Perché questo articolo potrebbe interessarti? Lo sviluppo economico dell’Ue si è poggiato per anni sulle importazioni di energia dalla Russia e di beni di consumo dalla Cina. Entrambi rigorosamente a basso costo. Se le regole del gioco dovessero cambiare – in parte il processo di decoupling è già in corso – si aprirebbero ampie praterie in molteplici settori economici europei. Ecco chi e come potrebbe avvantaggiarsi da questa situazione.
Grandi compagnie energetiche pronte a riempire i vuoti lasciati dall’eventuale stop alle importazioni di gas e petrolio russi. Aziende tessili, dell’alta moda e tecnologiche costrette a rivedere le loro strategie e puntare sui mercati europei. Eccoli alcuni degli effetti principali di un ipotetico decoupling dell’Ue da Russia e Cina.
In questo scenario eventuale si verificherebbe all’orizzonte un cambiamento economico epocale. Già, perché lo sviluppo economico europeo si è poggiato per anni su due pilastri. Da un lato, sulle importazioni di energia a basso costo da Mosca. Dall’altro sulla produzione, sempre a basso costo, di beni di consumo quotidiano da Pechino.
L’avvento del decoupling, in parte effettuato dal Cremlino, spingerà dunque numerosi attori, istituzionali ed economici, a riscrivere le regole del gioco. A vantaggio di chi? Non sempre dei cittadini, costretti a far fronte all’inevitabile aumento dei costi.
Dove può impattare il decoupling
In Europa molte aziende attendono con forza le ristrutturazioni globali delle catene del valore che il decoupling dell’Occidente potrebbe produrre. Il mondo “tripolare” con Occidente, Russia e Cina va verso un nuovo bipolarismo a tutto campo, con gli Usa e la loro costola europea da un lato e una Cina arrembante e una Russia satellite al suo fianco. Ed ecco che in molti settori per le aziende occidentali, europee in testa, nascono sfide e opportunità.
Quel che è successo ad aziende come Eni con il decoupling dal gas russo mostra ad esempio che nell’energia potrà predominare chi avrà la capacità di gestire sia la produzione in loco che la raffinazione e il processo di filiera. Così come lo stop tedesco degli acquirenti semplici come Uniper mostra la fragilità di chi dipenderà da fattori di prodotto esterni.
Saranno favoriti nell’energia (la citata Eni ed Enel), ma in generale nei settori strategici, logistica (Msc), costruzioni, grande distribuzione e via dicendo, gli operatori che avranno accesso a infrastrutture critiche (dell’energia: Snai e Saipem, o infrastrutture generiche, come Webuild) e ai segreti per la loro realizzazione. Per l’Italia questo significherebbe una tendenza: la spinta delle società partecipate.
Saranno dominanti quelle aziende dell’alta ricerca e della tecnologia che potranno o vorranno cercare opere di friend-shoring e re-shoring delle produzioni critiche. Semiconduttori (St e Technoprobe), biotech, infrastrutture scientifiche dovranno avere una nuova fioritura in Occidente. Soffriranno le produzioni strategiche più delocalizzate: quelle legate al green, ad esempio, potrebbero trovarsi nell’ottovolante sul breve e medio periodo. Tutto da valutare, ovviamente, il settore auto.
C’è poi un mondo che è pronto ad andare in volo, ulteriormente, per le tensioni geopolitiche legate al decoupling. Parliamo della Difesa (Leonardo, Fincantieri e Mbda). Sulla scia di una spesa militare globale salita oltre i 2mila miliardi di euro l’Europa riarma. E questo può generare keynesismo militare e nuove opportunità di ricerca e sviluppo.
In questi campi, dunque, le imprese possono aspettare investimenti e sviluppo del business. Con un grande dilemma, la chiave di tutto: alleanza o complementarietà con analoghi settori Usa? Il futuro dell’Europa in caso di decoupling e nuovo bipolarismo dipende dalla soluzione a tale dilemma.
Il peso del disaccoppiamento
Smarcarsi dalla Cina potrebbe costare carissimo, a meno di non avere subito valide alternative. Basta dare un’occhiata ad alcuni dati, presenti e passati. Tra il 2015 e il 2019, il commercio tra Ue e Russia ha sfiorato i 240miliardi di euro. Secondo i dati raccolti da UN Comtrade, nello stesso periodo Ue e Cina hanno raggiunto un interscambio di 645 miliardi, circa il triplo. Partiamo subito col dire che tra il disaccoppiarsi da Mosca e da Pechino ci sarebbe una bella differenza.
La Cina è il quarto mercato di destinazione dell’export italiano (5,3%) e il secondo fornitore dell’Italia (7,9%). L’interscambio commerciale è in crescita costante a partire dal 2017, ed è passato da 42 miliardi a 74 miliardi di euro. Nel 2022 l’Italia è stata il settimo fornitore della Russia e il quinto mercato di destinazione dell’export russo con quote, rispettivamente, del 3,3% e del 4,8%. L’interscambio commerciale è stato di 33 miliardi di euro nel 2022, con un aumento del 25,4% rispetto all’anno precedente. Gli ultimi dati disponibili, riferiti al confronto tra il primo trimestre 2023 e lo stesso periodo del 2022, indicano un calo del 69,7% nel commercio bilaterale.
Accendendo i riflettori su Pechino, secondo il Kiel Institute for the World Economy, un fantomatico disaccoppiamento unilaterale di Bruxelles dalla Cina ridurrebbe mediamente il reddito reale nella stessa Ue dello 0,8%. In termini di pil, e con dati relativi al 2019, questo equivarrebbe ad una perdita permanente del reddito reale di 131,4 miliardi di euro. Tanto peggio andrebbe se Pechino dovesse reagire, con il reddito reale che diminuirebbe dell’1,0 % (170,3 miliardi di euro).
Nel 2020, l’Ue ha importato prodotti made in China per un valore di 383 miliardi di euro, primo Paese dopo gli Usa, ed esportato per 203 miliardi. Per la Cina, dal 2015 l’Ue è il primo partner commerciale, con disavanzo strutturale che oscilla da anni tra i 150 e i 200 miliardi di euro. Al contrario, la Cina è invece il secondo partner commerciale europeo alle spalle degli Usa. Giusto per capirsi, gli investimenti cinesi in Europa sono il 5% di quello statunitensi (200miliardi contro i 1800miliardi Usa).