La notizia l’hanno data tutti nell’ambiente nelle ultime settimane: la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS ha ottenuto l’accreditamento della Joint Commission International (JCI), leader mondiale in ambito di riconoscimento sanitario. Il Gemelli di Roma diventa uno degli oltre 600 ospedali ospedali internazionali accreditati JCI e in Europa uno dei più grandi fra quelli monoblocco. “Ci siamo accreditati come Academic Medical Center” dice a True Pharma il dottor Andrea Cambieri, Direttore Sanitario del Policlinico commentando il risultato figlio di quasi quattro anni di lavoro. “Significa che gli standard ospedalieri oggetto della valutazione sono stati applicati anche ad altri due capitoli come la formazione ospedaliera universitaria e la ricerca sui soggetti umani, indagati al pari dell’operatività della struttura”.
Se la notizia del prestigioso riconoscimento è di dominio pubblico, in pochi hanno raccontato l’arduo percorso che ha portato al successo finale. “Su oltre 300 standard e 1.200 indicatori di eccellenza internazionali, sottoposti al vaglio di una rigorosa commissione di valutatori, gli indicatori risultati ‘non completamente soddisfatti’ sono stati appena 17” recita la nota della Fondazione.
L’accreditamento della Joint Commission International? Un percorso lungo
La JCI valuta le strutture attraverso centinaia di criteri e una serie di tecniche di indagine. “Si comincia con gli standard, che sono di fatto delle affermazioni, degli statement” spiega Cambieri. Per esempio: come è controllata la prevenzione delle cadute per il paziente? Gli ispettori americani vanno a verificare con una “metodologia invasiva” che presuppone l’upload di centinaia di documenti sui reparti e il personale. Poi realizzano una serie di interviste. “È necessario apparecchiare un tavolo di persone e figure professionale che rispondono ai vari quesiti dai quali gli ispettori catturano una serie in informazioni”. E infine il monitoraggio viene incrociato con quanto avviene nei reparti, in pronto soccorsi, in corsia e via dicendo. Sono i cosiddetti “tracer”: delle “tracce che vengono percorse a ritroso”. Un esempio? “Poniamo che sia finita l’intervista con il panel di persone che si occupano delle infezioni ospedaliere – spiega il Direttore Sanitario del Gemelli a True Pharma –. A quel punto gli ispettori si recano nel reparto di Malattie Infettive a prendere la cartella clinica di un paziente. Parlano con lui, con il medico specialista, con l’infermiere, se vogliono anche con uno specializzando o uno studente e indagano ogni aspetto, dal consenso informato all’anamnesi”. Se durante i colloqui emerge che il paziente si trova in Malattie Infettive dopo essere stato in sala operatoria, vanno – per l’appunto “a ritroso” – anche lì. Se l’operazione chirurgica è successiva all’ingresso in pronto soccorso, ecco che a finire nel mirino è il sistema di emergenza e urgenza. Si tratta di “una ricerca degli anelli deboli come farebbe un detective” che copre “l’intera filiera ospedaliera” a cominciare da “tutte le ditte che hanno rapporti con la struttura: chi fornisce le ambulanze a cui viene chiesto di esibire contratti e report sui controlli periodici. Chi fa le verifiche dei farmaci, che diploma ha il personale presente, a quando risale l’ultima manutenzione sugli ascensori, sulla sterilizzazione delle sale”. Praticamente tutto.
“Fiero del risultato ottenuto dal Policlinico Gemelli”
È proprio per questo motivo che Andrea Cambieri si dice fiero del risultato ottenuto. “Ci tenevo da anni – spiego – perché sono convinto che il sistema di rating del Joint Commission sia il più etico fra quelli esistenti, perché parte proprio dalla centralità del paziente, i diritti del paziente, l’empowerment del paziente e non quindi da teoria pura sulla gestione ospedaliera”. “In secondo luogo – continua – perché la verifica e il monitoraggio dei parametri è molto concreta con un sistema di griglie incrociate in grado di rilevare le finzioni: puoi anche aver fatto un’intervista perfetta su come contrastare le infezioni ospedaliere, ma se gli ispettori vanno in reparto e guardano come vengono lavate le mani, chiedono che siano certificati i volumi di gel igienizzante consumato e la sterilizzazione della strumentazione chirurgica, di fatto non puoi mentire”. Solo all’analisi e all’interpretazione delle cartelle cliniche vengono dedicati ben 4 ispettori su 5 della Joint Commission. Che passano gli ultimi giorni dei loro controlli alla lettura di cartelle andando indietro nel tempo fino a sei mesi.
Joint Commission International (JCI), i 7 criteri da rispettare
Ci sono sette standard 7 “dogmatici”, sui quali non è possibile sbagliare altrimenti il processo di accreditamento salta a prescindere. Li chiamano i “Psg” (Patient Safety Goals”: identificazione del paziente; procedure per la comunicazione verbale; procedure per i farmaci ad alto livello di attenzione, quelli pericolosi, o quelli ambigui che potrebbe essere oggetto di scambi potenzialmente pericolosi a livello di nome, confezione o composizione. Ancora: la sicurezza in sala operatoria; le infezioni ospedaliere; e infine le cadute dei pazienti, “un problema molto più frequente e annoso di quello che l’opinione pubblica potrebbe immaginare” riferisce Andrea Cambieri.
JCI, tanti i livelli di standard attenzionati
Altri standard riguardano l’edilizia ospedaliera (manutenzioni, apparecchiature, anti incendio, anti sismico, uscite di sicurezza etc.). E poi gli standard clinici: non viene attenzionato tanto l’organigramma, la mission dichiarata e le scelte organizzative o di governance. “Vogliono vedere come la cura è centrata sul paziente – dice il Direttore Sanitario –. È una scala sull’operatività dell’ospedale, concreta, con degli elementi spiazzanti di primo acchito per gli europei”. Per esempio? La valutazione individualizzata del personale: viene effettuata una “grigliatura” di medici (1.500 al Gemelli) e specializzandi, aggiornata periodicamente, per capire chi fra il personale può a tutti gli effetti gestire quale tipo di mansione e a quale punto della sua carriera. “È un aspetto che all’inizio tocca anche la sfera emotiva e psicologica delle risorse umane, che si sentono valutate e a volte messe in discussione. Un aspetto che mette in moto delle dinamiche particolari, non semplici da gestire all’inizio”
JCI, una sfida preparata per anni
La sfida, e la preparazione, sono durate anni. “Per convincere una struttura accademica complessa che in totale accoglie 7mila persone a cambiare i propri comportamenti – chiude Cambieri – bisogna entrare nella testa di ognuno”. È quello che il dottore definisce “change management”, con mesi di preparazione alle spalle durante i quali se ne parla anche nei reparti. “Il personale ci ha tenuto e ha lavorato per raggiungere l’obiettivo”.