Perché leggere questo articolo? Il premier indiano Modi ha inaugurato un tempio indù. Il luogo di culto sorge dove fino al 1992 c’era una moschea, la cui demolizione nel 1992 causò più di 2mila morti. Mito e religione sono cruciali non solo per la politica indiana. Lo sanno bene i sovranisti di casa nostra.
Lunedì mattina i giornali, italiani e non solo, narravano al loro interno di un antico poema epico. Letto e adorato da milioni di persone nel mondo, questo poema racconta le peripezie di un eroe, che cerca di riunirsi a sua moglie, di ritorno da una lunghissima guerra. L’eroe è eponimo: dà il nome al poema. Avrete, ovviamente, già indovinato il titolo del poema finito sui quotidiani di tutto il mondo: il Ramayana. Tutto il mondo si è occupato della versione indiana dell’Odissea, perchè nel fine settimana il primo ministro Narendra Modi ha inaugurato un grande tempio indù nella città di Ayodhya. Il tempio sorge nello stesso punto dove sorgeva la moschea, la cui demolizione nel 1992 causò oltre 2mila morti.
Modi al tempio
“Una nuova era per l’India“. Queste le parole scelte dal primo ministro indiano Modi per l’inaugurazione domenicale del grande tempio dedicato al dio indù Rama nella città di Ayodhya, nello stato dell’Uttar Pradesh, nel nord dell’India. Tra gli ospiti dell’evento c’erano le migliori star del cinema e giocatori di cricket. Ma alcuni veggenti indù e gran parte dell’opposizione lo hanno boicottato, affermando che Modi lo stava usando per scopi politici. Nel corso del 2024 – in più settimane tra marzo e maggio – si terranno le elezioni generali in India e i rivali politici di Modi ritengono che il partito al governo Bharatiya Janata Party (BJP) cercherà voti in nome del tempio in un paese dove l’80% della popolazione è indù.
“La data di oggi passerà alla storia“, ha dichiarato Modi dopo l’evento. “Dopo anni di lotta e innumerevoli sacrifici, Rama è tornato a casa” ha proseguito Modi. Una dichiarazione tutt’altro che pacifica. Il culto del principe Rama è centrale nel nazionalismo indù: grazie allo straordinario successo di una serie televisiva dedicata al racconto delle sue gesta intorno alla sua figura mitologica, a partire dagli anni Ottanta ha preso forza un crescente movimento che vuole riportare la religione induista al centro della politica e società indiana, superando una concezione laica e secolare dello stato. Come simboleggia il luogo stesso dove sorge il tempio di Rama. Esattamente dove si è recato domenica Modi sorgeva una moschea del Sedicesimo secolo, distrutta da una folla di 150mila fedeli induisti nel 1992, in quello che viene considerato uno degli eventi più complicati e problematici della storia recente dell’India. Ci furono oltre 2mila morti quel giorno.
L’ideologia nazionalista di Modi e del suo Bjp
Troppo spesso in Occidente si considera l’India di Modi un monolite. All’interno del subcontinente vivono minoranze etniche, linguistiche, religiose. La prima fra tutte la terza comunità musulmana più grande al mondo: 200 milioni di indiani seguono i precetti del Corano. “Hindu, Hindi, Hindustan”. Una religione (l’induismo), una lingua (hindi) e una terra (l’Hindustan). Sono i fondamenti dell’Hindutva, l’ideologia ultranazionalista su cui si regge il governo di Narendra Modi e del suo Partito Popolare Indiano (Bjp). La retorica della contrapposizione all’Islam – religione del rivale regionale Pakistan – è stata cruciale per garantie nel 2019. Il consenso politico di Modi si fonda su un’ideologia che ha una storia secolare. Che mira a ricondurre a unità la lunga tradizione storica, religiosa e politica della civiltà indiana.
Il Bjp deriva dall’Organizzazione Volontaria Nazionale, un’associazione con oltre 5 milioni di iscritti che ha nell’evangelizzazione al verbo dell’Hindutva. Narendra Modi ne fa parte fin da quando aveva l’età di otto anni, così come l’ex Primo Ministro Vayjpee. L’organizzazione nasce a Nagpur, in India, nel 1925 per opera di R.B. Hegdewar, un brahmino del Maharashtra. L’ ideologo di punta dell’ Rss è stato V.D. Savarkar. Fu lui a coniare il termine “hindutva” con cui viene oggi chiamata l’ ideologia fondamentalista hindu. Nella biografia di Savarkar si legge che, a dodici anni, alla testa di un gruppo di coetanei, prese a sassate la moschea del suo villaggio per vendicarsi delle “atrocità” commesse dai musulmani nei confronti degli hindu. Da allora, per Savarkar, i musulmani saranno sempre gli “aggressori” e contro di loro doveva materializzarsi la vendetta degli hindu.
La mitologia sovranista di casa nostra
Mito e religione possiedono elementi in grado di accomunare le varie culture dell’umanità. Così come Odissea e Ramayana sono tra loro intrecciate – per trama, topos, personaggi e valori – anche un filo lega la politica indiana a quella nostrana. Il trait-d-union tra Modi e Meloni (o Salvini, a seconda che vi piaccia più la mitologia elfica del Signore degli Anelli o quella nostrana di Alberto da Giussano) è fin troppo semplice da rintracciare. Un parallelismo tra il premier indiano che inaugura il tempio e il ministro Salvini che bacia il crocefisso non sembra troppo campato per aria. Storia, epica e letteratura sono da tempo oggetto delle mire speculativa delle destra nazionalista e sovranista. Nello stesso pantheon pagano possono così rientrare Odisseo e Rama, Tolkien e la Storia infinita. Cambiano le religioni, non le dinamiche di chi le strumentalizza.