Perché leggere questo articolo? Lunedì 18 settembre il Consiglio dei ministri ha approvato la riforma della scuola. I sindacati si sono immediatamente mostrati perplessi rispetto alla riforma promossa dal ministro Valditara. Da Confindustria, invece, si leva un cauto ottimismo rispetto alla riforma che punta a migliorare l’avvicinamento tra scuola e mondo del lavoro. True-news.it ha intervistato Gianni Brugnoli, vice presidente di Confindustria per il Capitale umano.
Come annunciato a True-news.it dalla sottosegretaria al Ministero dell’istruzione e del merito, Paola Frassinetti, il governo ha intenzione di mettere mano sulla scuola. Lunedì 19 settembre il Cdm ha approvato la riforma della scuola, che, oltre al voto in condotta, prevede alcune modifiche alla formazione tecnica. I sindacati e le opposizioni hanno mostrato scetticismo nei confronti del provvedimento, che hanno definito “un disastro annunciato”. A Confindustria, invece, non sembra dispiacere il progetto. Gianni Brugnoli, vice presidente di Confindustria per il Capitale umano, ha commentato a True-news.it la proposta di riforma della scuola.
Dottor Brugnoli, come giudica la riforma della scuola appena vagliata dal Consiglio dei ministri?
In realtà quello varato dal Consiglio dei Ministri è il nucleo di una riforma che partirà da una sperimentazione dal prossimo anno scolastico e su cui è previsto anche il coinvolgimento dei territori. È un primo passo significativo, e metodologicamente corretto, perché darà tempo di sedimentare le tante novità che saranno introdotte nel nostro sistema. Tra queste la valorizzazione nelle filiere di modelli innovativi come gli ITS Academy che nel 4+2 diventeranno il completamento naturale dei percorsi tecnico-professionali, IeFP compresi; la possibilità che in aula ci siano docenti provenienti dal mondo produttivo; il puntare convinto su apprendistato, PCTO, laboratori.
Non mancheranno aggiustamenti di tipo amministrativo, come il ripristino della cabina di regia che mancava da 10 anni al Ministero dell’Istruzione: una direzione generale per l’istruzione tecnico-professionale e i rapporti scuola-lavoro. È un processo lungo e che può cambiare in meglio il nostro sistema. Quindi più che un giudizio, voglio esprimere l’auspicio che quanto scritto si integri davvero nella vita quotidiana delle scuole. Con le imprese pronte a fare la loro parte.
I sindacati parlano di un “disastro annunciato”. Come reputa la situazione della scuola italiana sul fronte dell’avviamento al lavoro?
In questa fase iniziale sembra un pre-giudizio, più che un giudizio. C’è un dato innegabile: il mismatch tra fabbisogno delle imprese e offerta formativa è quasi raddoppiato negli ultimi anni e va affrontato. Unioncamere certifica che si è passati dal 33% del 2019 al 45% attuale. Solo a settembre 2023 siamo già al 48%. Praticamente metà dei posti messi a disposizione delle imprese non vengono coperti, in media 500mila ogni mese, e nella maggior parte dei casi perché non ci sono persone a sufficienza che abbiano fatto percorsi tecnico-scientifici.
Ecco perché bisogna intervenire, a partire da orientamento e filiera tecnico-professionale. È un tema che riguarda l’Italia nello specifico ma che sta dilagando in tutta Europa e in tutta Europa si sta cercando di incrementare le alleanze scuola-lavoro-impresa. Questa riforma può metterci al passo e anche colmare ritardi atavici del nostro Paese. Tra l’altro, come mostra un sondaggio recente del Sole 24 Ore (elaborato da SWG), il primo desiderata delle famiglie sulla scuola dei propri figli è una conoscenza pratico-operativa, seguono il saper fare e il sapere tecnologico. Mi sembra, pertanto, che l’opinione pubblica abbia compreso la grande necessità di una riforma di questo tipo.
Come giudica il sistema dell’alternanza scuola lavoro che è spesso stato oggetto di critiche? In che modo è migliorabile?
