(di Sallustio Santori)
Ma allora, il vero capo della diplomazia vaticana chi è? Il cardinale Pietro Parolin, che guida la Segreteria di Stato e ha al suo comando la migliore diplomazia del mondo, essendo egli stesso un diplomatico di razza. Oppure è il presidente dei vescovi italiani nonché cardinale bolognese (ma romano di nascita) Matteo Zuppi? È dunque lui il “Pietro Romano” della profezia di Malachia che, medievaleggiando prevede un ultimo pontefice nella lunghissima sequenza composta secoli fa, al termine della quale il Signore giudicherà tutti, amen?
Zuppi, il cardinale di Sant’Egidio
Andiamo con ordine. In realtà le cose sono molto più semplici (e soprattutto la superstizione non c’entra niente) di quello che sembrano. Da tempo, com’è facile notare dai giornali, il presidente della Conferenza episcopale italiana non fa che andare in giro per il mondo: media (o ci prova, almeno) tra Russia e Ucraina; vede la nomenclatura cinese a Pechino; parla e si fa vedere. Di ritorno dalla Mongolia, papa Francesco – nelle sue consuete ed estemporanee conferenze stampa a 10mila metri di quota nel corso delle quali spesso deraglia – ha detto che dalle parti della Città Proibita, nell’ex Celeste Impero, ci andrà probabilmente “Giovanni XXIV”, ossia il suo successore par di capire. E in una Chiesa che vuole allargarsi alle periferie, da quelle esistenziali dell’anima a quelle delle favelas, villas, banlieue e ghetti di tutto il mondo, il cardinale che fece fare i tortellini col ripieno di pollo per consentire anche agli amici musulmani di godere della famosa pasta imbottita felsinea può essere l’uomo giusto al posto giusto.
Da Sant’Egidio a Wikileaks
Classe 1955, Zuppi nasce in una famiglia nella quale il papà è giornalista e la mamma nipote del cardinale Carlo Confalonieri: avvicinatosi alla Comunità di Sant’Egidio nel 1973 dopo averne conosciuto il fondatore Andrea Riccardi (quello che quarant’anni dopo proverà a salire in politica con Scelta Civica di Mario Monti con risultati non proprio esaltanti, sia pure il periodo di ministro della Solidarietà), è sacerdote dal 1981 e negli anni ‘90 comincia a ricoprire un ruolo in quella che chiamano “Onu di Trastevere”: Sant’Egidio, infatti, è una diplomazia parallela della Santa Sede, che se ne serve – come hanno notato i diplomatici Usa nei cablogrammi di Wikileaks – come ballon d’essai nelle situazioni più delicate o difficili da gestire in prima battuta: se il tentativo di Sant’Egidio va bene, allora la diplomazia ufficiale del Cupolone si muove, altrimenti lascia stare. E infatti negli anni ‘90 Zuppi media la difficile situazione del Mozambico fino a diventare, scrivono gli americani in un cablo del 2002, “Africa hand”, il responsable di tutte le operazioni nel Continente nero.
Non proprio il personaggio dall’aspetto bonario e dimesso come appare nelle fotografie: Zuppi è uno che conosce l’arte della mediazione, tanto che nello stesso cablo (02VATICAN1179_a) si riferisce come in questa cena del marzo 2002 offerta da Riccardi all’ambasciatore Usa in Vaticano Jim Nicholson, Zuppi abbia informato l’ambasciatore “sulle recenti e passate interazioni di Sant’Egidio con Fidel Castro”. Si parlava di Cuba, quella sera, e Zuppi dunque ne era informato: al tavolo sedeva anche l’allora don Vincenzo Paglia, “Esperto di Balcani e vescovo di Terni” (oggi è arcivescovo, consigliere spirituale di Sant’Egidio nonché presidente della Pontificia accademia per la vita).
Tutto chiaro, insomma: Zuppi è conosciuto. Anche dal governo americano, visto che in quella cena venne ribadita “la stretta cooperazione” con Washington. Certo, uno così vicino agli americani potrebbe diventare Papa? I cinesi, certamente, conoscono i loro polli (e infatti Zuppi si è occupato prevalentemente d’Africa), e così immaginiamo i russi. Un mediatore che di fatto è targato stellestrisce, pur provenendo dal Vaticano, riesce ad essere l’uomo giusto al posto giusto? Il giusto successore di un Papa peronista che non ama l’Occidente e ha alzato più volte la sua voce criticandolo?
