Come ogni anno, anche in questo 2021 post pandemico (ma sempre di grande crisi) il 30 giugno è arrivato. Il giorno e l’ora della chiusura dei bilanci, quel rito che da troppo tempo si è trasformato in un momento del giudizio per dirigenti e proprietari. Questa volta il pronostico è facile: sarà un bagno di sangue.
Così come nel 2020 e come sarà nel 2022 anche se la speranza di tutti è che il lento ritorno alla normalità aiuti anche i club calcistici europei a uscire dalla buca in cui sono precipitati e che costa diversi miliardi di euro di mancati ricavi (da 6 a 8 la stima) e ricapitalizzazioni dolorosissime. L’ultima in ordine di tempo è quella che Exor farà per rimettere in linea di galleggiamento la Juventus (400 milioni di euro), seguendo l’esempio di altre società per tacere di chi ha reperito i fondi chiedendo prestiti (Real Madrid e Barcellona in Spagna, Psg in Francia) o dando in pegno lo stesso club come nel caso dell’Inter.
Plusvalenze? Difficili senza soldi
Soldi non ce ne sono, neanche per piangere. E, questa è la sorpresa dell’anno 2021, nemmeno per mettere in piedi le plusvalenze a volte reali, spesso forzate, che negli ultimi tempi hanno aiutato a limitare i danni almeno dal punto di vista contabile. I dati ufficiali saranno disponibili solo nei prossimi mesi, ma già da ora si può dire che la corsa allo scambio o alla vendita del giocatore col più basso carico di ammortamento a bilancio non c’è stata. Per intenderci, prendendo l’esempio della Juventus è certo che la soglia dei 166 milioni di euro di plusvalenza toccata nel 2020 non sarà nemmeno sfiorata e che lo stesso varrà per tutti gli altri.
La crisi del “modello” delle plusvalenze dei club di calcio
Le ragioni? Sono diverse. Prima di tutto il sistema di gonfiare il valore dei cartellini scambiandoseli con valutazioni di comodo va bene fino a quando la bolla cresce. Ora che è esplosa ha appesantito i conti rendendo ancora più arduo farli tornare. E poi, banalmente, mancano i denari e la priorità per tutti è diventata recuperare cash per onorare le scadenze (stipendi e rate) che in qualche caso sono saltate in inverno. Terzo motivo: la Uefa ha per ora congelato il Fair Play Finanziario e quando si ripresenterà avrà una forma diversa, meno rigida di quella precedente. Il FFP era la leva che spingeva i club alla corsa alla plusvalenza entro il 30 giugno per convincere i giudici di Nyon di essere a posto anche se spesso si trattava di trucchetti contabili. E, last but not least, il peso sempre crescente di quella voce ha cominciato a insospettire i guardiani del pallone, determinati a non concedere più troppo spazio a pratiche alla lunga pericolose per la tenuta del sistema. Il modello era destinato ad entrare in crisi anche prima del Covid, insomma. La pandemia potrebbe solo aver accelerato il processo.