re questo articolo: Il Venezuela invaderà l’Esequibo, la regione ricca di petrolio della Guyana che rivendica? E come reagirebbero gli Stati Uniti? L’analista Giusi Greta di Cristina ci aiuta a capire lo scenario regionale latinoamericano.
Sarà l’Esequibo il prossimo fronte caldo della geopolitica mondiale? La decisione del Venezuela di Nicolas Maduro di indire un referendum per approvare la politica del governo di Caracas di reclamare il 70% del territorio della vicina Guyana apre a una fase di potenziale conflittualità in America Latina.
Cosa rivendica il Venezuela sulla Guyana
I 160mila kmq di territorio rivendicati dal Venezuela rappresentano i due terzi della superficie del Paese confinante e ospitano circa 200mila abitanti della Guyana, che parlano principalmente inglese e lingue indigene. Caracas e Georgetown sono da settimane ai ferri corti e hanno mobilitato le forze armate al confine. Le tensioni sono esplose prima del voto , con la Guyana che sosteneva che Caracas stesse preparando un rafforzamento del suo dispositivo militare nel caso volesse far rispettare il risultato del referendum.
Tra le giungle, le montagne e le zone inaccessibili al confine tra il Venezuela e l’ex colonia britannica si è acceso l’ennesimo focolaio della geopolitica globale. Un punto su cui può insistere un nuovo conflitto che, duecento anni dopo la proclamazione della Dottrina Monroe sulla non ingerenza delle potenze esterne nel continente americano guidato dagli Usa, rischia di aprire la strada a un conflitto regionale.
Le ragioni della disputa
Il confine tra Guyana e Venezuela è stato normato col Trattato di Washington del 1897, anno in cui il Venezuela concordò con gli inglesi, colonizzatori della Guyana, di rivolgersi a un arbitrato per definire i limiti tra le rispettive sovranità. Svoltosi due anni dopo, non fu mai rispettato dal Venezuela fino al 1962, anno in cui Caracas accettò la giurisdizione britannica, ora della Guyana, sull’area a ovest del fiume Esequibo da cui prende il nome. Negli anni scorsi, per iniziativa della ExxonMobil americana e delle sue esplorazioni si è scoperto che le acque al largo della costa dell’Esequibo contengono uno dei più grandi giacimenti di petrolio del mondo. Dal 2021 Maduro, in crisi politica interna, ha ribaltato sulle rivendicazioni contro la Guyana la dialettica politica del regime socialista venezuelano.
Il portale Global Americans ha sottolineato che in quest’ottica la crisi in caso di rivendicazioni ulteriori dopo il referendum a cinque quesiti approvato dai cittadini venezuelani può coinvolgere l’intera America Latina. Il presidente brasiliano Lula, forte dei buoni rapporti sia con Maduro che con Irfaan Ali, capo di Stato di Georgetown si è offerto come mediatore. Ma tuttavia “il Brasile ha anche un’area ancora in fase di studio per la prospezione petrolifera adiacente all’altopiano della Guyana, che aggrava ulteriormente la fluidità degli attuali sforzi arbitrali”. Lula ha mobilitato delle truppe nelle zone di confine per rafforzare la vigilanza dei confini, intensificando però anche gli sforzi diplomatici.
Al contempo “anche organizzazioni regionali come la Comunità dei Caraibi (Caricom), il Commonwealth delle Nazioni e l’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) hanno rilasciato dichiarazioni contro il referendum, oltre alle stesse Nazioni Unite (ONU). Le dichiarazioni sono arrivate dopo l’intensificazione delle azioni militari ai confini tra i paesi”, nota Global Americans.
La crisi Venezuela-Guyana e gli scenari internazionali
Si è parlato da diverse parti di una possibilità di intervento esterno nel conflitto, a partire dal possibile coinvolgimento degli Stati Uniti in caso di invasione dell’esercito di Caracas nell’Esequibo. Militarmente, la partita non avrebbe storia: la Guyana ha un esercito poco più che cerimoniale e l’unico caso di resistenza potrebbe essere un sostegno esterno.
Parlando con True-News, l’analista geopolitica ed esperta di America Latina Giusi Greta di Cristina getta acqua sul fuoco sulla possibilità di un conflitto generalizzato. “Per quel che concerne l’impatto regionale, non credo che la crisi tra Venezuela e Guyana possa generare più disequilibrio e spaccature di quanto invece non abbia prodotto la vittoria di Milei in Argentina”, nota Di Cristina.
Al momento, “l’unico Paese ad aver aggiunto tensione, se così possiamo dire, è stato il Brasile di Lula che ha schierato i suoi mezzi militari al confine. Ma anche questa azione, reputo, sia più un avvertimento a non volere conflitti regionali che a sottolineare di stare da una parte o dall’altra. Lula non è interessato a crearsi inimicizie nella Regione” di cui mira a essere punto di riferimento, “ora più che mai, dato che il Cono Sur non è più il luogo sicuro di qualche mese fa, a livello di relazioni politiche”. L’elezione di Milei, in quest’ottica, è stata emblematica come causa del ritorno dell’Argentina sui suoi passi in relazione all’ingresso nei Brics.
Di Cristina: “Improbabile attacco al Venezuela da parte Usa”
D’altro canto, aggiunge di Cristina, “il referendum vinto da Maduro è solo consultivo, serve più a rinsaldare i legami coi cittadini che a portare avanti una battaglia che giuridicamente non può fare. Serve più a mostrare che “il re è nudo” e denunciare le relazioni di dipendenza della Guyana e la Exxon, che pur di ottenere una sorta di monopolio sui giacimenti petroliferi della zona si è infiltrata nei gangli governativi ed economici del Paese”. In un certo senso, la presenza stessa di Exxon in Guyana è sia artificio retorico usato da Maduro che deterrente a un’aggressione venezuelana.
L’analista infatti aggiunge che “gli Usa hanno da pochissimo riallacciato relazioni più pacifiche in termini di scambi commerciali con il Venezuela e, anche in questo caso, ritengo improbabile un attacco diretto al Paese da parte degli Usa” qualora Maduro alzasse la posta. Chiaramente “non possiamo sapere se tentativi di destabilizzazione arriveranno da altre parti, assieme a richieste da parte di enti sovranazionali”. Ma al Venezuela, privato per anni del flusso di greggio verso gli Usa, oggi interessa soprattutto fare sponda col mercato americano.
La battaglia del petrolio
Maduro rivendica un tema di grande sfida globale per il petrolio. Il conflitto territoriale va avanti da molti anni, finora non aveva attratto molta attenzione a livello regionale e internazionale. Soprattutto a causa della presenza di crisi maggiori nel globo. Ma il coinvolgimento del Paese con le maggiori risorse petrolifere al mondo, il Venezuela, e di un possibile, importante produttore futuro come la Guyana lascia pensare a una mossa in cui l’escalation di Caracas è da collegare alle manovre Opec+ per ridurre l’offerta e invertire i trend decrescenti dei prezzi del greggio. Aggiungendo una pressione politica latinoamericana per alzare la posta di fronte al resto del mondo. Che avrà bisogno, Usa compresi, anche del petrolio di Maduro. La guerra appare per ora lontana, ma le tensioni non aiutano assolutamente a creare un clima sereno. Una bomba geopolitica nel “cortile di casa” degli Usa sarebbe, infatti, difficilissima da sminare.