Perché questo articolo potrebbe interessarti? Siamo alla vigilia di Natale e le feste sono l’occasione per stare in famiglia. Non per tutti la condivisione di questi momenti è qualocosa di scontato. Le persone detenute si ritrovano, in questo periodo dell’anno, ancora più isolate e la riduzione delle attività dentro le carceri può innescare dinamiche che metteno a rischio la salute mentale delle persone ristrette. In mancanza di progetti strutturali, sono le associazioni a creare momenti di convivialità.
«Natale in carcere. Uno dei momenti più difficili per le persone detenute. Il paradosso di una pena che deve tendere al reinserimento sociale delle persone escludendole totalmente dalla società», scrive sul suo profilo Instagram Antigone Onlus, associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”. Le festività sono un momento particolare: molte attività infatti vengono sospese o rallentate e chi è in carcere resta solo e si alimenta così l’isolamento.
Due diversi tipi di isolamento: disciplinare e sociale
Ma cosa si intende quando si fa riferimento all’isolamento? Il tipo di isolamento più diffuso nell’immaginario collettivo è quello disciplinare. È la più severa tra le misure disciplinari previste dai regolamenti penitenziari. L’isolamento disciplinare dovrebbe essere previsto solo per casi eccezionali, ma non è così: molte amministrazioni vi ricorrono in maniera automatica, senza alcuna ricerca di alternative che mettano al centro la salute delle persone detenute e la salvaguardia dei diritti umani.
In questo caso – in occasione delle festività – si fa riferimento all’isolamento come condizione diversa da quella dell’isolamento disciplinare che vede le persone detenute isolate per mancanza di attività, stimoli, coinvolgimento e interazioni sociali. Questo deriva da problemi strutturali come la mancanza di personale e l’assenza di una progettualità che sia in grado di prevedere occasioni di socialità durante questi periodi di pausa. Laddove la collaborazione tra istituzione non funziona, arrivano le associazioni.
«Durante le festività il personale è ridotto, c’è la turnazione e dentro gli istituti penitenziari ci sono meno persone che lavorano, questo provoca fatica anche per le attività extra e tutto è più faticoso in una situazione in cui è già grandemente faticoso», spiega a True News Valentina Calderone, la Garante delle persone private della libertà personale di Roma Capitale.
Stop alle attività dentro le carceri a Natale
«Durante il periodo natalizio la scuola dentro il carcere viene sospesa perché segue il calendario scolastico regionale. Per quanto riguarda le attività delle singole associazioni, invece, ognuna si organizza nel modo che crede, non c’è una regola generale sulla sospensione delle attività», afferma Calderone parlando della attività dentro le carceri.
Le attività in carcere, nel periodo a ridosso del Natale, prevedono solitamente la distribuzione di panettoni e l’organizzazione di pranzi o cene natalizie. A proposito di questi momenti conviviali, Calderone racconta delle resistenze incontrate quest’anno: «Alcuni pranzi che storicamente venivano fatti sono stati ridimensionati dal Provveditore dell’amministrazione penitenziaria (ndr. Provveditorato Lazio-Abruzzo-Molise): sono state date delle disposizioni perché non si potessero fare tavolate di più di 25 persone detenute».
Rischi dell’isolamento durante le feste
I periodi delle feste sono sempre più complicati per le persone detenute, «è più facile che il loro umore sia molto più abbattuto e che le persone che già hanno delle fragilità le sentano ancora di più. Quindi, è un momento in cui tutti i rischi connessi – come autolesionismo e rischi suicidari – hanno un’impennata», fa notare la Garante.
Sono 67 i morti suicidi nelle prigioni italiane da gennaio 2023 (dato aggiornato al 16 dicembre 2023). Nei giorni in prossimità delle feste, quando la vita in cella è ancora più difficile, la probabilità che questo bilancio aumenti è tangibile. Alla frustrazione della condizione di essere ristretti si aggiunge la malinconia causata dalla lontananza dai propri affetti. Le feste in carcere accentuano la distanza tra dentro e fuori.
