Perché leggere questo articolo? La normativa sul whistleblowing partirà a breve. E per le imprese italiane arriva una grande sfida. La approfondiamo con l’avvocato Chiara Padovani.
Presto il sistema delle imprese e degli enti pubblici italiani vedrà l’ingresso in campo della disciplina del whistleblowing. E nelle comunicazioni e nella corsa alla trasparenza si prevede una grande rivoluzione culturale per gli operatori di mercato, e non solo. Per capire l’impatto del whistleblowing sul sistema italiano True-News dialoga oggi con Chiara Padovani, avvocato, fondatrice dello Studio Legale Padovani, consulente in materia di Responsabilità degli Enti discendente da reato ex D.lgs. 231/2001.
Avvocato, il whistleblowing è in partenza. Su che ratio normativa si fonda?
“La ratio normativa del whistleblowing (Decreto Legislativo 10 marzo 2023/24) mira a rispondere alla mala amministrazione nel settore pubblico e al wrong doing nel privato. La norma vuole incentivare il segnalante a indicare comportamenti illeciti senza timore come previsto dalla direttiva europea 234/2019”
Qual è il suo obiettivo primario?
“Direi che si mira a creare un’alleanza civica nel settore economico, pubblico e privato, tra i lavoratori con una relazione qualificata con un ente (dipendenti, fornitori, soci, clienti) per ottenere un ambiente trasparente, serio e etico attraverso la possibilità di segnalazione di eventuali malversazioni. La chiave della legge complessivamente intesa, di radice europea e anglosassone, è proprio questa alleanza civica”
La trasparenza come chiave per garantire la rule of law, dunque…
“Esatto. E non rappresenta una novità. Un aspetto che si è molto sottaciuto nel dibattito e che è fondamentale per capire la norma è il contesto di genesi storica dell’istituto. Il principio di segnalazione di comportamenti illeciti e non trasparenti da parte di chi ne viene a conoscenza in virtù della propria funzione non nasce con la modernità”.
A quando risultano i primi esempi di discipline assimilabili al moderno whistleblowing?
“Già nell’Antica Roma ne abbiamo un esempio. Tito Livio ci ricorda che nel 331 a.C. una serie di avvelenamenti che portarono alla morte di patrizi romani fu svelata da una schiava che al magistrato Quinto Fabio Massimo propose di rivelare le cause del complotto in cambio dell’incolumità personale. Anche la Repubblica di Venezia aveva le “bocche della verità” che nelle città raccoglievano le segnalazioni di malversazioni di coloro che occultavano redditi e patrimoni di fronte alla collettività. C’erano anche cassette specifiche per denunciare sospetti per omicidi o tentativi di corruzioni. Non erano però ammesse denunce anonime che nella disciplina moderna del whistleblowing è garantita”.
Il whistleblowing è comunemente associato ai Paesi di lingua anglosassone oggigiorno..
“Nei Paesi di Common Law, durante la Guerra di Secessione americana il Lincoln Act aprì al whistleblowing negli Stati Uniti, in cui poi in futuro si sarebbe incentivata la protezione dell’anonimato in casi di denunce di malversazione. Negli Usa al lato etico si aggiunge la possibilità di incentivare il segnalante a ottenere una percentuale del denaro recuperato da un’organizzazione scoprendo un profitto ingiusto sottratto ad essa. Nel 1989 nacque il Whistleblower Protection Act che tutela gli impiegati pubblici che divulgano notizie riguardanti pratiche illecite”.
E nel Regno Unito, invece?
