Dopo la lista dei giornalisti “filorussi” emersa sul Corriere della Sera nell’estate 2022 è in arrivo una lista di proscrizione delle aziende che continuano a operare in Russia? Forse non siamo ancora a questi livelli. Ma fatto sta che il Twitter dei giornalisti e dei commentatori italiani di più salda fedeltà filo-ucraina sta iniziando a indagare sulle aziende nostrane che continuerebbero a operare nel Paese di Vladimir Putin.
Ferrero sotto accusa per le attività in Russia
Analisti, studiosi e commentatori che su Kiev (o Kyiv, come la chiamano loro) si trasformano in pasdaran della vittoria finale delle armate di Volodymyr Zelensky in una guerra che, da mesi, non ha militarmente più nulla da dire e si avvia a uno stallo d’inverno hanno nell’ultimo mese aumentato l’attenzione sul tema. Non ravvisiamo coordinamento nella strategia, se non sul fronte dei retweet e dei commenti incrociati.
Un mese fa è diventato virale un post dello scrittore Marco Setaccioli, autore del saggio Scemi di pace sull’Ucraina e il ruolo dei media, che ha attaccato Ferrero per il fatto che non si sarebbe ancora ritirata dalla Russia. Ferrero, secondo Setaccili, “è una delle imprese che hanno mantenuto sia stabilimenti per la produzione in loco (un grande impianto a circa 160 km da Mosca che, al momento dello scoppio della guerra impiegava circa 800 addetti), sia canali diretti di export, facendo peraltro affari d’oro. Nel 2022 l’esportazione di prodotti Ferrero verso la Russia ha fatto registrare un +33% (da 90 a 120 milioni di euro)”. Va detto, però, che il business di Ferrero, l’industria dolciaria, è quanto di più lontano si possa pensare da un settore strategico vitale per la sicurezza nazionale. O dei campi colpiti dai dodici pacchetti di sanzioni commerciali europee.
Gli attacchi a Danieli, il colosso degli impianti siderurgici
Setaccioli ha invitato gli utenti di Twitter suoi seguaci a non comprare prodotti Ferrero in solidarietà con l’Ucraina. Più pungente ancora, invece, l’attacco lanciato dall’analista militare Matteoo Pugliese, che sul suo profilo Twitter ha indicato il gruppo Danieli come un’azienda che “fornirebbe acciaio” alla Russia. Pugliese, commentatore per Domani, ha scritto il libro “Kiev, Occidente” e ha scritto su Twitter che Danieli, gruppo friulano dell’impiantistica, servirebbe acciaio a “sei aziende in Russia che producono armamenti necessari all’invasione dell’Ucraina: Severstal, Magnitogorsk Iron and Steel Plant (MMK), Evraz, Krasny Oktyabr, Kamensky (KUMZ) e Rusal”. Gli fa eco il giornalista filoucraino Cristiano Tinazzi che aggiunge, ripostando il tweet, “serve fare pressione mediatica“. Danieli, lo ricordiamo, era stata direttamente attaccata dall’Ucraina tramite il suo Ministero della Difesa a giugno 2022 come azienda complice della Russia.
Ma, lo ricordiamo, Danieli non produce acciaio. Fornisce invece impianti per la siderurgia, posizionandosi su un filone diverso della catena del valore. E i giornalisti, su Twitter, portano a esempio un articolo del Kyiv Independent che ha costruito un’inchiesta su Danieli in larga parte fondata su notizie riferite ad almeno un anno fa: la testata ucraina ricorda che Danieli “ha lavorato con almeno 14 aziende metallurgiche russe, di cui sei che contribuiscono all’industria militare russa”, citando però dati che partono dal 2014, anno della secessione del Donbass sostenuta dalla Russia, non dall’invasione su larga scala. Inoltre, “Danieli non ha lasciato il mercato russo quando la Russia ha iniziato la sua invasione su vasta scala dell’Ucraina nel 2022 e da allora ha fornito attrezzature ad almeno un’acciaieria russa”. L’inchiesta in sé non dice nulla su quando sia avvenuto l’accordo denunciato, che potrebbe essere avvenuto prima della stretta decisa dall’Ue sull’export di macchinari a fine 2022. Che, lo ricordiamo, si focalizzava soprattutto su generatori, dispositivi tecnologici, apparecchi dual use.
