Vittorio Sgarbi risponde alla mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 Stelle alla Camera per la storia del quadro rubato. Il sottosegretario alla Cultura rischia la revoca.
Vittorio Sgarbi, mozione di sfiducia alla Camera
Nell’Aula della Camera è stata presentata una mozione di sfiducia dal M5S contro il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi coinvolto in un’inchiesta su un quadro rubato.
“La mozione che il Movimento 5 stelle ha presentato sul Sottosegretario di Stato per la Cultura, Vittorio Sgarbi, chiama quest’Aula a rispondere a una domanda tanto semplice, quanto fondamentale: se può, un membro del Governo coinvolto in un’inchiesta, prima giornalistica e poi anche giudiziaria, che attiene al riciclaggio di un prezioso dipinto del Seicento, continuare a rivestire il ruolo di Sottosegretario di Stato per la Cultura e a detenere, tra le altre, la delega alla tutela e alla sicurezza del patrimonio culturale”, con queste parole è iniziato l’intervento di Arnaldo Lomuti, il deputato M5s che ha presentato la mozione per la revoca della nomina a sottosegretario alla Cultura.
La sua reazione
“Pensare di colpire gli avversari politici utilizzando le falsità di lettere anonime o le azioni della magistratura appositamente sollecitate con inchieste giornalistiche farlocche è una pratica degna dei più torvi giustizialisti. Sorprende che il PD, partito che pure ha subito la gogna mediatica contro molti suoi illustri esponenti destinatari di semplici avvisi di garanzia, e che proprio dai 5 Stelle, che sull’odio costruiscono il loro consenso, per anni ha subito sui social le ben note ‘shit storm’, si renda oggi complice di questa squallida operazione di delegittimazione“, è stata la reazione di Sgarbi alla mozione di sfiducia.
“Non accetto lezioni di ‘moralità’ da chi, come la deputata grillina Vittoria Baldino, nel 2018 è entrata in Parlamento da avvocato presentando una dichiarazione dei redditi di meno di 5 mila euro. Da Silvestri e Baldino miserabili aggressioni e un uso politico di indagini preliminari nate da una campagna diffamatoria del loro organo di propaganda, Il Fatto, e da una trasmissione, Report, che ha costruito un castello di accuse fatto di sospetti, insinuazioni e plateali menzogne, a firma di due cronisti che sui social prestano i loro servizi al fianco di noti esponenti delle opposizioni, come Alessandro Di Battista. Non è giornalismo, è lotta politica”.