(Adnkronos) – L’Unione Europea dovrebbe approntare un piano per gli investimenti verdi, prevedendo anche regole di bilancio che consentano ai Paesi più indebitati di rallentare nel percorso di riduzione del debito pubblico, a patto che realizzino investimenti volti a ridurre le emissioni inquinanti. A raccomandarlo è un paper del think tank Bruegel, “Un nuovo quadro di governance per salvaguardare il Green Deal europeo”, scritto in collaborazione da Jean Pisani-Ferry, Simone Tagliapietra e Georg Zachmann.
Il piano per gli investimenti verdi, spiegano, dovrebbe garantire che, dopo la graduale eliminazione degli attuali finanziamenti per la ripresa dalla pandemia nel 2026 (Next Generation Eu terminerà in quell’anno), le sovvenzioni verdi dell’Ue rimangano almeno al livello attuale, 50 miliardi di euro all’anno. Per colmare il deficit annuale, secondo gli esperti di Bruegel, occorrono nuove risorse dell’Ue, per un ammontare di 180 miliardi di euro tra il 2024 e il 2030.
Inoltre, aggiungono, le proposte di riforma della governance economica dell’Unione attualmente in discussione dovrebbero essere modificate, per consentire ai Paesi con un debito pubblico superiore al 60% del Pil, ma con finanze pubbliche “sostenibili”, di ridurre il debito a un ritmo più lento, “a condizione che vengano effettuati ulteriori investimenti per ridurre le emissioni” climalteranti.
Per Tagliapietra, coautore del rapporto e senior fellow di Bruegel, “la Commissione di Ursula von der Leyen è riuscita a orientare l’Ue verso la neutralità climatica, ma con l’accelerazione della decarbonizzazione ciò diventerà politicamente molto più impegnativo. Per navigare nelle acque agitate che lo attendono, il Green Deal europeo ha bisogno di un nuovo assetto istituzionale, veramente ‘Fit for 55′”.
“Deve essere chiaro che ciò che l’Ue ha intrapreso non è altro che una rivoluzione industriale. Questo passaggio può avere successo solo se ottiene un sostegno sufficientemente ampio, cosa che a sua volta richiede che le considerazioni sull’equità siano messe in prima linea nell’agenda politica”, sottolinea Jean Pisani-Ferry, senior fellow a Bruegel e coautore. Per gli esperti, il quadro di governance dell’energia e del clima dell’Ue va profondamente rivisto. Oltre ai finanziamenti, a loro avviso, tutte le emissioni dovrebbero essere soggette al sistema di scambio delle emissioni (Ets).
Entro il 2030, prevedono gli specialisti di Bruegel, i sistemi separati di scambio delle emissioni copriranno le emissioni industriali e quelle degli edifici/trasporti, che rappresenteranno i tre quarti di tutte le emissioni territoriali. Dovrebbe essere creato un terzo Ets per i settori non ancora coperti e i meccanismi di controllo delle emissioni dovrebbero essere unificati entro il 2040.
Dovrebbe inoltre essere istituita, secondo il rapporto, un’Agenzia Europea per l’Energia, che consentirebbe di raccogliere e rendere disponibili dati per il processo decisionale, monitorare sistematicamente gli sviluppi che potrebbero richiedere correzioni di rotta, mantenere strumenti di modelling aperti e preparare valutazioni indipendenti delle politiche energetiche dell’Ue e degli Stati membri. Inoltre, la governance dell’energia e del clima dovrebbe essere elevata al livello dei capi di Stato e di governo, per aumentare il coordinamento e la titolarità politica.
Almeno una volta all’anno andrebbero organizzati vertici europei speciali, con i preparativi svolti da un gruppo di sherpa dell’energia e del clima dell’Ue. Infine, lo sviluppo e il funzionamento della rete di trasmissione dovrebbero essere guidati dalla minimizzazione dei costi. Un operatore europeo indipendente del sistema di rete, osservano infine, sarebbe in grado di garantire che la trasmissione transfrontaliera esistente venga utilizzata in modo ottimale, anche per favorire gli investimenti.