Il governo Meloni ha dato via libera al deal Kkr-Tim, con il quale la principale rete italiana di tlc passerà di fatto sotto il controllo del fondo statunitense. Come legge l’opposizione questa manovra? Ne parliamo con l’esponente di Azione, l’onorevole Giulia Pastorella.
Kkr ha avuto semaforo verde dal governo per l’operazione Tim. Come giudicate questa operazione?
Tim è un’azienda con una storia complessa, che per anni ha cercato un equilibrio instabile tra le rendite di posizione come principale player di mercato, e la necessità di fare investimenti per affrontare l’innovazione tecnologica, in quanto operatore infrastrutturale. Questo le ha impedito di dare il meglio su entrambi i fronti. Infatti, se da un lato il peso delle sue infrastrutture, e del personale a esse deputato, l’ha resa troppo poco agile per competere con attori molto più snelli e aggressivi, dall’altro le necessità di stare sul mercato e di concentrarsi sul cliente finale l’hanno fatta diventare incapace di stare al passo con le esigenze di un’infrastruttura di rete che evolve continuamente (e da qui la nascita di OpenFiber).
Che idea vi siete fatti della prospettiva strategica della tlc italiana?
Alla luce di tutto questo, credo che lo scorporo della rete telefonica da Tim e la trasformazione di NetCo, l’unità aziendale di Tim che addetta alla rete, in una società che si occupi soltanto di infrastrutture mettendole al servizio degli operatori privati, tra cui Tim stessa, sia un buon punto di arrivo.
In Occidente molti Stati stanno riaccentrando il controllo sugli asset strategici. In Italia il governo è solo parte marginale nella contesa che ha visto centrali americani e francesi su Tim. Che prospettive apre ciò?
Sono dell’idea che sia necessario guardare al caso specifico. Quando si parla dell’infrastruttura di TIM si parla sostanzialmente di una rete in rame che, per quanto sia capillare, non rappresenta più la vera spina dorsale delle telecomunicazioni italiane. La rete di fibra ottica, infatti, risponde oggi a logiche più complesse e nella sua gestione coesistono diversi operatori, anche in concorrenza tra loro nelle zone a maggior valore di mercato (le cosiddette “aree nere”). OpenFiber, che è il principale operatore infrastrutturale del Paese, è ancora nelle mani di Cassa Depositi e Prestiti e ad oggi non è ancora del tutto chiaro in che modo entrerà in relazione con NetCo. Mi aspetto che lo Stato continuerà ad esercitare un ruolo guida in caso di fusione.
Si apre anche il nodo cavi sottomarini e del futuro di Sparkle. Che visione avete per gli scenari che vedranno, potenzialmente, questo asset rimanere occidentale ma non più nella disponibilità italiana?
Attenzione a non fare confusione: il fatto che l’asset non appartenga più a una società italiana non significa che non sia più nella disponibilità del Paese. Al momento Sparkle è ancora sotto golden power quindi è presto per fare previsioni. Onestamente, visto l’orientamento del governo su altri temi, non credo che assisteremo a un’operazione che prevede la completa uscita del Paese dalla società, quindi credo resteranno diverse garanzie a tutela degli interessi nazionali.
Come giudicate la visione di politica industriale del governo Meloni, oltre il nodo Telecom-Tim? Quali dossier ritenete critici?
Secondo me uno dei principali problemi di questo governo è la sua incapacità di vedere con chiarezza quali sono gli asset strategici del Paese e le priorità in termini di politica industriale. Lo si vede chiaramente da molte delle loro battaglie, come quella per la non messa a gara delle spiagge, che – a sentire la ministra Santanché – sono un asset strategico da non mettere a gara perché rischierebbe di finire pericolosamente nelle mani di operatori stranieri. Puntualmente, a qualsiasi questione portata alla ribalta dai media il Governo risponde come se fosse un tema di sopravvivenza nazionale. Ma se tutto è strategico, allora nulla è strategico e si finisce per governare a vista e senza avere in testa un’idea di Paese per il domani.