Un ragazzo di 25 anni è morto. Una tragedia che si è consumata in un luogo che dovrebbe essere simbolo di vita, libertà e sogni. Antonio Cerreto, 25 anni originario di Torre del Greco in provincia di Napoli, la mattina del 19 luglio, si è lanciato nel vuoto nella facoltà di Lettere e Filosofia della Federico II.
Suicidio a Napoli, cos’è successo
Aveva dato appuntamento ad amici e familiari la mattina del 19 luglio. Aveva detto a tutti di dover discutere la sua tesi di laurea. Secondo le indiscrezioni degli inquirenti, sembra che il giovane Antonio aveva mentito sul numero degli esami. Un peso troppo grande che ha spinto un giovane di soli 25 anni a compiere il gesto estremo. Un extrema ratio che è risultata fatale.
Il primo ad intervenire e a dare l’allarme è stato il custode della Facoltà di Lettere e Filosofia che si trova a Via Porta di Massa a Napoli. Era ancora vivo, secondo il custode, ma quando sono arrivati i primi soccorsi era già troppo tardi. Una giovane vita si spegne, ancora una nel mondo universitario di Napoli. Napoli è in lutto, si sente un silenzio assordante che si spera possa far un giusto rumore.
Suicidio a Napoli, ultime notizie
L’edificio della facoltà di Lettere e Filosofia della Federico II è un ex convento, un luogo prima di preghiera e poi diventato un luogo di lotte studentesche. Da una delle grandi finestre che affacciano sul cortile il giovane si è lanciato. Il corpo senza vita è stata trasferito in obitorio e magistrato ha disposto l’autopsia. I primi rilievi tendono a voler stabilire innanzitutto se il ragazzo si sia lanciato o sia caduto. L’area, purtroppo, non è video- sorvegliata, pertanto, gli inquirenti dovranno ascoltare le testimonianze dei ragazzi che erano presenti per sostenere gli esami che erano in corso di svolgimento al momento della tragedia.
Diversi messaggi sui social per il giovane
“Quando mi iscrissi all’università non conoscevo nessuno. Sei stato il primo amico e compagno che ho avuto, colui che mi ha tolto dalla solitudine di prendere sempre il treno da solo, colui che ascoltava sempre i miei discorsi senza mai giudicarmi ma ascoltandomi da vero amico….dovevo capire che non avevi davvero dato tutti quegli esami in solo sei mesi.. dovevo scriverti.. E invece non ho fatto nulla….quando non volevo venire all’uni.. E spesso non venivo.. Sapere che c’eri tu era un motivo per alzarmi dal letto e affrontare la mia maledetta accidia. Perché con te ci divertivamo sempre.. Ridevamo.. Scherzavamo… facevamo pessime figure…Ti ricorderò sempre e ti porterò sempre nei miei ricordi..”: queste le parole di un amico sulla bacheca di facebook del giovane venticinquenne.
Un’altra amica scrive invece: “ti chiedo scusa per non esserci stata, mi chiedo se parlare con qualcuno, se avere una spalla in più ti avesse potuto aiutare. Perdonami, non sapevo. Riposa in pace”.
Un tragedia che deve far discutere
Il giovane ragazzo non ha discusso la sua tesi la mattina del 19 luglio ma il suo gesto estremo deve far discutere. La famiglia e l’Università sono ambienti di educazione. E-ducare dal latino si traduce condurre fuori, se questi due ambienti non riescono a condurre fuori il meglio e il bello da un ragazzo allora hanno fallito. La bellezza non spiegarsi solo in numeri, in scadenza, in competizione, in giudizi, pressioni ed ansie. Gli studenti dovrebbero sentirsi accompagnati e sereni nel percorso educativo dell’Università per poi essere preparati al mondo professionale. Gli studenti dovrebbero sentirsi meno “numeri” e più persone. Purtroppo il gesto di questo giovane ragazzo non è il primo: questo deve fare discutere.
Comunicato del Collettivo Studenti Federico II
“Abbiamo voluto aspettare prima di esprimerci su ciò che è accaduto ieri a Porta di Massa sia per smorzare la carica emotiva che ci ha investito tutti in prima persona, in quanto studenti e frequentator* del luogo, sia per avere notizie certe sulle dinamiche dell’accaduto. Per chi non lo sapesse, ieri uno studente di 25 anni della Federico II ha deciso di togliersi la vita proprio all’interno dell’università. Il ragazzo avrebbe detto ai genitori che in quel giorno avrebbe discusso la tesi di laurea ma in realtà aveva sostenuto solo pochi esami. Nonostante la disgrazia appena consumata all’interno dello stesso dipartimento, nessuno è intervenuto per sospendere i festeggiamenti delle lauree all’interno del cortile. Purtroppo non è la prima volta che un* appartenente alla comunità studentesca, un nostro collega, un nostro compagno arriva a prendere una decisione così drastica, e quasi sempre le sofferenze e le motivazioni che ci sono dietro hanno una stessa matrice. La loro scelta simboleggia un grido d’accusa al sistema basato sull’individualismo, sulla competizione e sulla meritocrazia che regola l’università di oggi. Un sistema che impone ritmi e standard predefiniti, dove chiunque non vi rientri viene schiacciato dalle aspettative sociali e dal carico emotivo che ne deriva. Le vite di ognun* di noi seguono ritmi diversi dettati dalle proprie difficoltà e anche dalle proprie passioni, perché la vita non si esaurisce all’interno delle mura universitarie. Immatricolati, dai gli esami, mantieni una media alta, macina CFU per avere la borsa di studio, scrivi la tesi, laureati in tempo. Dove finisce chi non ce la fa? Chi non ce la fa viene lasciato indietro e abbandonato a sé stesso, come fosse uno scarto difettoso, incapace di chiedere aiuto perché ricoperto da una sensazione di vergogna che vede negli occhi degli altri. In risposta alle ansie e pressioni che l’università stessa sa di generare c’è il nulla assoluto o, in rari casi, poche e inutili sedute, evidentemente insufficienti ad avviare un reale percorso di aiuto. Quanto accaduto ieri non è, come spesso viene fatto passare, un isolato caso di sofferenza, ma un problema collettivo. Di questo problema siamo tutti responsabili come società e dobbiamo smettere di scaricare le colpe solo sulla decisione del singolo. Il suicidio è una scelta che non si compie con gioia, ma con dolore e sofferenza, effetto diretto dei ritmi feroci e disumani della nostra società. Contro un sistema che ci aliena da noi stessi, ribadiamo la necessità di confrontarci, sentirci sicuri nel chiedere aiuto, dare spazio all’estrema fragilità umana che da sempre ci hanno insegnato a reprimere, persino in luoghi, come l’università, che dovrebbero essere di cura e di crescita collettiva, e non di morte, come succede sempre più spesso“.