Perché leggere questo articolo? Non tutti gli scherzi vengono per nuocere. Ad esempio, dal quarto d’ora di conversazione incriminata, emerge l’inglese tutt’altro che da buttare dalla premier. Anche Antonio Caprarica, decano dei corrispondenti italiani Oltremanica, promuove Meloni: “Inglese sopra la media dei politici nostrani”. Un bel 7 meno in pagella per la premier dalla Garbatella.
Tra burle, scherzi e figuracce, si continua a parlare dello scherzo dei due comici russi a Giorgia Meloni. Le questioni politiche e di sicurezza, su come sia stato possibile turlupinare per un quarto d’ora la Presidente del consiglio, tengono banco. C’è però anche la questione della lingua. Tra le tante critiche, un elogio da una vera e propria autorità in materia. Antonio Caprarica, decano dei corrispondenti italiani d’Oltremanica, promuove l’inglese di Giorgia Meloni. Il giudizio sull’inglese meloniano dello storico inviato Rai e autore di numerosi articoli e libri sul Regno Unito.
Dottor Caprarica, come giudica l’inglese della Presidente del Consiglio?
Largamente superiore alla media di tanti altri uomini politici italiani. Emerge un forte accento, che è inevitabilmente connaturato alla dizione romanesca della premier. L’accento si avverte nettamente anche nel suo inglese, che comunque resta molto fluido. Non parla un inglese oxfordiano, ma d’altronde non più neanche i figli di re Carlo. L’accento di Sua Maestà è sparito. L’accento sta cambiando anche a Londra, da Cockney a Estuary: inglese “da estuario” delle persone che arrivano da fuori nella City. L’inglese di Meloni mi ha colpito per fluidità e dimestichezza.
La premier se l’è cavata meglio nel parlato o nell’ascolto?
Decisamente nello speaking, che ribadisco essere stato superiore alla media. Quanto al listening, emerge qualche criticità. A partire dalla comprensione della natura dell’interlocutore. L’inglese – molto esitante – del fantomatico politico africano tutto poteva apparire tranne che francofono. Visto che parla un buon inglese, Meloni avrebbe dovuto avere l’orecchio per capire che non si trovava di fronte un interlocutore con influenze francofone – come ci si aspetterebbe da una persona africana – ma proveniente dal mondo slavo. Ovviamente parliamo col senno del poi. Va anche tenuto conto del fatto che la premier era impegnata all’Onu negli Usa e che probabilmente aveva una vena dell’attenzione più bassa.
Dall’inglese telefonico, emerge una Giorgia Meloni meno “strillona” dietro le quinte che di fronte alle telecamere?
Non so quale sia la vera natura di Giorgia Meloni, ma la telefonata rubata conferma quanto già visto. La nostra presidente del Consiglio si muove più felpata di quanto non faccia apparire nelle campagne elettorali e negli appelli social. In politica interna è gridata e tribunizia di quanto sia nelle arene internazionali. Per nostra fortuna, aggiungo. Nella telefonata incriminata Meloni sembra aver provato a far colpo sull’interlocutore africano, che ha rivolto alla premier domande dirette a favorire un’esternazione di punti di vista. E questo a Meloni pareva non dispiacere.
Che voto avrebbe preso Meloni un’interrogazione di Inglese a scuola?
Oh Cielo, io sono quanto di più lontano da un insegnante (ride, ndr). Direi che Meloni se l’è cavata egregiamente in inglese. Le darei un bel Sette meno.
Cosa consiglierebbe alla premier per migliorare l’inglese?
Decisamente un vacanza in Inghilterra. Le consiglierei un lungo soggiorno Oltremanica, mettendo per un po’ da parte gli impegni istituzionali.
Nella sua esperienza, chi era il miglior politico italiano in inglese? E il peggiore (Renzi, ovviamente, non vale)?
Il migliore era senz’altro Francesco Cossiga. Anche Mario Draghi parla un ottimo inglese, ma è un animale diverso, non si può qualificare come politico tout court. Tra gli uomini di Stato, Cossiga era davvero bravo: uno studioso del Cardinale Newman, dall’eloquio fluido e preciso. Tra i peggiori l’elenco è davvero lungo. Fino a non molti anni fa, i politici nostrani avevano più dimestichezza col francese che con l’inglese. La sinistra è sempre scarsissima in inglese: da Berlinguer a D’Alema, che dovette impararlo da novizio quando arrivò a Palazzo Chigi.