Perché questo articolo potrebbe interessarti? Le tensioni internazionali e il rallentamento economico interno figlio della pandemia hanno cambiato radicalmente il volto della Cina. Mentre il business tra Pechino e l’Occidente va avanti, seppur con novità rilevanti da tenere in considerazione, viaggiare per turismo oltre la Muraglia è sempre più complesso. Tra burocrazia e difficoltà tecniche.
La sensazione è che il turismo da e verso la Cina sia evaporato come neve al sole. Il volo diretto a Pechino, in partenza da Milano Malpensa il 7 agosto è pieno in ogni ordine di posto. Pochissimi i cittadini cinesi rientranti oltre la Muraglia. La maggior parte dei passeggeri coincide con l’identikit del viaggiatore italiano dedito a scoprire l’Asia.
Abbiamo parlato del continente e non della Repubblica Popolare Cinese, visto che la pressoché totalità dei nostri compagni di viaggio ha utilizzato il Beijing International Airport soltanto come scalo per raggiungere altre mete regionali.
Quasi tre settimane più tardi, durante il percorso inverso, l’effetto di straniamento è ancora più amplificato. Sul nostro aereo questa volta c’erano per lo più cinesi. Non davano tuttavia l’impressione di essere turisti, bensì persone intente a rientrare in Italia presumibilmente per motivi familiari o lavorativi. I businessman in giacca e cravatta, gli uomini con la ventiquattrore e le ciurme di famiglie piene di bagagli che un tempo atterravano in Italia non ci sono più. Almeno per il momento, in questo periodo molto particolare.
Cina vicina, Cina lontana
La Cina ha riaperto i suoi confini ai turisti lo scorso marzo. Sono dunque passati soltanto pochi mesi da quando il governo cinese ha allentato le rigide misure anti Covid, consentendo ai viaggiatori di tornare tecnicamente a visitare le bellezze nazionali.
Le cicatrici della lunga ed estenuante stagione pandemia sono ancora visibili, così come si può respirare una sorta di irrigidimento di fondo dettato dalle tensioni internazionali con gli Stati Uniti (e non solo).
All’aeroporto di Pechino, un tempo affollatissimo, scorre davanti ai nostri occhi una sfilza di negozi chiusi. Alcuni trasferiti altrove ad uso dei consumatori interni, altri falliti per sempre. Salvatore Ferragamo, Saint Laurent, Balenciaga, Moncler: vetrine vuote, luci spente, porte sigillate. Gli effetti della pandemia dovevano in qualche modo emergere, al netto del modello sanitario adottato dalla Cina. Ed eccole qui, le prime conseguenze più evidenti, seguite da un appiattimento di fondo nei confronti del visitatore esterno.
Oggi, chiunque abbia intenzione di visitare Pechino e dintorni dovrà dimostrarsi in grado di andare incontro alle esigenze del Paese. Non vale più viceversa, come lo era nel periodo pre Covid e prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Nel frattempo, tutto questo sembra non aver intaccato le relazioni economiche tra la Cina e l’Occidente.
Cambiamenti e trasformazioni
Sia chiaro: qualsiasi persona può visitare la Cina seguendo le tradizionali procedure burocratiche. Tra l’altro, pare che le autorità cinesi abbiano smesso di richiedere il test Covid ai turisti in entrata nel Paese (una formalità che poteva essere espletata anche mediante un auto test).
Le grandi differenze rispetto al passato non mancano. Intanto, ci saranno meno occidentali che vi accompagneranno nello sfondo della vostra avventura, e fin qui niente di clamoroso. Le complicanze arrivano quando si tratta di effettuare alcune semplici azioni quotidiane, come acquistare una bottiglietta d’acqua in una vending machine o consultare una mappa online.
Niente di nuovo sotto al sole, certo, solo che adesso ricorrere allo stratagemma del Vpn per eludere il Great Firewall cinese (ovvero eludere la censura su determinate app e siti considerati pericolosi dal governo locale) può risultare complesso ma non impossibile.
Con un’ottima organizzazione, e un po’ di sopportazione per il nuovo mondo cinese post Covid, anche la famiglia Rossi potrà togliersi lo sfizio di visitare la Cina.
Turismo post Covid
Il Wall Street Journal ha scritto un articolo drastico intitolato “L’ultimo problema della Cina: la gente non vuole andarci”. A livello nazionale, si legge nel pezzo, solo 52.000 persone sono arrivate nella Cina continentale dall’estero durante viaggi organizzati dalle agenzie di viaggio durante il primo trimestre, ovvero l’ultimo periodo per il quale sono disponibili dati nazionali.
Si tratta di un numero irrisorio rispetto ai 3,7 milioni del primo trimestre del 2019. Come negli anni passati, inoltre, quasi la metà dei visitatori registrati proveniva da Taiwan e dai territori cinesi di Hong Kong e Macao, anziché da luoghi più lontani come Stati Uniti o Europa. Il decoupling economico parte insomma dall’economia e contagia il turismo.
I nodi economici della Cina
A proposito di economia, Pechino deve fare i conti con qualche nodo spinoso riguardante il settore immobiliare. Evergrande, lo sviluppatore immobiliare cinese più indebitato al mondo, è appena tornato agli scambi alla Borsa di Hong Kong dopo la sospensione di 17 mesi, chiudendo la seduta con un tonfo del 78,79%, a 0,35 dollari di Hk.
Il gruppo di Shenzhen, alle prese con una difficile ristrutturazione, ha annunciato di aver chiuso il primo semestre 2023 con perdite nette per 33 miliardi di yuan (circa 4,5 miliardi di dollari), dimezzando il rosso di 66,4 miliardi registrato nell’analogo periodo di gennaio-giugno 2022 grazie all’aumento delle entrate.
Questo non ha generato un effetto Lehman Brothers né ha intaccato il resto del mondo per due ragioni. Primo: in Evergrande non c’erano rilevanti investimenti stranieri. Secondo: la struttura economica cinese funziona a compartimenti stagni; significa che una crisi localizzata nell’immobiliare non va necessariamente ad intaccare altri settori.
Per capire cosa aspettarsi dalla Cina del futuro bisognerà attendere ancora qualche mese. Nello specifico, sarà fondamentale capire come si svilupperanno le relazioni tra Pechino e Washington. Dalla vicenda Taiwan al commercio, sono tanti i terreni di scontri tra le due superpotenze.