Perché leggere questo articolo? Sempre più rapporti mostrano che la mafia pugliese è tutt’altro che morta. True-news.it ha intervistato il sociologo Leonardo Palmisano per analizzare il proliferare della Sacra Corona Unita.
La relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, relativa al secondo semestre 2022, conferma la crescita delle mafie in Puglia, dove le organizzazioni criminali, pur “continuando a esercitare modalità di controllo militare del territorio, “sembrano orientarsi verso un evoluto modello di mafia degli affari”. True News ne ha parlato con Leonardo Palmisano, sociologo barese, ex docente di Sociologia urbana al Politecnico di Bari. Oggi collabora con la cattedra di Pedagogia dell’Università di Foggia, e anima del progetto Legalitria che promuove percorsi di legalità nelle scuole di tutta Italia attraverso la lettura. Palmisano è anche autore di “Ascia nera”, uno dei pochi testi pubblicati in Italia sulla mafia nigeriana.
Leggendo la relazione della Dia, qual è la prima impressione che ne ha ricavato?
“C’è un cambiamento che traspare, una evoluzione delle mafie pugliesi che investe i proventi delle estorsioni e deglii stupefacenti in attività economiche. Come tutte le mafie intelligenti, anche quelle pugliesi investono là dove intravedono possibilità di infiltrarsi, soprattutto nei settori dell’edilizia e del turismo. Il bonus 110% è stato una canale adoperato da tutti i sistemi criminali per occultare denaro all’interno del sistema economico legale. Le mafie riescono ad approfittare delle opportunità di lavaggio che gli vengono messe a disposizione laddove c’è una carenza di controllo. Si badi bene, però: non c’è solo la loro intelligenza, a volte c’è una stupidità istituzionale, perché se tu allarghi le maglie di partecipazione ai bandi e allo stesso tempo non curi la parte del controllo, è evidente che questo, sia pure in in modo del tutto involontario, crei dei buchi dentro i quali piovono le imprese criminali o di prestanome dei sistemi criminali”.
Quelle pugliesi, quindi, sono rimaste mafie territoriali?
“Io ho la sensazione che i diversi sistemi si stiano organizzando in base a due fattori: il primo è l’economia del territorio, chi ha soldi investe nell’economia territoriale, chi ha intelligenza e non solo denaro, come i clan baresi, i Parisi in particolare, investe nell’economia globale. Siamo ormai anche in Puglia alle mafie cosiddette “glocali”: i clan mantengono il presidio territoriale ma guardano al globale e in alcuni casi lo ospitano. Si pensi ai clan albanesi che operano nel basso Salento che importano marijuana, quella zona è considerata ormai l’hub d’Europa per la sostanza. Non c’è un effetto di sostituzione o di competizione ma di collaborazione che da sempre ha contraddistinto i sistemi criminali pugliesi, le guerre, se le fanno, le combattono all’interno di ogni singolo sistema criminale”.
Un tempo si parlava di mafia in Puglia e la si identificava con la Sacra corona unita…
“La sacra corona unita è in disarmo, nel senso che non esiste più come un unico blocco, a mio avviso bisognerebbe ormai parlarne al plurale, di Sacre corone unite. Da una parte ci sono le nuove leve, dall’altra i vecchi capibastone come quelli di Manduria o Gallipoli che vogliono continuare a determinare il business. La Scu non esiste più come fatto unitario, come, per esempio, accade che con i garganici che confliggono al proprio interno ma hanno la robustezza di un’unica organizzazione e ne percepisci l’omertà e l’impenetrabilità del sistema. Non è più così per la Scu.
Se la Sacra corona unita è in disarmo, lo stesso non si può dire per le mafie foggiane.
“ La provincia di Foggia rappresenta un problema nazionale, non lo sostengo oggi io, lo ha detto già qualche anno fa l’allora procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho. Nel Gargano, ad esempio, si rivela una intelligenza criminale che è superiore rispetto alle altre mafie pugliesi”.
E il rapporto con le altre organizzazioni mafiose?
Sappiamo sin dagli anni di Salvatore Annacondia (oggi collaboratore di giustizia, è stato a capo della più sanguinosa organizzazione criminale del nord barese che ha seminato paura e morte negli anni ’80 e inizi del ’90, ndr) che a Milano pugliesi e ‘ndranghetisti collaboravano. Oggi i clan pugliesi e calabresi collaborano ad esempio in Lussemburgo, le relazioni sono internazionali e si costruiscono lì dove ci sono i mercati finanziari”.
Cos’altro si muove sul fronte mafie in Puglia?
“Il conflitto in corso in Ucraina, così come accadde per la guerra dei Balcani, condurrà all’arrivo di armi in Puglia portate dalle mafie o da mercenari georgiani e ceceni alle mafie pugliesi, che – cosa nota – hanno la capacità di creare delle santabarbara invidiate in tutta Europa”.
Anche la mafia nigeriana opera in Puglia?
“In Puglia esistono diverse realtà mafiose nigeriane, la città di Taranto e Bari ne ospitano tante. Quella nigeriana è una mafia che trova la capacità di incistarsi laddove c’è una forte concentrazione suburbana o periurbana di persone nigeriane o centrafricane in condizioni di bisogno quindi i ghetti o le baraccopoli o quartieri come il Libertà a Bari. Se noi procedessimo verso una integrazione sociale diffusa invece di concentrazioni coatte avremmo un minore radicamento. Quella nigeriana rappresenta la migrazione più povera anche culturalmente che arriva in Italia dal centro Africa. Per fortuna adesso la risposta arriva da altri nigeriani che hanno creato proprio a Bari un’associazione: quel flusso che ha generato la mafia genera anche una risposta associativa positiva”.