, insomma, potrebbe avere 4,9 miliardi di morti: un social zombie.
Account social dei morti: che fine fanno i dati
Nel corso degli anni alcuni siti si sono dotati di regole per la gestione dei profili in caso di morte dell’utente, ma rimangono molte zone d’ombra. Che succede ai nostri dati personali una volta lasciato questo mondo? Come scrive la rivista The Walrus, “le nostre vite digitali collettive sono preziosi dati per il marketing per le grandi aziende tecnologiche”. Le quali li usano per personalizzare le pubblicità che vediamo sulla base di “profili ‘psicogeografici’ prodotti dagli algoritmi”. Il punto è che non sappiamo come queste informazioni vengano gestite nell’aldilà digitale.
Aldilà digitale: i “profili ombra” di Facebook
È un terreno scivoloso, specie se si considera che aziende come Facebook creano “profili ombra” anche di persone che non sono iscritte al loro servizio, sempre a fini pubblicitari. Figuriamoci quindi se non fanno il massimo per usare le informazioni già raccolte sugli utenti – anche se scomparsi – per raggiungere quelli che invece sono in vita.
E gli altri? Google invece permette di nominare un “gestore di profilo non attivo”, una sorta di tutore post-morte di un account. Ma altre aziende, tra cui TikTok e Skype, non hanno policy al riguardo. Quanto a Twitter, Instagram e Snapchat, questi mantengono online i profili contrassegnandoli in quanto appartenenti a una persona scomparsa, e smettendo di proporli come possibili amici agli altri utenti.
Account social dei morti: ladri di dati in azione
Insomma, poche regole per un settore enorme e redditizio. Perché queste informazioni fanno gola ai “ladri di dati”, che scorrazzano per il web settacciando dati e foto personali, da riutilizzare in banner pubblicitari discutibili, truffe e spam vario.
Una soluzione unica per tutto il mondo, purtroppo, è impossibile. Il nostro rapporto con la questione si basa a sua volta sul rapporto che ciascuna cultura ha con la morte. Secondo il magazine OneZero, ad esempio, “in alcuni paesi asiatici è cosa comune condividere le password tra amici e parenti”. In tal modo, può succedere che l’account di una persona scomparsa venga usato da altri dopo la sua dipartita.
Tra dubbi e differenze culturali, quindi, i nostri dati rimangono online, spesso alla mercé di corporation e truffatori.