In questi casi è proprio vero: fa molto più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. Da prima della “Buona Scuola” ad oggi si è passati da 300mila studenti impegnati in alternanza a quasi 1,5 milioni. È chiaro che non tutto è andato come doveva, purtroppo, ma vi assicuro che le buone pratiche sono state molto numerose: ad esempio in Confindustria abbiamo riconosciuto più di 500 Bollini per l’Alternanza di Qualità (BAQ) ad aziende che si sono distinte nei percorsi di alternanza prima e PCTO oggi, coinvolgendo migliaia di ragazzi.
La ricetta? La partecipazione attiva dell’impresa in tutte le fasi del percorso: dalla co-progettazione con gli insegnanti alla valutazione finale. La parte che vede gli studenti impegnati in azienda non è l’unica parte di un’alternanza fatta come si deve. L’errore sta qui ed è qui che bisogna lavorare: intanto creando partnership strutturali tra scuola e impresa, poi formando – insieme – tutor aziendali e scolastici, anche sul fronte della sicurezza che è la cosa più importante. Aiuterà molto, negli obiettivi della riforma, la partecipazione di docenti “esterni” (anche dalle imprese) alla vita scolastica. Per questo sono fiducioso.
Il percorso di istruzione superiore ridotto da 5 a 4 anni, seguito da 2 anni di specializzazione presso gli Its sarà utile al reperimento di risorse per le aziende?
È evidente che sarà un modo per allargare il bacino di possibili candidati per le nostre aziende, a partire da quelli per gli ITS Academy. Ma è solo una delle conseguenze potenziali della riforma: intanto i giovani che scelgono questo percorso e arrivano fino alla fine a 20 anni avranno un titolo di istruzione terziaria e, proprio perché un ITS, in oltre il 90% dei casi un lavoro. Considerando che un giovane con titolo di studio terziario oggi entra in media nel mondo del lavoro a 26 anni, direi che è un bel vantaggio. Tuttavia, questo lavoro dopo gli ITS non arriva a caso, ma è la conseguenza del fatto che le imprese siano state parte integrante del percorso.
Il “segreto”, se così si può chiamare, sta tutto qui: le imprese che vogliono reperire giovani formati non possono aspettare che piovano dall’alto, ma devono partecipare attivamente alla loro formazione, già nel periodo scolastico. La vera novità di questa riforma è che consente alle imprese di esercitare la loro responsabilità educativa anche nelle scuole superiori: forse è questa la vera rivoluzione, in primis culturale, di quanto è stato deciso ieri.
Gli istituti tecnici al momento sono “scuole di serie B”?
Non nego che ci sono istituti tecnici, ma anche professionali, che non hanno performato in questi anni. I dati dell’ultimo rapporto OCSE “Education at a glance” sono piuttosto espliciti. Ma bisogna fare attenzione: non tutta l’istruzione tecnica è uguale, anzi. Ci sono tanti istituti modello, più che virtuosi, direi eccellenti, che nel nostro Paese sono presenti a macchia di leopardo e che finora non sono riusciti a diventare sistema. Ne ho visti tanti in questi anni e posso garantire che sono scuole che non hanno niente da invidiare ai più blasonati licei. Quindi no, non sono scuole di “Serie B” perché, se andassimo a fare una “Serie A” delle scuole italiane troveremmo tutti gli indirizzi: licei, istituti tecnici e istituti professionali di qualità.
Perché il livello di una scuola dipende anche da indici socio-economici che cambiano da un territorio e l’altro. Per restare nella metafora calcistica, però, la sfida è proprio questa: fare in modo che le scuole di “Serie B” – siano essi licei, istituti tecnici e professionali poco performanti – facciano il salto di categoria fino a quando non ci sarà più differenza con le scuole di “Serie A”: una sorta di superlega che non lasci indietro nessuno. Proprio per questo serve una riforma coraggiosa che porti a sistema quanto di buono c’è già e lo faccia diventare patrimonio del Paese.