In fondo la politica è una cosa semplice. E’ come un frutto. Quando nasce ci sono dentro delle idee e degli ideali. Tutti i grandi partiti sono nati con qualche ragione nobile. La sinistra voleva difendere i lavoratori, la destra la libera impresa, il centro i valori cattolici con la Dc. Poi ovviamente iniziano i distinguo, i problemi, la realtà che è sempre assai meno ideale. Iniziano le questioni di soldi, perché i partiti sono macchine. Macchine complesse. Il Movimento 5 Stelle non fa differenza. Era nato con un principio ambizioso: ribaltare la politica come un calzino. Esattamente come tutti gli altri partiti, alla loro nascita, pensava di poter fare le cose meglio degli altri con metodi migliori degli altri. Il che è anche una cosa giusta, perché qualche innovazione la porta sempre. Ma c’è anche un non detto: non è che se per 70 anni gli altri partiti hanno usato un metodo era perché erano tutti scemi. Non è che la gente fa scelte completamente illogiche.
Cosa rimane oggi del Movimento Cinque Stelle?
Ora, quel che colpisce del Movimento 5 Stelle è la rapidità con cui tutti si sono scordati i motivi per cui era nato. L’altra sera, in televisione Beppe Grillo ne ha dette di ogni su Giuseppe Conte. L’ha descritto come uno dei peggiori politici possibili, che quando parla non si capisce niente, che è un approfittatore, eccetera eccetera. Anche su Di Maio non è stato tenero. Di fatto, quel che viene fuori dalla sua rappresentazione è forse il quadro più veritiero: una generazione di persone che hanno preso la palla al balzo di un’Italia arrabbiata e hanno arraffato quel che potevano. Di Maio che Beppe Grillo chiama “cartelletta”, sopra ogni altro. Quel che c’è da chiedersi è che cosa sia rimasto, di quel frutto, che all’inizio è pieno di idee e poi pian piano matura e alla fine marcisce (tutti i partiti marciscono, solo con tempi diversi). Speriamo che non sia rimasto neppure il seme, visto l’impatto sul nostro Paese.