Perché questo articolo potrebbe interessarti? Taiwan è più vicina di quanto non possiamo immaginare. L’isola è il crocevia del commercio globale. E ogni tensione che riguarda Taipei incide anche sull’Occidente. Italia compresa.
Abbondano le analisi post voto delle elezioni di Taiwan. Tutte, o quasi, incentrate su William Lai, il candidato del Partito progressista democratico (Dpp) che, come da pronostico, ha superato la concorrenza rappresentata da Hou Yu-ih, del Kuomintang, e dall’outsider Ko Wen Je, del Partito popolare di Taiwan.
Come si comporterà la nuova amministrazione Lai nelle complicate relazioni con la Cina? Ecco la domanda più gettonata. Alla quale il neo presidente taiwanese ha subito risposto spiegando di voler mantenere lo status quo tra le due sponde dello Stretto di Taiwan e usare il dialogo per sostituire il confronto nei suoi scambi con il Dragone.
Allo stesso tempo, Lai è un fiero sostenitore della sovranità di Taiwan e non intende in alcun modo cedere alle richieste riunificatrici di Pechino. Ed è questo il nodo spinoso che tiene il mondo intero, Italia compresa, con il fiato sospeso.
L’ombra di una guerra nello Stretto di Taiwan
La posizione di Lai è agli antipodi rispetto alla volontà di Pechino di riunificare l’isola. È dunque probabile che, da qui ai prossimi mesi, la Cina aumenti la pressione nel Mar Cinese Meridionale inviando navi da guerra, caccia e palloni aerostatici. Per provocare Taiwan o anche solo testarne i nervi. Che, se non saranno d’acciaio, rischiano seriamente di far scoppiare una guerra con ripercussioni globali.
Già, perché Lai era il candidato democratico e “anti cinese” idealmente appoggiato dall’Occidente, ma è anche lo stesso che, per le sue posizioni, potrebbe ritrovarsi a fare i conti con una guerra nello Stretto.
Nel caso in cui la Cina dovesse muoversi verso un’offensiva militare gli Stati Uniti quasi sicuramente si schiereranno in prima fila per difendere l’isola. Del resto il Taiwan Relations Act del 1979 sostiene che gli Usa siano chiamati a intervenire qualora la sicurezza del popolo taiwanese dovesse essere messa in pericolo.
Se così sarà, data l’enorme posta in palio, i partner degli Usa – anche l’Italia – potrebbero esser chiamati a sostenere Washington. Lo scenario ipotetico descritto si conclude, dunque, con una guerra che avrebbe effetti molto più globali e devastanti sia del conflitto ucraino che dello scontro tra Israele e Hamas.
Il mondo (e l’Italia) alla finestra
L’ultimo report di Bloomberg Economics ha fotografato il costo di una ipotetica guerra a Taiwan. Uno scontro, che coinvolgerebbe Stati Uniti, Cina e gran parte del blocco occidentale, costerebbe 10 trilioni di dollari. Calcolatrice alla mano, si tratterebbe di circa il 10% del pil globale.
L’impatto sarebbe dunque devastante, come altrettanto devastante per gli equilibri commerciali globali sarebbe però una qualsiasi decisa escalation tra le due sponde dello Stretto. Già, perché – detto brutalmente – Taiwan non è l’Ucraina e non sarà “un’altra Ucraina”.
Il pil dell’isola contesa è infatti di oltre 841 miliardi di dollari, ha superato quello di Paesi come Svizzera, Arabia Saudita e Svezia, e la sua economia si colloca tra le prime 20 del mondo. Qui, nei poco più di 36mila chilometri quadrati governati da Taipei, si concentra dal 40 al 65% della produzione mondiale di semiconduttori, beni strategici necessari per la realizzazione di qualsiasi bene d’uso quotidiano (e non solo).
La quota aumenta addirittura all’85% se prendiamo in considerazione i semiconduttori più avanzati, dei quali il colosso taiwanese Taiwan Semiconductor Manufacturing Company è padrone assoluto. Una guerra, insomma, spazzerebbe via il principale fornitore mondiale di chip.
Impatto economico
A proposito di chip, pare che nell’aprile 2023 funzionari italiani del ministero delle Imprese e del Made in Italy si siano riuniti con le autorità di Taiwan per proporre una sorta di patto: una collaborazione sui microchip in cambio dell’uscita dell’Italia dalla Nuova via della seta cinese. Alla fine Roma ha abbandonato la Bri ma non si vedono ancora all’orizzonte accordi italo-taiwanesi di alcun tipo sul fronte dei semiconduttori.
Nel frattempo, l’Italia ospita sul proprio territorio due uffici di rappresentanza di Taiwan volti ad incrementare le reciproche relazioni bilaterali.
L’ultimo aspetto da considerare in vista del futuro riguarda la posizione geografica di Taipei. L’isola è situata nel Mar Cinese Meridionale, dove transitano le ricchissime vie del commercio marittimo mondiale. Dove passano le navi cariche di merci e petrolio che attraversano, in entrambi i sensi di marcia, lo Stretto di Malacca.
Possiamo dunque considerare Taiwan una sorta di trait d’union tra l’Oceano Pacifico e l’Oceano Indiano, nonché cerniera tra l’Asia da un lato, Medio Oriente, Africa ed Europa dall’altro. Per la cronaca, dal citato Stretto di Malacca transita quasi il 40% del commercio mondiale e merci per un valore complessivo annuale di circa 5,3 trilioni di dollari (un quarto delle quali americane). Ecco perché questa volta è impossibile non interessarsi di Taiwan.