Per Calderone «è fondamentale prevenire tutta una serie di comportamenti e gesti ed essere in grado di sostenere le persone che inevitabilmente pensano alla famiglia fuori in questo periodo». Le famiglie e gli affetti delle persone detenute sono un punto cruciale per cambiare prospettiva. «Il lavoro di prevenzione e sostegno non può essere fatto contando solo sulla volontà degli operatori e dei volontari, c’è bisogno di rendersi conto che la famiglia e gli affetti sono una parte fondamentale del percorso trattamentale», dice la Garante.
L’isolamento non è un problema solo delle feste, è una questione che dipende dalle opportunità che riescono a essere organizzate all’interno dei diversi istituti penitenziari. Infine, riguardo alle comunicazioni con l’esterno, Calderone fa notare che «quest’anno – con la fine dell’emergenza Covid – si è tornati alla prescrizione della norma rispetto alle telefonate. Dieci minuti di telefonate a settimana sono anacronistici nelle modalità di comunicazione di oggi. È questa la prima cosa da adeguare per cercare di tamponare l’isolamento che una persona detenuta avverte».
Cura contro la solitudine, il pranzo di Natale a Rebibbia femminile
Quest’anno, a Rebibbia femminile – nonostante il divieto del Provveditore – si è riusciti alla fine a derogare a questa nuova regola e a organizzare un pranzo con un gran numero di donne detenute.
Questo pranzo è stata la decima edizione di “L’ALTrA Cucina… per un Pranzo d’Amore”, un evento organizzato dall’associazione Prison Fellowship Italia, in collaborazione con Rinnovamento nello Spirito Santo, Fondazione Alleanza del RnS e il Ministero della Giustizia.
A raccontarci questa iniziativa è Daniela Di Domenico, responsabile ufficio stampa Prison Fellowship Italia: «In questi anni abbiamo assistito alla maturazione del progetto. C’è stata una grande adesione da parte delle persone che vengono ad aiutarci. Abbiamo raggiunto dei risultati importanti: l’abbraccio delle persone che stanno in carcere e che da questa festa vengono consolate, si sentono accolte e non si sentono sole per Natale». Il pranzo di Natale ha interessato 29 istituti penitenziari in tutta Italia e ha coinvolto 4mila detenuti che hanno gustato i piatti cucinati da diversi chef stellati.
La Casa circondariale Rebibbia femminile di Roma (il più grande dei quattro istituti esclusivamente femminili in Italia) ha coinvolto nella preparazione del pranzo lo chef Fulvio Pierangeli: «Lo chef e la sua brigata hanno cucinato e anche le detenute hanno contribuito. Infatti, dove è ammesso dalla direzione e dove c’è questa possibilità si crea una collaborazione tra detenuti e chef stellato: a Rebibbia le donne detenute hanno cucinato per 300 persone», dice Di Domenico ripercorrendo la giornata trascorsa a Rebibbia. A essere coinvolti in questa occasione di festa e convivialità vari artisti e personalità del mondo della musica e dello spettacolo, accolti con entusiasmo dalle donne detenute.
Festa di Natale a Rebibbia
Come racconta Di Domenico, per le donne detenute è ormai un appuntamento fisso, «ormai se lo aspettano, quest’anno doveva saltare e invece abbiamo fatto di tutto per esserci. Spesso dicono che quando veniamo per Natale per loro è quasi come stare in famiglia, è un momento di ascolto». Quello di Prison Fellowship è un progetto che cresce di anno in anno con il supporto di una rete di associazioni che lavorano insieme e «alla fine la vera soddisfazione che ti porti a casa è quel momento in cui c’è qualcuna che ti dice “Grazie. Grazie per quello che hai fatto, non mi sono sentita sola”», conclude Di Domenico.