Perchè questo articolo dovrebbe interessarti? Il report su tasse e previdenza presentato al Cnel evidenzia macroscopiche disuguaglianze in Italia. Il 14% dei contribuenti, ovvero coloro che dichiarano più di 35mila euro, paga i due terzi delle tasse. Le politiche assistenzialiste al Sud aumentano il preoccupante divario. Mentre un italiano su due, semplicemente, non dichiara redditi. Se paghi le tasse (e vivi al Nord), questo documento potrebbe guastarti la giornata…
Il 14% degli italiani paga quasi i due terzi delle tasse. E si tratta del ceto medio, ovvero coloro che dichiarano redditi superiori ai 35mila euro. Sulle cui spalle – o meglio tasche – grava un peso decisamente significativo. Alla presentazione presso la sede del Cnel della settima regionalizzazione sul Bilancio del sistema previdenziale italiano a cura del Centro studi e ricerche itinerari previdenziali, in collaborazione con Cida, i titoli se li è presi a buon diritto questo dato, che molto offre da riflettere. Ma molti altri sono gli spunti contenuti nel corposo report, che True News riporta integralmente a QUESTO LINK.
Da un lato i contribuenti, dall’altro chi conta nei sussidi. O evade
E’ netto il commento di Stefano Cuzzilla, presidente della Confederazione italiana dirigenti e alte professionalità: “I dati parlano chiaro. Siamo ormai in presenza di due forti disuguaglianze: da un lato abbiamo i contribuenti onesti, dall’altro mezzo paese dimenticato, che si pensa di aiutare con i sussidi, invece che con gli investimenti. Non è accettabile che poco piu’ del 13% della popolazione si faccia carico della quasi meta’ degli italiani che non dichiara redditi e trova benefici in un groviglio di agevolazioni e sostegni, spesso concessi senza verificarne l’effettivo bisogno. Un 13% che guadagna da 35mila euro lordi in su, e che per questo non può beneficiare del taglio al cuneo fiscale perchè è considerato troppo ricco e non può difendersi dall’inflazione nemmeno quando arriva alla pensione, sempre perchè è considerato troppo ricco. Non commettiamo l’errore di pensare che le disparità che esistono in questo Paese facciano male solo a chi si trova sui gradini più bassi della scala reddituale. Fanno male al sistema. Se perdiamo il ceto medio perdiamo stabilità sociale e ipotechiamo il futuro”.
Le abissali differenze tra Nord e Sud
L’altro grande tema che emerge con preoccupante chiarezza è quello di una Italia che va ancora a due (se non tre) velocità. In rapporto alla popolazione residente, ogni abitante del Nord versa 3.461,11 e riceve 3.825,52 euro l’anno, il Centro paga 2.525,14 euro e ne prende 3.056,60, il Sud paga 1.186,33 euro e ne riceve 2.072,04. Rapportato alla popolazione – spiega lo studio – significa che lo Stato, per il solo sistema pensionistico, trasferisce a ogni abitante del Sud 886 euro l’anno contro i 531 del Centro e i 364 del Nord. La Calabria primeggia per indennità di malattia e maternità e consuma oltre la metà delle integrazioni salariali agricole (2,9 miliardi su un totale Italia di 5,4); la Sicilia riceve per NASpI, disoccupazioni e integrazioni salariali, 1,4 miliardi ed è seconda per trattamenti di famiglia.
Per quanto riguarda il versamento dell’Irpef prodotta nel 2021, il Nord infatti contribuisce per 100,6 miliardi, pari al 57,43% del totale, il Centro con 38,2 miliardi pari al 21,83% del totale, mentre il Sud porta in dote 36,3 miliardi, pari al 20,74% del gettito complessivo. Con poco meno di 10 milioni di abitanti, la Lombardia versa 40,3 miliardi di Irpef, vale a dire un importo maggiore dell’intero Mezzogiorno, che ne conta almeno il doppio, e persino superiore a quello dell’intero Centro (11,8 milioni di abitanti).
Ed ancora: al Sud, con il 33,7% della popolazione residente, tendono a prevalere le prestazioni di natura assistenziale (pensioni/assegni sociali, invalidità civili, e così via) che rappresentano poco meno di un terzo delle pensioni meridionali in pagamento a fine 2021: il 30,5% del totale, contro il 13,3% registrato dal Nord e il 21% dal Centro. Nelle regioni del Nord, dove vive il 46,4% della popolazione italiana, prevalgono le pensioni di anzianità, pari al 40,1% del totale dei trattamenti IVS e assistenziali; al Sud dove prevalgono carriere lavorative discontinue, spesso assistite (prestazioni di sostegno al reddito, giornate ridotte in agricoltura), con periodi di lavoro irregolare e con basse contribuzioni le pensioni di anzianità pesano per il 21,6%.
Ammortizzatori sociali, CIG , NASpI e indennità di maternità e malattia: nonostante il tasso di occupazione nel Nord (68,1%) sia di 21,4 punti superiore a quello del Mezzogiorno (46,7%) e il tasso di disoccupazione nelle regioni meridionali (14,3%) sia quasi tre volte quello del Nord (5,1% al primo trimestre 2023), il Sud assorbe la stessa percentuale di prestazioni temporanee del Settentrione. Il rapporto rinarca come anche l’incidenza delle pensioni di invalidità previdenziale sia più alta nel Sud e nelle Isole che altrove: l’incidenza percentuale è del 6,7%, a fronte di una media nazionale del 4,3%. Al Nord le pensioni di invalidità previdenziale sono circa un terzo di quelle del Mezzogiorno e circa la metà di quelle del Centro. Nel 2021, le uscite complessive per le varie funzioni di protezione sociale superavano le entrate di circa 18,4 miliardi. Ma il Nord produce un attivo di 24,14 miliardi, il Centro di poco superiore ai 5, mentre il Mezzogiorno assorbe oltre 47 miliardi, producendo un passivo che il solo disavanzo positivo di tutte le altre Regioni non è sufficiente a colmare.
