Perché questo articolo potrebbe interessarti? Il clamore mediatico dato alla possibile revisione della sentenza di condanna per Olindo e Rosa, i coniugi accusati della strage di Erba, pone in primo piano anche la questione relativa al rapporto tra informazione e giustizia. E al rischio di processi svolti sui media e sui social, prima ancora che all’interno delle aule. TrueNews ha sentito in merito l’eurodeputato, ed ex giornalista de Le Iene, Dino Giarrusso.
Il caso di Olindo e Rosa è veramente figlio del clamore mediatico? Sono stati i servizi dedicati alla vicenda, sia all’epoca dei fatti che in occasione delle nuove testimonianze emerse, a spingere per una revisione della sentenza? Nella giornata di mercoledì, l’avvocato Baldassare Lauria su TrueNews si è detto stupito dall’ampio risalto mediatico dato alla decisione del tribunale di Brescia, il quale ha fissato per il primo marzo un’udienza sulle istanze dei legali dei coniugi di Erba e del sostituto procuratore di Milano: “Dopotutto – ha dichiarato – quanto stabilito da Brescia rientra nella sfera ordinaria, semplicemente i giudici valuteranno i ricorsi per la revisione della condanna. È una procedura ordinaria. Ancora non è stato deciso nulla e il primo marzo non è detto che si arrivi a qualcosa”.
La versione di Giarrusso
C’è quindi davvero il rischio che il caso giudiziario sia influenzato della pressione mediatica? “Mi auguro vivamente di no – è la risposta netta data ai nostri microfoni dall’eurodeputato Dino Giarrusso – non voglio proprio pensare che sia così. Bene seguire nuovi indizi, se grazie ad un lavoro d’inchiesta giornalistica questi emergono, male anche solo l’idea di farsi mettere pressione in sede giudiziaria da media e social”.
Giarrusso, oltre a essere impegnato in politica, arriva da precedenti esperienze televisive e giornalistiche. Tra queste anche quella della trasmissione Le Iene, tra le più impegnate nel seguire da vicino i fatti di Erba. Dunque, la sua è una visuale privilegiata per osservare da vicino la possibile connessione tra processi mediatici e processi giudiziari: “Le due cose – ha dichiarato – devono rimanere separate. Il giornalista fa il suo mestiere, il giudice ne fa un altro. Mi auguro che in Italia tutti i giudici siano consapevoli che la loro unica missione è l’applicazione della legge, senza condizionamenti di altro tipo”.
L’importanza di non sovrapporre l’informazione con l’amministrazione della giustizia
Secondo l’eurodeputato ognuno deve avere una precisa cognizione del suo mestiere: “Sarebbe deleterio – ha aggiunto nelle sue dichiarazioni – se la giustizia cedesse a condizioni di pressione mediatica”. Tuttavia, per Giarrusso di per sé l’inchiesta giornalistica non rappresenta affatto un problema: “Vede, spesso sono state proprio le inchieste a far luce su molti casi e se i giornalisti offrono nuovi spunti che possono servire per svelare i misteri, tutto questo può risultare solo positivo”, ha dichiarato.
L’ex giornalista de Le Iene ha poi citato dei casi in cui in passato le inchieste giornalistiche hanno offerto importanti spunti a favore della verità: “Penso al caso Moro oppure alla strage di Ustica – ha sottolineato Giarrusso – dove il giornalista Andrea Purgatori ha svolto un gran lavoro per svelare lati molto oscuri di quella vicenda: non era “pressione mediatica”, era il contributo a cercare la verità fattuale di un dramma enorme per l’Italia”.
“I problemi sorgono invece – ha proseguito l’eurodeputato – quando c’è una sovrapposizione tra giornalismo e amministrazione della giustizia. Tempo fa c’è stato un magistrato che ha ammesso di aver creduto ad una ipotesi di colpevolezza perché sotto pressione mediatica e alla ricerca quindi di un colpevole a tutti i costi. Ecco, questo vorrebbe dire mettere a rischio i processi con interferenze mediatiche, che sono ben altra cosa rispetto all’emergere di nuovi particolari utili. I giudici non devono farsi condizionare da nulla, devono unicamente applicare la legge”.
Sedi opportune? La differenza tra giornali e tribunali
In poche parole, in Italia a volte si corre il rischio di processi svolti in sedi non opportune: “Ripeto – ha concluso Giarrusso – ognuno deve avere cognizione del suo mestiere: il giornalista è bene che faccia con coscienza le sue inchieste, il giudice è bene che applichi le norme dell’ordinamento”.
Anche perché una determinata verità non è detto che debba necessariamente portare a una svolta in ambito giudiziario: “Le faccio un esempio – ha proseguito l’eurodeputato – se un politico viene intercettato mentre parla di appalti con un mafioso, è giustissimo farlo sapere, perché è notizia eticamente e politicamente rilevante, grandissima. Ma anche un’azione del genere non è detto che configuri un reato, dunque potrebbe non essere punibile penalmente. Se così fosse il politico sarà assolto ma, per citare Paolo Borsellino, chi viene assolto non sempre è un santo, dunque i due piani, quello del giudizio etico e quello del giudizio penale, vanno sempre tenuti distinti. Ciò che trapela da un’inchiesta giornalistica potrebbe non avere risvolti in ambito giudiziario, per questo le due cose non devono sovrapporsi: un conto è l’informazione, un altro è l’amministrazione della giustizia”.
Un problema di ordine culturale
La domanda sorge allora spontanea: come mai in Italia si arriva spesso a confondere i due piani? Quello cioè mediatico con quello giudiziario? Anche in questo caso, la risposta di Giarrusso è piuttosto netta: “C’è un problema di ordine culturale nel nostro Paese – ha dichiarato – anzi, le dirò di più: in Italia c’è un problema di ignoranza del sistema del diritto: la giustizia cioè ha le sue regole e le sue norme, ma moltissimi italiani non le conoscono”.
Tutto questo porterebbe a un condizionamento del pensiero dei cittadini: “Milioni di italiani spesso reagiscono emotivamente e non tendono a considerare le norme del diritto – ha proseguito l’eurodeputato – Se si viene a conoscenza di un delitto efferato, c’è chi istintivamente chiede la condanna a morte o chi pur di avere un “colpevole” addita le colpe al primo indiziato. Ma viviamo in un contesto regolamentato, dove la pena di morte grazie a Dio non c’è più, dove sono espresse precise garanzie per gli imputati e questo è un sistema volto a tutelare tutti: vittime e indiziati. Credo che questa consapevolezza in Italia manchi, per questo ritengo che occorra insegnare diritto già dalle elementari”.
A cosa potrebbe portare la vicende di Olindo e Rosa
Tornando al caso di cui più si è discusso in questi giorni, quello cioè relativo alla strage di Erba, per Giarrusso le inchieste giornalistiche svolte negli ultimi mesi sono legittime: “Nei vari servizi andati in onda – ha sottolineato – sono saltati fuori indizi e testimonianze che potrebbero aver svelato alcuni importanti particolari inediti. Vedremo poi come tali novità saranno valutate da chi di competenza per un’eventuale revisione del processo, di per sé però le inchieste giornalistiche effettuate appaiono del tutto legittime”.
Il caso di Olindo e Rosa porterà comunque a una maggiore consapevolezza dell’importanza di dividere ambito mediatico e ambito giudiziario? “Guardi, ne dubito – ha rimarcato con una nota di pessimismo l’eurodeputato – credo invece che si arriverà alla solita divisione tra colpevolisti e innocentisti. Una divisione che non porterà a nulla”.