(Adnkronos) – Il 70% delle donne con tumore ovarico conosce già la malattia prima della diagnosi: 10 anni fa appena il 30% ne aveva sentito parlare. Meno di 3 pazienti su 10, però, scelgono di curarsi in un centro specializzato per questa neoplasia, ignorando quanto tale decisione possa fare la differenza nel percorso di cura. Ancora: il 70% delle pazienti scopre il tumore quando è già in fase avanzata, a causa di sintomi aspecifici e per la mancanza di strumenti di screening efficaci. Sono solo alcuni risultati dell’indagine condotta da Acto Italia su oltre 100 pazienti sul territorio nazionale, riportati in ‘Cambiamo rotta’, il primo Libro bianco illustrato di voci, bisogni e proposte delle donne con tumore ovarico, presentato oggi al ministero della Salute. Realizzato grazie al contributo di oltre 20 professionisti, tra clinici ed esperti, e alle testimonianze di 9 donne che raccontano il proprio viaggio lungo il percorso di diagnosi e cura, il volume contiene contributi di rappresentanti istituzionali che si sono dimostrati sensibili al tema, tra cui la prefazione del ministro della Salute Orazio Schillaci.
“Desidero esprimere il mio apprezzamento e la mia gratitudine ad Acto Italia – scrive Schillaci – per la realizzazione di questo testo particolarmente significativo e per l’impegno costante a fianco delle donne colpite da tumore ovarico e da tutti i tumori ginecologici. Prevenzione, diagnosi precoce e una presa in carico tempestiva e appropriata sono le linee strategiche delineate dal Piano oncologico nazionale 2023-2027, nonché le leve fondamentali su cui puntare con rinnovato impegno, anche cogliendo a pieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie”.
Il Manifesto Acto 2.0 – ricorda l’associazione – sintetizza le 7 azioni prioritarie per migliorare la presa in carico globale delle donne con tumore ovarico ed è stato redatto a partire dall’analisi dei loro bisogni e dalle indicazioni dei maggiori clinici ed esperti in quest’ambito. Il progetto ‘Cambiamo rotta’, presentato a pochi giorni dalla Giornata mondiale dei tumori ginecologici che cade il 20 settembre, è promosso con il patrocinio di Acto Italia, Alleanza contro il tumore ovarico Ets, e sponsorizzato da Gsk e Roche. Ha inoltre ricevuto il patrocinio di Aiom (Associazione italiana oncologia medica), Mango (Mario Negri Gynecologic Oncology Group), Mito (Multicenter Italian Trials in Ovarian Cancer), Salute: un bene da difendere un diritto da promuovere, Sic (Società italiana di cancerologia), e l’adesione delle associazioni Loto e Mai più sole. Madrina d’eccezione Nancy Brilli.
“E’ necessario e urgente promuovere un nuovo cambio di rotta nella gestione del tumore ovarico – afferma Nicoletta Cerana, presidente Acto Italia – Quindi, aumentare l’informazione sulla malattia e sui centri specializzati per promuovere scelte di cura più consapevoli; sostenere la ricerca per la diagnosi precoce che ancora oggi resta una chimera; aprire ai test genomici per rendere possibili le cure personalizzate; cominciare a parlare di sessualità e oncologia, un ambito di bisogni del tutto dimenticato che sta emergendo sempre più forte da parte delle pazienti. Si vive di più anche con il tumore ovarico, di conseguenza è diventato necessario prendersi cura della persona, oltre che curare la malattia”.
“Negli ultimi 5 anni – sottolinea Nicoletta Colombo, docente all’università di Milano-Bicocca, direttore Programma Ginecologia Ieo Milano – è accaduto quello che io definisco uno tsunami nel trattamento del carcinoma ovarico: per la prima volta siamo riusciti ad aumentare la percentuale di pazienti potenzialmente guarite. Abbiamo scoperto il primo ‘bersaglio’ del tumore ovarico che può essere colpito con farmaci mirati: si chiama Deficit della ricombinazione omologa (Hrd), presente nei tumori di tutte le pazienti con mutazioni Brca e di un altro 25% di pazienti senza mutazioni di questi geni. Quindi nella metà dei casi totali. Bisogna perciò garantire due tipi di test: genetici, a scopo di prevenzione delle persone sane, e genomici sul tessuto tumorale, come il test Hrd, per personalizzare le cure nelle donne malate”.
Dalla ricerca emerge che meno il 45% delle pazienti accede alla profilazione genomica e che c’è un 12% di pazienti a cui non è stato proposto il test genetico per le mutazioni Brca. Ad oggi, però, solo la ricerca delle mutazioni Brca (test genetico) è nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), mentre la ricerca di Hrd (profilazione genomica) non è ancora rimborsata dal Servizio sanitario nazionale. “Il rischio – avverte Umberto Malapelle, Chair del Laboratorio di Patologia molecolare predittiva, Dipartimento di Sanità pubblica, università degli Studi Federico II di Napoli – è che non tutte le pazienti possano accedere ai test in modo uniforme sul territorio e, di conseguenza, non abbiano le stesse opportunità di cura”.
I test rappresentano quindi un requisito essenziale per garantire a ogni paziente una strategia terapeutica personalizzata. “I risultati di questa personalizzazione – aggiunge Domenica Lorusso, professore associato di Ostetricia e Ginecologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e responsabile Uoc Programmazione ricerca clinica presso Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma – riguardano soprattutto la terapia medica e di mantenimento, e si traducono in una opportunità concreta di attingere a nuove classi di farmaci mirati e a bersaglio molecolare – Parp inibitori, immunoterapie, anticorpi farmaco coniugati – che richiedono una gestione e una presa in carico di un team multidisciplinare. Da qui l’esigenza di identificare i centri oncologici specializzati dove queste pazienti possono essere curate”. Le donne però non ne sono consapevoli: secondo l’indagine, solo il 27% delle pazienti dichiara di aver scelto il proprio centro in base alla specializzazione nel trattamento del carcinoma ovarico.
“Il trattamento chirurgico oggi – rimarca Giovanni Scambia, direttore Uoc Ginecologia oncologica Fondazione Policlinico universitario Gemelli Irccs – rappresenta la terapia d’elezione in tutte le fasi della malattia: nello stadio iniziale, dove l’intervento e la chemioterapia permettono di raggiungere tassi di guarigione anche dell’80-85%; negli stadi avanzati, dove l’intervento da solo riesce a eradicare la malattia in circa il 60% delle pazienti. Solo i centri specializzati possono infatti garantire anche l’expertise dell’0équipe chirurgica”.
Dichiara Laura Cappellari, Patients Affairs Director di Gsk: “Siamo orgogliosi di aver potuto sostenere ‘Cambiamo rotta’ ed il grande contributo delle associazioni di pazienti nella realizzazione del primo Libro bianco sul tumore ovarico, anche in vista della Giornata dei tumori ginecologici del 20 settembre. Nel nostro lavoro, è fondamentale collaborare con i pazienti e i loro caregiver tramite le organizzazioni che li rappresentano. Rinnovare il nostro impegno al loro fianco è un obiettivo per noi prioritario, a cui lavora un team interamente dedicato all’advocacy e all’engagement”.