“Nel Regno Unito è stato pubblicato nel 1998 il Public Interest Disclosure Act, che garantisce un’ampia protezione dalle ritorsioni per impiegati pubblici e privati, appaltatori, stagisti e perfino impiegati domestici in caso di rivelazioni. Va a tutelare quelle denunce che hanno a che vedere con la scoperta di irregolarità, anche presunte. E questo ha a che fare anche con la nostra normativa, in cui si parla anche della possibilità di denunciare comportamenti presunti, probabili o in itinere di natura sospetta. La ratio, comune con la nostra, è quella della prevenzione. La legge britannica dichiara che le segnalazioni possono riguardare anche gli errori giudiziari, qualcosa che non è stato minimamente pensato nella giurisdizione italiana”.
Dunque il whistleblowing non è un istituto nuovo. L’idea dell’alleanza civica esiste da tempo in altri ordinamenti. Sul piano operativo, in Italia, quali saranno le sfide da vincere?.
“Va capito come le linee guida di Confindustria, per il privato, e Anac, per il pubblico, possano essere capaci di renderla operativa. Nel settore pubblico i destinatari della normativa a cui bisogna adeguarsi entro il 17 dicembre sono tutti gli enti, senza distinzione. Nel settore privato sono obbligate quelle aziende che hanno impiegato in media nell’ultimo anno (2022 o se neocostituite 2023) almeno 50 dipendenti subordinati, quelle che non hanno toccato tale soglia ma lavorano in settori regolamentati a livello europeo (dalla finanza alla sicurezza dei trasporti, per esempio) e, infine, quelle aziende che pur non avendo la soglia di dipendenti di 50 unità e non facendo parte dei servizi normati hanno già sistemi organizzativi normati ai sensi della Legge 231/2001. Di fatto esulano da questa realtà le aziende con meno di 50 dipendenti, senza regolamentazione 231 e non operanti in settori normati. Negli anni è aumentata la consapevolezza di un sistema di autodisciplina interna volta a coprire numerosi reati, ma il processo per coprire tutte le realtà italiane è ancora molto lungo”.
Che effetti pensa si possano produrre?
“L’obbligatorietà della previsione del whistleblowing per le società con più di 50 dipendenti senza modello 231 incentiverà la cultura della trasparenza. L’obiettivo è che l’azienda, pubblica o privata, diventi come un acquario in cui si può guardare dentro, al netto ovviamente della tutela dei segreti strategici e industriali. Ma dati come la gestione di clienti e fornitori, l’impiego dei capitali, l’apertura verso temi come ambiente, salute e sicurezza devono essere immediatamente percepibili, e questo è ancora più vero per la pubblica amministrazione. Il grado di democrazia di un Paese moderno è direttamente proporzionale alla facilità con cui anche l’ultimo dei soggetti interni a un Paese può rapportarsi alla pubblica amministrazione”.
Quali pratiche non saranno soggette a whistleblowing?
“Sono escluse caratteristiche legate ai rapporti personali e private di materia umana e le normative legate agli appalti connessi alla sicurezza nazionale. Salvo che questi ambiti non siano riconducibili al diritto dell’Unione Europea. Ovviamente nella definizione delle violazioni vanno ricomprese sia le azioni attive che le omissioni sulla base della cui manifestazione il segnalante abbia fondati sospetti che si stia per commettere una violazione. L’ambito applicativo soggettivo riguarda tutti, per costruire una relazione qualificata con gli ambiti al cui interno si percepisce un comportamento scorretto. E questo può avvenire anche prima dell’assunzione o della firma del contratto di lavoro”.
In che misura avverranno le segnalazioni?
“Devono essere previsti canali di segnalazione interni e esterni e, come ulteriore modalità di segnalazione ed extrema ratio, sono normate le divulgazioni pubbliche. Il canale di segnalazione interna deve essere progettato con modalità e crittografie tali da preservare la privacy del segnalante, delle persone menzionate e del contenuto delle rivelazioni. La gestione del canale interno deve essere garantita al gestore delle segnalazioni, che deve essere o un singolo o un ufficio, oppure ancora un professionista esterno, purché chiaramente formato in ogni caso. Deve garantire autonomia e indipendenza e non può essere un soggetto con funzioni di direzione e indirizzo dell’azienda. E già qui si pone un grande problema. Nelle imprese di grandi dimensioni e a guida sociale in cui il capitale sociale si identifica col management si registra l’assenza di figure intermedie autonome. In questi casi l’ufficio ideale da gestire sarebbe quello di internal audit, altrimenti consiglierei di rivolgersi a professionisti esterni. Le segnalazioni possono assumere anche forma scritta, non esplicitamente informatico e garantito da una piattaforma”.
