Una “situazione di urgenza” con il “meccanismo fraudolento tutt’ora in atto” e “rilevantissime perdite per l’erario e situazioni di sfruttamento lavorativo che perdurano”. Con queste parole l’Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano ha deciso di convalidare il sequestro di 22 milioni di euro a carico del gruppo Cegalin-Hotelvolver, il colosso degli appalti esternalizzati negli hotel di mezza Italia operante fra Milano, Roma, Toscana e Veneto. Su altri 9,9 milioni di euro sono in corso accertamenti per un totale quindi di 31,4 milioni.
L’allarme del Gip di Milano: “Un meccanismo che deve cessare al più presto”
Una somma “suscettibile di confisca diretta” dopo aver analizzato le carte perché “profitto del reato” e che “può aggravare o protrarre le conseguenze del reato stesso dato che la liquidità di denaro consente un suo agevole spostamento, occultamento, trasferimento anche all’estero tramite semplici operazioni bancarie, rendendo quindi necessario il sequestro” perché per il Gip di Milano “tale meccanismo deve al più presto cessare”.
Inchiesta appalti negli hotel, nel mirino la frode delle “società serbatoio”
Il gruppo è finito nel mirino della Procura di Milano e del pm Paolo Storari per una presunta maxi evasione fiscale e contributiva scoperta dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza. Un “articolato sistema di evasione fiscale e frode” secondo gli inquirenti, organizzato dai nove diversi indagati in concorso tra di loro. Al vertice della piramide ci sarebbe il re delle coop di subappalto, Pierantonio Pegoraro insieme al fratello gemello Renato Pegoraro, entrambi di Bassano del Grappa. Ma sono stati iscritti sul registro degli indagati anche i vertici dirigenziali del gruppo Cegalin-Holtelvolver e i consulenti fiscali: Massimiliano Tricca, Giuseppe Piero Corsaro, Moreno Sbriccoli, Mario Dattilo, Diego Gualtieri, Maurizio Tricca e il commercialista Lucio Cariani.
Secondo le indagini contribuivano tutti a simulare dei contratti di appalto stipulati tra società operative e subappaltatrici che le Fiamme Gialle definiscono “società serbatoio” da far lavorare i dipendenti negli alberghi. Come venivano simulati anche i contratti di lavoro tra dipendenti e e subappaltatrici, delle “vere e proprie società cartiere, appositamente costituite per figurare come titolari del rapporto di lavoro e quindi per consolidare su queste ultime i debiti di natura contributiva, previdenziale e fiscale, debiti che venivano sistematicamente abbattuti mediate compensazioni con crediti d’imposta inesistenti”.
La “regia unica” di Pierantonio Pegoraro che emerge dalle carte
Tutte imprese formalmente e giuridicamente separate e autonome fra di loro. Ma in realtà, come dimostrano decine di scambi via mail allegati alle carte, organizzate sotto l’unica regia di Pierantonio Pegoraro. Che decideva tutto pur senza rivestire ruolo formale nelle aziende: dai contratti all’organizzazione del lavoro da applicare, fino alle buste paga per le quali aveva messo in piedi altre due società di outosourcing con cui gestire le pratiche amministrative e contabili, agli sconti da applicare o meno agli hotel (la committenza ultima finale).
Inchiesta appalti negli hotel, quella “breve vita” di cooperative e società di capitali
Cooperative, srl e società di capitali che “avevano vita piuttosto breve”. Venivano “lasciate morire” per sparire con i debiti fiscali e contributivi ed essere sostituite da altre di nuova creazione. Dotate di “un’imponente forza lavoro” e i cui “legali rappresentanti erano dei prestanome e fornivano forza lavoro dissimulando somministrazioni irregolari di manodopera a favore di committenti conniventi”. Così “venivano massimizzati guadagni illeciti in capo al gruppo societario in ragione del mancato pagamento delle imposte, delle ritenute da lavoro dipendente e dei contributi previdenziali e assicurativi” oltre a un “imponente omissione di versamenti Iva”.