Perchè leggere questo articolo? In Italia, il mercato del lavoro sta vivendo un paradosso apparente: l’occupazione aumenta, ma non per i giovani. E’ infatti boom di occupati over 50, mentre la precarietà persiste, soprattutto tra le donne, e i lavoratori under 35 sono sempre meno. Non è solo colpa della crisi economica, del calo della natalità e della fuga dei cervelli. Un netto cambio di prospettiva e approccio al lavoro è in atto.
L’Italia non è un paese per lavoratori giovani. E l’ultimo rapporto Censis sembra confermarlo. L’occupazione è ai massimi storici, con oltre 23,6 milioni di persone impiegate a giugno 2023, ma la precarietà continua a essere giovane e donna. Le ragazze e i ragazzi italiani risultano essere i più sfruttati e mal retribuiti sul posto di lavoro. Anche se solo una parte di loro è riuscita a trovarne uno. I lavoratori under 35 sono sempre meno. Si sono ridotti di 360 mila unità dal 2012. Molteplici le motivazioni dietro a questa crisi: calo della natalità, alto tasso di disoccupazione giovanile e carovita.
Boom occupazionale: non ci sono mai stati così tanti lavoratori (vecchi)
Si tratta dunque di un problema strutturale, che rende il mercato dell’occupazione sempre più “vecchio”, con un aumento significativo di lavoratori over 50 negli ultimi 10 anni. I giovani italiani però non ci stanno più. Stufi e stanchi di regalare il loro tempo, lasciano il Paese in cerca di migliori opportunità all’estero. E’ la famosa fuga dei cervelli, fenomeno in crescita e destinato ad aumentare. Inoltre, tra gli occupati under 35 emerge un netto cambio di prospettiva in atto: basta vivere per lavorare, si lavora per vivere.
Eppure, in Italia non ci sono mai stati così tanti lavoratori. Nel 2023 infatti il tasso di occupazione ha registrato un picco storico, arrivando al 61,5%, mentre la disoccupazione risulta in discesa. Lo conferma l’ultimo rapporto Censis, secondo cui il numero di persone entrate nel mercato del lavoro è progressivamente aumentato dopo il crollo dovuto alla pandemia. Passando da 22 milioni di occupati a luglio 2020, a più di 23,6 milioni registrati a novembre 2023. Tutti dati che fanno sicuramente esultare Meloni, ma che fanno meno piacere ai giovani.
La precarietà è giovane e donna
Chi non brinda al nuovo impiego è una fetta importante di popolazione, quella degli occupati di età compresa tra i 15 e i 34 anni, che dal 2012 al 2022 sono diminuiti del 7,6%. Aumentano invece in modo consistente i lavoratori over 50. Così il divario generazionale non è mai stato così ampio e il boom occupazionale che taglia fuori i giovani lo dimostra. Il lavoro c’è ma spesso per i neo-occupati è sottopagato, discontinuo, e insicuro. Sfruttamento e bassa retribuzione sono i comuni denominatori che contraddistinguono la condizione degli under 30. Una situazione ulteriormente complicata dalla crisi economica e dalla crescente precarietà nel mondo del lavoro.
Il mercato del lavoro in Italia diventa quindi sempre più vecchio. E sembrerebbe restare un mondo per maschi, che taglia fuori circa 8 milioni di donne. Il settore occupazionale italiano non riesce a dire addio alla precarietà, problema predominante soprattutto tra i giovani, caratterizzato anche da un’aggravante di genere. La disoccupazione infatti affligge per lo più le lavoratrici. Inoltre, il 46,3% delle donne tra i 15 e i 34 anni sono impiegate con forme contrattuali non standard, contro il 39,3% degli uomini. Il part-time involontario raggiunge il 20,9% delle lavoratrici e coinvolge il 10,3% degli occupati maschi. Insomma, guardando i dati Censis verrebbe da dire che la precarietà è giovane e ancor più donna.
Basta vivere per lavorare. Oggi si lavora per vivere
In Italia, il boom occupazionale non è un segno di benessere che riguarda tutti. Sembrerebbe mancare una politica giovanile strutturata. Gli interventi sporadici come il bonus cultura e il bonus casa non bastano, servono ulteriori interventi di lungo periodo mirati a offrire opportunità concrete ai giovani. Assicurando loro un futuro del lavoro in Italia che sappia essere attrattivo, sostenibile e inclusivo. Mentre il mercato del lavoro si espande dunque, i giovani continuano a vivere una realtà di precarietà e sfruttamento. Ma non ci stanno più. E chiedono supporto personalizzato, integrazioni del reddito, maggiore conciliazione tra vita lavorativa e privata. Dall’analisi del Censis si capisce che un vero e proprio cambio di prospettiva è in atto. Il 62,7% degli italiani infatti ritiene che il lavoro non sia centrale nella vita, e l’80% lo considera un fattore che ha spesso trascurato gli interessi personali. Oggi, si lavora per vivere, e i giovani sono disposti a dedicare il loro tempo solo se il compenso lo giustifica. In caso contrario, tengono pronto il passaporto per l’espatrio. Basta vivere per lavorare, si lavora per vivere. Questa sembra essere la nuova bussola che orienta i neo-occupati nelle loro scelte lavorative.