Che strada prenderà poi l’iter di una segnalazione?
“Il gestore della segnalazione deve, una volta ricevuta, rilasciare entro sette giorni un avviso di ricezione, chiedere eventualmente integrazioni se necessarie e mantenere un’interlocuzione costante. Potrà, a seconda del contenuto, indirizzare la segnalazione stessa all’organo competente, che potrà essere ad esempio nel privato l’organismo di vigilanza. Entro tre mesi va fornito un riscontro al segnalante e garantire la trasparenza dell’istruttoria interna, sottolineando se ad esempio un illecito sia stato riscontrato. In tutto ciò assume un significato fondamentale il processo di protezione dei dati, che andrà valutato attivamente”.
E sul fronte delle segnalazioni esterne?
“La segnalazione esterna può avvenire attraverso la piattaforma Anac se il canale interno a un’azienda non è stato attivato o promosso con i requisiti necessari a tutelare la non accessibilità da parte di terzi dei dati. Oppure se a una segnalazione interna non c’è stato seguito o si è concluso con un risultato negativo. Se il whistleblower ha fondato motivo di ritenere che a una segnalazione interna non sarebbe data risposta, seguirebbero ritorsioni o c’è rischio per l’interesse collettivo può rivolgersi alla segnalazione esterna. C’è poi la segnalazione pubblica, che garantisce l’anonimato se non c’è stato riscontro a una segnalazione interna. Se ha fondato motivo che la rivelazione può prevenire un problema per il pubblico interesse e se sa che la rivelazione esterna può non avere la dovuta efficienza. E aggiungo un dato di fatto importante…”.
Prego, avvocato…
“Opera in questo caso inversione onere prova. La ritorsione per la conseguenza di una segnalazione si considera, se denunciata, realizzata fino a prova contraria dell’ente pubblico o privato”.
Sul piano delle sanzioni cosa succede invece?
“Sul fronte sanzionatorio, il decreto rafforza il potere dell’Anac. Le sanzioni sono da 10mila a 50mila euro quando si segnala che sono state commesse violazioni. L’obbligo di riservatezza è stato violato o non sono state adottate le procedure ideali per la gestione della segnalazione. Oppure quando l’adozione e l’implementazione dei canali non è stata rispettata sul campo. Da 1.500 a 2.500 euro la sanzione se l’anonimato è stato violato. Risulta dunque importante dunque per le aziende normate ex 231 istituire un sistema di vigilanza dedicato alla normativa whistleblowing”.
Quando capiremo se questo istituto avrà avuto un peso nell’economia e nella società?
“Potremo avere visibilità dei frutti di questo istituto tra due o tre anni. Ma ricordando le radici storiche di come nasce il whistleblowing dobbiamo ricordare che parliamo di uno strumento di moderna civiltà civile, oltre che giuridica. Garantisce l’esercizio di lavoratori e terze parti a operare in un sistema trasparente e di contribuire a questo risultato assumendosi la responsabilità di dar voce a eventuali illeciti. La comunità lavorativa deve partecipare attivamente e consapevolmente a questo risultato attraverso le segnalazioni, nella convinzione fattiva di una forte tutela presupposta dall’ordinamento. In tutto ciò, come sempre la formazione è fondamentale per far percepire come a questa trasparenza e correttezza deve far seguito un lavoro di sinergia per dimostrare l’importanza di diffondere le buone pratiche in un’organizzazione”.