L’effetto perverso delle politiche assistenziali verso il Mezzogiorno
Netta, come visto, la lettura dei dati: “Una situazione statica che caratterizza soprattutto le regioni del Mezzogiorno che, inoltre, hanno beneficiato di elevate forme di assistenza e defiscalizzazione degli oneri sociali. L’analisi delle prestazioni temporanee mostra, infatti, un ulteriore deterioramento della situazione produttivo-occupazionale evidenziato dall’uso intensivo di ammortizzatori sociali”, commenta il curatore Alberto Brambilla. Per il quale la decontribuzione al Sud è “artefice di un’occupazione di sussistenza, di fatto dissolta (o trasformatasi in ampie sacche di lavoro sommerso) una volta vietati gli sgravi contributivi. L’insufficiente sviluppo di alcune aree del Paese, e in particolare delle 8 regioni meridionali, e’ stato infatti a lungo compensato da politiche assistenziali che, come ben dimostrano i trend di lungo periodo, hanno però sortito solo l’effetto, opposto, di rallentarne ulteriormente la crescita“. Se il Sud riesce a farsi carico solo del 20% del gettito complessivo nazionale e’ a causa di politiche economiche poco incentivanti che si sono susseguite negli anni, di forti tendenze demografiche all’invecchiamento e allo spopolamento e una burocrazia fragile che ora sta mettendo in pericolo l’attuazione del PNRR. “Cio’ impone una drastica presa di coscienza. Il Mezzogiorno ha diritto ad alta velocità e infrastrutture di avanguardia, ad una transizione digitale ed ecologica del sistema produttivo. Deve rappresentare un volano di crescita a livello nazionale di un ceto produttivo capace di innescare una vera e strutturale crescita dell’economia”
“Meno si dichiara, più bonus si prendono: un meccanismo da spezzare”
I curatori della ricerca si soffermano anche sull’importanza di contrastare elusione ed evasione fiscale, che tende a prevalere proprio nelle regioni che mostrano i maggiori disavanzi complessivi. In particolare, “occorre evitare di continuare ad alimentare un meccanismo per il quale meno si dichiara maggiori sono i bonus e le agevolazioni cui si ha accesso, prevedendo finalmente un anagrafe generale dell’assistenza e limitando il ricorso a strumenti facilmente eludibili come l’ISEE, a favore di prove di mezzi piu’ consistenti e controlli in generale piu’ efficaci che consentano di aiutare solo chi si trova davvero in uno stato di bisogno”. Con uno sguardo al Mezzogiorno: “Mancano infrastrutture e poli produttivi, cosi’ come interventi a favore di turismo e sicurezza, indispensabili a creare le condizioni per un miglioramento dello sviluppo e della competitivita’ dell’intero Paese”. “Noi dobbiamo aiutare chi veramente ha bisogno, cercando gli evasori fiscali. Altrimenti rischiamo di fermare il sistema produttivo perché il ceto medio che rappresenta il 13% della popolazione si fa carico della quasi metà degli italiani che non dichiara redditi e trova benefici in un groviglio di agevolazioni e sostegni, spesso concessi senza verificarne l’effettivo bisogno”, conclude Cuzzilla.
Report su tasse e sistema previdenziale: le reazioni della politica
Il report ha suscitato le prime reazioni politiche. A partire da quanti erano presenti alla presentazione. Così Marco Osnato, presidente della commissione Finanze della Camera: “Dobbiamo recuperare il potere d’acquisto, non dimenticando che le evasioni sono un problema ed esistono ancora alcune zone d’ombra. Abbiamo provato a fare dei cambiamenti in questi anni, ma oggi cerchiamo in Parlamento di cambiare lo status quo che non va bene. Con il concordato preventivo cerchiamo di dare risposte diverse e bisogna lavorare sulla detassazione dei premi di produttività, della tredicesima e su tutto ciò che non è salario ordinario”. E Luigi Marattin, commissione Bilancio tesoro e programmazione della Camera: “Mai come in questi caso non viene recepito nelle dinamiche del sistema che il carico fiscale grava sulle spalle dei contribuenti che dichiarano redditi da 35mila euro in su. C’è una visione di un sistema dove ci sono i ricchi che sono quelli sopra i 35-50mila euro, questo o perché il ceto medio non è molto considerato perché la classe politica segue solo gli slogan politici, oppure perché il ceto medio è meno capace di organizzare i propri interessi politicamente”.
Per Mariastella Gelmini, commissione Affari costituzionali al Senato: “Serve un cambio di passo, invece la legge di Bilancio va a colpire chi i contributi negli anni li ha versati, chi paga le tasse e chi lavora, mettendo a repentaglio il welfare futuro. Non si può più penalizzare chi versa più contributi senza creare un danno a medio a termine”. Mentre Bruno Tabacci, presidente del Comitato per la legislazione e commissione Finanze della Camera, parla di una “fotografia angosciante. Previdenza e assistenza sono ancora troppo confuse tra di loro. Oggi il divario Nord-Sud Paese è aumentato, bisogna trovare un’unità”.