Home Pharma Mastandrea (Incyte): “Bene la riforma, ma l’Ue non freni competitività e innovazione”

Mastandrea (Incyte): “Bene la riforma, ma l’Ue non freni competitività e innovazione”

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La riforma della legislazione farmaceutica europea e la necessità di non perdere competitività rispetto ai Paesi extra Ue; le ricadute in termini economici e di capitale umano del settore pharma per l’Italia; il ruolo di r&d e innovazione per trovare soluzioni terapeutiche in aree con elevati bisogni insoddisfatti. Di questo e molto altro ha parlato a True-News.it Onofrio Mastandrea, Regional Vice President, General Manager di Incyte Italia, azienda biotech fortemente impegnata sul fronte della ricerca.

La riforma della legislazione farmaceutica europea tocca diversi aspetti che possono avere un significativo impatto sulla capacità dell’Europa di attrarre investimenti in ricerca e sviluppo. Qual è il punto di vista di Incyte?

Si tratta di un intervento di riforma benvenuto, perché è il primo in 20 anni: è necessario perché spesso la velocità dell’innovazione non è la velocità del sistema di norme che la regola. L’attuale ecosistema dell’innovazione è cambiato e ha subito una forte accelerazione. Condividiamo gli obiettivi di fondo della riforma, ovvero promuovere un accesso equo e sempre più rapido nell’ambito dell’Unione Europea, ma come arrivare agli obiettivi fa tutta la differenza.

Cosa intende?

La proposta di revisione del pacchetto legislativo, così come è strutturata, rischia di avere l’effetto contrario alla sua proposizione, minando l’equilibrio di un comparto strategico come il nostro e penalizzando le aziende del settore che maggiormente investono in ricerca e sviluppo. A maggior ragione le realtà biotech che fondano il proprio modello di business su un altissimo coefficiente di R&D.

Il settore biotech è infatti quello che investe in R&D più di tutti gli altri in Europa, quasi un quinto delle proprie revenue.

È così. Incyte è superiore alla media; basti pensare che solo in Italia reinveste aoltre l’80% della sua revenue in ricerca. Lo scenario è cambiato: l’innovazione non è più guidata da pochi grossi player, ma sempre più spesso nasce all’interno di aziende biotech di piccole o medie dimensioni. Rendere l’innovazione non sostenibile può portare a risultati contrari agli obiettivi perseguiti, in primis una perdita di competitività dell’Europa.

La richiesta di Ursula von der Leyen a Mario Draghi di redigere un report sulla competitività dell’EU è un segnale che sta crescendo la consapevolezza sul bisogno di mantenere l’Europa al passo con le altre Regioni del mondo.

Esatto e in questo report auspichiamo un affondo sul settore pharma e biotech. L’Unione Europea non può permettersi una perdita di competitività, perché Cina e USA corrono, mentre si affacciano altri attori come India e Arabia Saudita. Oggi gli USA attirano il 52% degli investimenti, mentre l’Ue si ferma al 31% e l’Oriente cresce al 17%. Su dieci farmaci approvati dall’Ema, cinque provengono dagli Usa, tre dalla Cina e due dall’Europa: 20 anni fa, le proporzioni erano capovolte.

Qual è dunque la vostra richiesta?

Auspichiamo che la riforma sappia considerare la specificità del comparto e fare tesoro delle prassi che ad oggi hanno dato buoni frutti. Il tema della sostenibilità è centrale per aiutare le aziende del settore a continuare a investire nel futuro.  Dobbiamo decidere se vogliamo un’Europa in cui l’innovazione genera valore aggiunto all’interno della Regione, oppure un’Europa che si limita a commercializzarla.

Quanto è importante, per un’azienda come Incyte, un sistema che incentivi l’innovazione, rendendola sostenibile?

Fondamentale. Come citato prima, Incyte è un’azienda profondamente orientata alla ricerca. Nasciamo nel 2002 a Wilmington (Delaware, US), proprio grazie all’iniziativa di un gruppo di 23 ricercatori. Oggi l’azienda a livello globale conta più di 2000 dipendenti e di questi oltre 800 sono impegnati sul fronte della Ricerca e Sviluppo. Sempre a livello globale, Incyte abbiamo in studio 20 più di molecole che possono rappresentare una nuova risposta a patologie ad oggi difficili da trattare.

Che ruolo riveste l’Italia nella vostra strategia?

L’Italia gioca un ruolo di primo piano. Basti pensare che dal nostro arrivo in Italia abbiamo circa 60 studi clinici autorizzati per un totale di oltre 400 centri coinvolti e più di 650 pazienti arruolati. Ma ciò che ritengo più importante sottolineare, è che il 25% dei nostri trial in Italia sono di fase 1, il che significa reale accesso precoce alle più recenti innovazioni in ambito farmacologico.

Su quali aree terapeutiche?