Danieli ha un socio ucraino, ma le accuse puntano solo sulla Russia
Non essendo l’Italia in guerra contro la Russia e esistendo, seppur dimidiati, dei rapporti commerciali tra Roma e Mosca non vediamo perché alzare l’asticella di critiche che vengono – legittimamente – da una parte in causa nel conflitto. A cui è giusto che vada solidarietà e sostegno per la sua lotta, ma le cui informazioni devono essere ascritte al medesimo trend di propaganda bellica a cui ogni nazione in lotta si confà. Né Pugliese né Tinazzi portano prove aggiuntive alle accuse. Non citano documenti commerciali provanti la violazione delle sanzioni, i codici Ateco dei prodotti, eventuali bolle di spedizione di Danieli. E non si capisce perché l’attenzione sia su una singola azienda della filiera dell’acciaio al di là del sensazionalismo con cui la riporta la testata ucraina.
Tutti – poi – scordano un dato di fatto: Danieli sta lavorando a un progetto di rilancio, in Italia, sull’acciaieria di Piombino. Il socio? Il colosso ucraino Metinvest. Titolare in passato dell’Azovstal distrutta dalle cannonate russe a Mariupol. Dunque certamente non passabile di essere un gruppo sostenitore della guerra di Putin.
Carraro e la domanda di Boldrin. A cui rispondono i bilanci
Gli stessi dubbi si possono porre a proposito della domanda fatta pubblicamente dall’economista Michele Boldrin, promotore del think tank Liberi Oltre, sul fronte della presenza di ulteriori aziende in Russia. Ripostando l’appello di Tinazzi alla “pressione mediatica”, Boldrin ha chiesto pubblicamente al Gruppo Carraro se esporta qualcosa che finisce in Russia. Anche qui ritorna il modus operandi dell’uso della piazza di Twitter per aprire un dibattito con un’azienda, interpellata direttamente da Boldrin. Il quale non accusa Carraro, ma si appella pubblicamente ad essa. Un metodo di comunicazione disintermediato che nell’era dei social può essere letta dagli utenti come l’anticamera del sospetto. Il recente caso Puglisi-Fabbri sulla laurea mancante dell’analista geopolitico di cui l’economista di Pavia chiedeva conto con domande aperte su Twitter è qua a dimostrarlo.
Forse su Boldrin la scelta di Carraro può essere indirizzata dalla comunanza geografica. L’economista oggi in America come docente è di Padova. L’azienda, la Carraro, produce sistemi di trasmissione ed ha sede a Campodarsego, nella provincia euganea. Ma a Boldrin risponde indirettamente l’azienda stessa col suo bilancio che mostra anche i mercati di riferimento dell’export sulla base dell’anno 2022. E anche su questo caso, dunque, è possibile tracciare una linea chiara sulla base dei documenti ufficiali dell’azienda, che per un gruppo di grandi dimensioni, lo ricordiamo, hanno valore legale.
Dalla Russia… con amore?
In quest’ottica è dunque bene spazzare il campo da qualsiasi discorso su un processo mediatico o sull’emersione di sospetti contro determinate aziende per rapporti con la Russia non aderenti alle sanzioni che provengano da campi esterni alle istituzioni. Le uniche strutture chiamate a giudicare e indagare se un dato comportamento violi o meno i rapporti con Mosca sono quelle dello Stato e dell’Unione Europea. Ogni ulteriore approfondimento è benvenuto se porta prove circostanziate di violazioni. Ma fino a prova contraria, con la Russia è ancora possibile commerciare. Con linee strette rispetto a due anni fa, chiaramente, i rapporti bilaterali sono però ancora esistenti. E pensare di decapitarli definitivamente è, all’epoca della globalizzazione, utopia. Le triangolazioni tra Occidente e Russia su ogni campo, dall’energia ai beni finiti, sono qui a dimostrarli. E autocensurarsi oggi non aiuterà quando, in previsione della fine della guerra in Ucraina, ci sarà da ricostruire su nuovi binari, più blindati sul fronte securitario, un rapporto con Mosca. Per il quale i gruppi rimasti, in ottemperanza alle nuove regole dettate dalle sanzioni, sul territorio serviranno come precursori delle future relazioni commerciali.