Il cardinale veneto: piace, tace… e studia i dossier
Ecco allora che, per quanto l’esposizione del porporato romano indichi una sorta di “campagna elettorale” anticipata dell’attuale pontefice (ma non erano vietati i patti pre-conclave dalle norme che lo regolano?). Soprattutto, Oltretevere c’è chi si pone queste domande: questa esposizione non è in fondo un modo per presentare Zuppi come un potenziale successore, magari come Giovanni XXIV? Uomo di pace come Giovanni XXIII, Angelo Roncalli oggi Santo; uomo di esperienza internazionale con Sant’Egidio: manca solo un bel successo diplomatico e dopo… chissà, Jorge Mario Bergoglio potrebbe dimettersi? Saperlo.
Problemi di Bergoglio e del cardinale di Sant’Egidio, per il momento almeno; certo è che dall’altro lato c’è un diplomatico di razza, anch’egli ben noto agli americani e che in passato è stato spesso sentito dai colleghi yankee su temi come il Vietnam – dove ha mediato con successo un accordo per il riconoscimento dei vescovi – e sulla Cina prima che, con un colpo all’estremo ribasso, Francesco non decidesse di provare a “normalizzare” i rapporti con Pechino. Un rapporto così normalizzato che Roma sostanzialmente subisce in modo supino i desiderata cinesi. Qualcosa che Pietro Parolin da Schiavon nel Vicentino, classe 1955 pure lui, non avrà probabilmente gradito: ma se il principale ordina, lui deve eseguire.
In giro per il mondo. Parolin, la Cina e il Conclave che verrà
Ma il fatto che egli esegua non gl’impedisce di seguire le partite di potere in Vaticano: figlio di un ferramenta morto in un incidente stradale quando lui aveva 10 anni, e di una maestra elementare, Parolin è sacerdote dal 1980 e dal 1986 opera sul campo come diplomatico papale: è stato in Nigeria, Messico, ha guidato Villa Nazareth (potente istituzione, collegio che accoglie studenti in quel di Roma e dalla quale è passato, per esempio, il futuro premier Giuseppe Conte), è diventato sottosegretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato nel 2002. Praticamente il viceministro degli Esteri del Vaticano ad appena 47 anni: una carriera folgorante che lo ha portato a occuparsi del Sudest asiatico e, appunto, del dossier cinese. Un lungo impegno che l’aveva quasi portato al successo, quando nel 2008 qualcosa è andato storto: i cinesi avrebbero apprezzato il palcoscenico mondiale offerto dalle Olimpiadi per annunciare la normalizzazione dei rapporti (in cambio il Vaticano avrebbe dovuto chiudere definitivamente la Nunziatura – l’ambasciata – di Taiwan, dal 1972 senza un nunzio ma sempre in attività), ma Roma non se n’è data per intesa e ha temuto – timore anche avvertito dagli americani, come dai cablo di Wikileaks – che l’occasione potesse essere utilizzata solo per un megaspot in salsa rossa al regime comunista dell’ex Celeste Impero. Accordo sfumato e tutto da rifare, almeno fino all’avvento al Soglio di Francesco che ha inteso accordarsi al ribasso pur di cogliere un successo diplomatico.
Schivo, silenzioso, Parolin lavora sodo e non fa piazzate. È un uomo di macchina che cammina a passi lunghi e ben distesi a metri di distanza dal suo datore di lavoro e tace. Ma ha un vantaggio, sia su Bergoglio che su Zuppi: lui, a differenza loro, legge attentamente i dossier e la documentazione che la diplomazia d’Oltretevere produce ogni giorno. Conosce gente, s’informa. E in passato non ha mancato di lodare la figura di Giovanni Paolo I, quell’Albino Luciani gabellato come progressista quando era un acuto, intelligente conservatore. Come Papa di mediazione, specie dopo questo pontificato così affrettato in alcune uscite (vedasi Lgbt su tutti) e gesti a volte incomprensibili (da quando un Papa non si segna pubblicamente?), non sarebbe affatto male (è contro i matrimoni gay e ha ribadito il suo no all’eutanasia). A meno che lo Spirito Santo, come sempre, non disponga altrimenti. E non è detto che il prossimo Conclave non sia alquanto sorprendente.