La crisi del Mar Rosso ha messo in difficoltà la logistica globale, il commercio e le catene del valore mondiali. Come stanno reagendo gli operatori del settore? Alessandro Pitto è il presidente di Fedespedi, l’associazione delle società di spedizione italiane.
Il blocco del Mar Rosso ha riaperto la problematica della sostenibilità delle catene del valore globali. Che scenari vedete dopo l’emersione della crisi causata dagli Houthi?
Indubbiamente, il rapido susseguirsi di crisi come questa pone importanti interrogativi sulla praticabilità delle catene del valore globali. Oggi, ad esempio, l’attraversamento dei due principali chokepoints del commercio internazionale, Suez e Panama, è fortemente limitato per motivazioni diverse, ma ugualmente preoccupanti. Nel caso del Mar Rosso, chi ha scommesso su una rapida risoluzione della crisi purtroppo si è sbagliato; oggi è lecito attendersi il protrarsi di questa emergenza per un periodo di diversi mesi, senza escludere ulteriori deterioramenti. Le supply chain globali si stanno già adattando, ma questo processo non sarà privo di costi e disagi per la merce e per i destinatari finali.
Negli ultimi anni sono stati diversi i casi di disruption delle catene commerciali globali: dalla pandemia alla crisi dei chip fino al caso-Suez del 2021 e alla crisi odierna. Come ha reagito il settore della logistica a queste problematiche?
Il settore della logistica ha sempre reagito con grande flessibilità e capacità di adattamento. L’economia mondiale oggi è ancora fortemente interconnessa e la logistica è chiamata a far fluire le merci anche laddove non arrivano più nemmeno le diplomazie. È però fondamentale che la logistica non sia vista solo come un costo, ma finalmente come un’attività in grado di creare valore, valore che si percepisce soprattutto in contingenze come questa.
Come evolvono i nuovi paradigmi del settore del trasporto su lunga distanza? Ritenete possibile che in futuro le soluzioni più sicure in termini strategici e geopolitici possano, sul fronte dei commerci via mare, promuovere una maggiore focalizzazione sulla stabilità delle linee piuttosto che sulla loro economicità in termini di costi e tempi?
Le catene di approvvigionamento si basano su un complesso e delicato equilibrio fra flussi di trasporto e snodi logistici. In passato, l’affidabilità e l’economicità dei trasporti, primo fra tutti il trasporto via mare, consentiva di realizzare supply chain estremamente “tirate” in cui gli investimenti negli snodi logistici (leggi lo stoccaggio di scorte) erano ridotti al minimo, proprio perché ritenuti non necessari alla luce dell’affidabilità dei flussi. Oggi ci risvegliamo in un mondo in cui, per eventi ambientali o geopolitici, i flussi di trasporto non riescono più ad essere così economici ed affidabili, ragion per cui diventa necessario focalizzare l’attenzione sugli snodi logistici, aumentando le scorte e avvicinando le aree di approvvigionamento ai mercati di destinazione.
L’Italia si trova in mezzo a un mare, il Mediterraneo, che rischia di esser tagliato fuori dalle arterie globali in caso di riduzione dei flussi nel Mar Rosso. Però il nostro Paese ha una profondità strategica con le delocalizzazioni in Europa orientale delle sue catene del valore. Può la presenza di una catena logistica italiana nell’estero vicino supplire alla crisi del Mar Rosso?
Dal 1869 ad oggi, seppur con le due interruzioni del 1956 e del 1967-1975, il canale di Suez ha riconsegnato al Mediterraneo quella centralità che aveva perso con la scoperta dell’America. Per un paese come l’Italia che ha costruito un ampio e diversificato sistema portuale basato sulla sua centralità nel Mediterraneo, è impensabile che questa via di transito possa restare chiusa a lungo senza creare danni significativi. Si stima che attraverso lo stretto di Suez transiti il 40% del commercio internazionale via mare del nostro paese. Il pensiero va in primo luogo a un grande hub di transhipment come Gioia Tauro, che rischia di vedere dissolvere la sua vocazione naturale, ma anche ai porti gateway, che subiranno un inevitabile ridimensionamento a causa dell’allontanamento dalle principali rotte mondiali. Ma tutti i porti del Mediterraneo orientale e centrale sono a rischio e già si sentono i primi effetti della chiusura del Mar Rosso con una diminuzione dei traffici nell’ultimo mese. È vero che sono in corso di attuazione strategie di reshoring da parte di alcune aziende che avvicinano i loro siti produttivi nell’Est Europa, ma i numeri sono ancora contenuti. Non dimentichiamo poi che il nostro export trova nell’area mediorientale ed oltre Suez notevoli mercati di sbocco.
In prospettiva, le crisi che si sono susseguite mostrano la fragilità dei trasporti transcontinentali via nave di fronte a shock del genere. Questo può, in prospettiva, tornare a far parlare del peso economico della connettività terrestre?
Oggi quasi il 90% del commercio internazionale viaggia via nave: difficile pensare di sostituire questa modalità di trasporto in maniera sensibile. Ricordiamo inoltre che quando parliamo di commercio e di trasporti non ci sono solo le merci che viaggiano in container, ma anche materie prime che viaggiano in rinfusa, come il petrolio, i combustibili, il gas naturale liquefatto, i cereali; tutte categorie merceologiche che trovano nel via mare l’unica modalità di trasporto praticabile. Detto questo, non vi è dubbio che, per merci caratterizzate da un maggior valore unitario e da volumi più contenuti, stiano emergendo modalità di trasporto alternative, come il treno, anche su lunghe o lunghissime distanze, il cargo aereo, oppure una combinazione fra più modi di trasporto. Il treno ad esempio sta rappresentando oggi una valida alternativa all’utilizzo, sempre più contingentato, del canale di Panama, così come tornano a riproporsi connessioni ferroviarie fra la Cina e l’Europa.