Perché leggere questo articolo? Il caso Grillo si riaccende con le domande “choc” dell’avvocata della difesa alla presunta vittima. Orribili, ma necessarie per accertare la verità processuale.
Caso Grillo, è polverone mediatico sull’avvocato Antonella Cuccureddu, legale di Francesco Corsiglia, uno dei quattro accusati di stupro da parte di una 23enne. I presunti aguzzini della giovane sarebbero, insieme a Consiglia, Ciro Grillo, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. In questi giorni si sta svolgendo regolare processo da cui sono emerse alcune domande considerate “choc” che la legale avrebbe posto alla teste che si dichiara parte lesa. Ne riportiamo alcune: “Chi le ha tolto gli slip?”, “Perché non ha urlato?”, “Ha provato a difendersi coi denti?”. I social hanno bollato tali quesiti come “da Medioevo” e i giornalisti, fuori dall’aula di tribunale, si sono accalcati verso Cuccureddu per chiederle conto della supposta empietà appena perpetrata interrogando la ragazza che avrebbe subito violenza dai quattro figli di papà.
Caso Grillo, l’avvocato Cuccureddu fa il suo lavoro
Di pancia e di cuore, viene da dare ragione senza se e senza ma ai tantissimi indignati. Quegli interrogativi suonano davvero brutali, orribili. Allo stesso tempo, però, bisogna purtroppo considerare che si tratta di un caso di presunto stupro, non di una rapina in banca. Una precisa ricostruzione dei fatti è indispensabile per ricostruire quella che è la verità processuale della vicenda. Così da andare ad assegnare le giuste pene ai responsabili. E come stabilirla, tale verità processuale, se non tramite domande anche, seppur dolorosamente, “troppo intime”?
Caso Grillo, l’avvocato Cuccureddu sta facendo il suo lavoro. La tesi della difesa, gli accusati di stupro come tutti gli altri presunti rei hanno diritto ad averne una, è che non si sia trattato di violenza ma di una serata consensualmente festaiola di cui poi la ragazza si sarebbe pentita, arrivando a denunciare. È necessario acclarare che così (non) sia perché altrimenti si andrebbe a costituire un precedente importante, pericoloso: credere a prescindere a chiunque denunci uno stupro. O qualunque altro reato.
Se l’empatia va sicuramente verso la presunta vittima, non si può dimenticare che si tratta comunque di una presunta vittima, ai sensi della legge, come di presunti responsabili. Almeno fino a sentenza emanata. Sentenza che non può arrivare fino a che i fatti non siano acclarati oltre ogni ragionevole dubbio. Se le accuse della giovane si riveleranno vere, purtroppo ora del termine del processo, si sarà ritrovata a subire un secondo calvario. Ossia la messa in discussione delle sofferenze vissute. Al momento si sente “scorticata nell’anima”, dice, e non stentiamo a crederle. Allo stesso tempo, torniamo alla domanda di partenza: esiste un altro modo per stabilire che sia davvero avvenuto uno stupro? Purtroppo, no.
Caso Grillo, il problema è l’infotainment emozionale
Nello sventurato caso in cui finissimo a processo, ognuno di noi vorrebbe veder rispettati i propri diritti costituzionali. Non essere considerati responsabili a prescindere prima della sentenza, tanto per cominciare. Chiunque di buonsenso, poi, vorrebbe che i fatti venissero acclarati per come sono occorsi, né più né meno. Una fredda cronaca, priva di considerazioni morali ed emozionali, fuori contesto ai fini della stretta ricostruzione.
I dettagli, tutti i dettagli, sono quindi fondamentali per arrivare a un dunque. Se credessimo a prescindere a ogni donna, come a ogni uomo, che accusa terzi di violenza, di qualunque tipo di violenza, andremmo a costruire una società in cui sicuramente più d’uno andrebbe a denunciare Tizio o Caio per ragioni che nulla c’entrano col fatto imputato. Vendetta, ripicca, invidia, pescate una carta dal mazzo della miseria umana, andrà bene. Per fortuna, in aula di Tribunale non basta la parola, ma servono le prove. E le prove, in un causo di stupro, passano anche dai particolari, dalle eventuali contraddizioni della parte lesa, dalla sua testimonianza.
Questa è la giustizia, in assenza di macchine del tempo
Nessuno è in possesso di una macchina del tempo per tornare a quella notte d’estate e vedere cosa sia accaduto. Esclusa questa possibilità, la verità processuale può basarsi solo su ricostruzioni a posteriori. Sono i media, poi, a metterci del loro per creare scandali – e click – a partire dall’ovvio. Quelle domande, pur sgradevoli e orribili, andavano fatte per accertare oltre ogni ragionevole dubbio che la violenza ci sia stata davvero. Così stabilisce la legge che, grazie a Dio, non si esprime ancora tramite post Canva acchiappalike. È materia fredda, certo, ma, almeno per il momento, la verità è che non esistono alternative all’interrogatorio “intimo” per trattare un caso di stupro. Le chiacchiere collaterali servono solo a creare engagement. E restano, quindi, quelle sì, gretti mezzucci senza scopo.