(Adnkronos) – Gli esperti li chiamano ‘farmaci viventi’, non sono molecole sintetizzate in laboratorio, ma cellule del sistema immunitario, linfociti T, che i ricercatori sono capaci di ‘istruire’ e armare contro i tumori tramite tecniche di ingegneria genetica. Una ‘rivoluzione’ quella delle terapie Car-T che si sta concretizzando e che vanta numeri in crescita: ad oggi si contano già 6 farmaci approvati e più di 1.400 studi clinici registrati nel mondo. Sulle prospettive di questa via terapeutica si è fatto il punto oggi a Milano dove oltre mille scienziati sono riuniti per discutere delle nuove frontiere dell’immunoterapia al Cicon23 (International Cancer Immunotherapy Conference), evento organizzato dal Network italiano per la bioterapia e l’immunoterapia dei tumori (Nibit), in corso fino a domani, sabato 23 settembre.
La conferenza offre uno spaccato sulle realtà accademiche e industriali impegnate nello sviluppo di nuove terapie di questo tipo. “Il nostro sistema immunitario – spiega Anna Mondino, responsabile dell’Unità di attivazione linfocitaria all’Irccs ospedale San Raffaele di Milano – si è evoluto per imparare a riconoscere agenti infettivi come virus e batteri, ed è capace di riconoscere anche ‘cellule tumorali impazzite’ e spesso di eliminarle prima ancora che si sviluppi un vero e proprio tumore. In alcuni casi però, il tumore si nasconde o spegne le risposte immunitarie, sfuggendo al controllo e prendendo il sopravvento. Da qui l’idea di provare ad amplificare i meccanismi naturali delle cellule del sistema immunitario”.
Ad oggi, aggiunge Giulia Casorati, responsabile dell’Unità di immunologia sperimentale del San Raffaele, “si possono ottenere linfociti anti-tumorali direttamente dai tumori dei pazienti (linfociti infiltranti i tumori), o generarli in laboratorio tramite ingegneria genetica. Abbiamo infatti imparato a modificare geneticamente cellule del sistema immunitario del paziente con molecole naturali (come il recettore delle cellule T, Tcr), o sintetiche (come il recettore antigenico chimerico, Car) che le guidano a riconoscere ed uccidere le cellule tumorali”. Una strategia studiata da Chiara Bonini, oggi professore ordinario di Ematologia all’università Vita-Salute San Raffaele, che da studentessa nel gruppo diretto da Claudio Bordignon pubblicò nel 1997 su ‘Science’ il primo lavoro di ingegneria genetica dei linfociti.
“Sappiamo oggi come accendere e spegnere molecole che possono rispettivamente attivare o inibire i linfociti – spiega Bonini – e abbiamo nuove metodologie sempre più efficaci e sicure per modificare geneticamente le cellule dei pazienti. I risultati sono entusiasmanti. La terapia con Car-T ha ottenuto una risposta completa in una elevata percentuale di pazienti nel trattamento di alcune neoplasie ematologiche. Sappiamo però che i pazienti possono avere ricadute cliniche perché il tumore impara a sfuggire alla terapia”.
Inoltre, il trattamento dei tumori solidi rappresenta ostacoli aggiuntivi. “Stiamo dotando le Car-T di nuove armi contro il neuroblastoma, una malattia, ad oggi senza una vera alternativa terapeutica”, commenta Gianpietro Dotti, ricercatore italiano ora al Lineberger Comprehensive Cancer Center dell’università del North Carolina negli Stati Uniti. Tra i relatori del Cicon23 ci sarà anche Cassian Yee dell’università del Texas, tra i primi ad aver creato una mappa genetica dei linfociti anti-tumore, di recente pubblicata sulla rivista ‘Nature Medicine’.
“Abbiamo una massa critica di clinici e ricercatori all’avanguardia, centri di riferimento ospedalieri di eccellenza, un’agenzia regolatoria preparata, e il supporto di agenzie di finanziamento importanti come l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro – conclude Pier Francesco Ferrucci, presidente del Nibit e direttore dell’Unità di bioterapia dei tumori all’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano – La terapia cellulare potrà essere usata in combinazione con terapie tradizionali come la chemioterapia e la radioterapia, e anche con le nuove strategie come i vaccini a mRna, e gli inibitori dei checkpoint immunitari. E’ arrivato il momento di mettere in rete le competenze presenti sul territorio e lavorare insieme per rendere queste terapie una realtà clinica effettiva. Questo uno degli scopi del Nibit”.