La nostra ricerca si concentra su aree terapeutiche con elevati bisogni insoddisfatti in oncologia, ematologia e dermatologia. Questo approccio ha portato a una forte eredità di farmaci first in class scoperti da Incyte per pazienti che in precedenza avevano opzioni di trattamento limitate. In questo contesto, per consentire ad aziende come la nostra di continuare a investire in ricerca e generare innovazione accessibile ai pazienti, è imprescindibile un quadro normativo incentivante, con norme chiare e inequivocabili.

Torniamo così alla riforma europea e in generale al peso di politiche sanitarie e industriali definite.

Nel settore in cui operiamo il “Diritto all’innovazione” è sinonimo di “Diritto alla salute”, e si traduce in nuove opzioni terapeutiche per i pazienti e i cittadini. Questo tipo di innovazione non può rispondere ad un criterio ragionieristico: è il modello regolatorio e di sostenibilità economica che deve adeguarsi alla spinta di innovazione, e non viceversa. E questo anche in un’ottica di attrazione di capitali, non solo economici ma anche intellettuali, umani, tecnologici.

Ci faccia qualche esempio.

Sul fronte economico, grazie a diversi studi accademici sappiamo che gli investimenti privati generano un risparmio per il Sistema Sanitario Nazionale in termini di costi evitati di quasi tre volte l’investimento, che una recente pubblicazione di Farmindustria ha stimato in circa quattro miliardi di euro nel solo 2021. Vantaggi a cui si associano i benefici dei programmi di uso compassionevole, quantificati tra € 26,5 milioni e € 50,6 milioni netti nei soli 11 programmi condotti in Italia tra il 2015 e il 2020, di cui diversi avviati proprio da Incyte.

In più occasioni anche qui su True-News.it abbiamo evidenziato i benefici in ambito di capitale umano: il settore farmaceutico impiega direttamente 67 mila persone in Italia, di cui il 43% donne, laureate o diplomate.

È così e inoltre si posiziona al primo posto tra i settori industriali per attività di welfare, formazione e sostegno alla genitorialità, sempre secondo i dati di Farmindustria. Il capitale investito in ricerca favorisce una crescita dei centri di eccellenza, la possibilità di inserire l’accademia all’interno di network internazionali, l’occasione di approfondire la conoscenza dei farmaci innovativi da parte degli operatori sanitari e di integrarle nella pratica clinica, prima che queste entrino nel circuito distributivo. Non da ultimo il comparto pharma sta investendo nel processo di transizione digitale il 150% in più rispetto alla media nazionale della manifattura.

Abbiamo parlato di ricerca e innovazione, quali sono da questo punto di vista le novità più interessanti nella vostra pipeline?

La nostra attività scientifica si sviluppa su due grandi direttrici: oncologia e oncoematologia, infiammazione e autoimmunità. Abbiamo in sviluppo oltre 19 potenziali prodotti per patologie rare o ad alto bisogno terapeutico insoddisfatto. In particolare fermento, è l’area dermatologica, in cui stiamo sviluppando soluzioni per diverse patologie autoimmuni e infiammatorie. Siamo appena tornati dal Congresso EADV, nell’ambito del quale sono state presentate diverse novità.

Qual è quella più prossima?

Sicuramente sul fronte del trattamento della vitiligine, una patologia che ancora oggi viene spesso ridotta alla sua sfera estetica, ma che ha un forte impatto psico-sociale sui pazienti e può essere associata a numerose altre malattie auto-immuni. Da alcuni mesi l’Ema ha approvato il Ruxolitinib crema come primo e unico trattamento, indicato per pazienti adulti e adolescenti dai 12 anni, affetti da vitiligine non segmentale con coinvolgimento del viso. Negli Stati Uniti il farmaco è già disponibile dallo scorso anno per il trattamento della patologia, oltre che per la dermatite atopica lieve e moderata.

Un primato importante.

Si tratta della prima volta in cui viene sviluppata una formulazione in crema di un JAK1/2 inibitore: una sfida biotecnologica veramente innovativa, frutto dell’investimento economico, intellettuale e tecnologico di cui abbiamo avuto modo di parlare all’inizio. Ma come ho anticipato questo filone di ricerca ha consentito di sviluppare soluzioni che si rivolgono ad unmet need in altre patologie dermatologiche, come la dermatite atopica e l’idrosadentite suppurativa.

L’innovazione può produrre risultati interessanti anche quando applicata alla comunicazione. Ne è un esempio il cortometraggio “L’ospite”, un progetto di Incyte presentato recentemente anche alla Mostra del Cinema di Venezia.

Questo progetto è nato dal confronto costante con AIL (Associazione Italiana contro Leucemie, Linfomi e Mieloma), con cui abbiamo condiviso un importante obiettivo di sensibilizzazione sul tema delle patologie ematologiche, nonché la volontà parlarne attraverso un linguaggio nuovo, quello del cinema appunto. Il corto racconta in pochi minuti la storia di Fabio, paziente costretto a convivere con questa patologia da tempo, che aiuterà Vittoria ad affrontare le sue paure. Abbiamo voluto promuovere un messaggio positivo, che va verso la gestione consapevole della patologia e l’empowerment del paziente.