John Travolta obbligato a sgambettare il ballo del qua qua tra pupazzi di paperotti antropomorfi. Orrorifica ma perfetta istantanea di questa seconda serata del Festivàl. Seconda serata del Festivàl in cui si distingue Giorgia in qualità di co-conduttrice, ma pure di superstar: non c’è nulla che non sappia fare, anche se non ce la sappiamo proprio meritare. A sorpresa, Dargen D’Amico ha il pezzo più profondo, intelligente e straziante dell’intera kermesse. Anche se suona, volutamente, zarronight. Per quanto, come dichiarato, in partenza, qui della classifica ce ne sbattiamo, resta dolorosamente inspiegabile la classifica provvisoria finale, insano frutto combinato dal voto del pubblico da casa più quello delle radio: piazzano al secondo posto Irama e al primo Geolier. Andiamo, con coraggio, a dragare questo nuovo abisso, pensando a chi sta peggio di noi. Come l’agente di Travolta, per esempio, che, sicuro, mentre scriviamo avrà già perso il lavoro.
Nek e Renga perché Amadeus vuole punirci: voto 3
Nek e Francesco Renga entrano in scena e il microfono di Neviani Filippo si spegne, va in sciopero, lo boicotta. Uno di noi. Purtroppo, dopo una manciata di secondi crumira e i due procedono con l’esecuzione, in tutti i sensi, della loro “Pazzo di Te”. Un brano talmente impalpabile che è soltanto lo sciagurato duo ad accorgersi che esista. Forse. Del resto, viene da uno la cui più grande ispirazione, nell’ultimo decennio, è stata cantare, sempre all’Ariston, “Siamo due braccia con un cuore, eh eh”. E da quell’altro che, seppure un tempo sapeva fare il suo, ora vale solo come sottomarca di Biagio Antonacci lato appeal per madri di milf.
Fondo classifica sicuro, plauso a Renga che si presenta sul palco dell’Ariston travestito da Paolo Bitta di Camera Cafè, probabilmente equivocando come fare punti al FantaSanremo. Giusto perché la sofferenza è reale solo se condivisa, ricordiamo alcuni nomi degli esclusi dalla rosa dei “magnifici” trenta a questo Festivàl: Arisa, Francesco Gabbani, Malika Ayane, forse perfino Samuele Bersani. Dio delle città, quanti modi trova Amedeo Sebastiani per punirci.
Giorgia è la superstar che non ci sappiamo meritare: voto 10
Seconda alla co-conduzione solo per ordine di tempo, Giorgia sul palco dell’Ariston dimostra di non essere seconda proprio a nessuno. Dopo la buona prova di Marco Mengoni alla prima gran soirée festivaliera, la cantante, esordiente al timone, si ripiglia tutto quello che è suo. Compreso il riscatto per lo scorno dell’anno passato, quando fu quasi snobbata in gara (con un pezzo così così, va detto). A metà serata, un romantico in platea le urla: “Giorgia, sposami!” e lei replica: “Non ti conviene, c’ho un caratteraccio!”. Più alacre di un’ape operaia, in scena non si risparmia: magistrale su “…E poi” per celebrare il 30esimo compleanno del brano, seguito da divino medley dei suoi successi con la camera che purtroppo le ruota intorno effetto mal di mare.
Parla inglese meglio di Amadeus (che, al contrario suo, non ne spiccica una parola) e fa la cosa più intelligente di tutte: si tira fuori dallo sciagurato siparietto cheap con John Travolta. La conduzione di Giorgia resta, dunque, senza macchia. Anche scaltra, viene davvero da chiedersi come mai in tutto questo tempo a nessuno sia venuto in mente di farle condurre manco una televendita di materassi in tv. Sa fare tutto, è una scheggia, fulminea anche quando le tocca improvvisare o rimanere sola al comando, tiene corde vocali di platino puro. Non viene ancora considerata una superstar a tutti gli effetti solo perché se Lady Gaga fosse nata in Italia, sarebbe rimasta Stefania Germanotta, corista precaria di belle speranze con un futuro alle casse, sì, ma della Lidl.
John Travolta ostaggio del Ballo del Qua Qua, chi gliel’ha fatto fare: voto 0
Prendi un aereo, volo intercontinentale, ti scortano in limo verso un paesello ligure a occhio più piccolo di una qualunque delle tue mansion losangeline. Sei John Travolta, ti stanno trascinando a Sanremo, qualunque cosa sia. Già qualche annetto fa, forse non lo ricordi, ci eri cascato, finendo per farti fare una pedicure in Eurovisione. Non ti eri divertito. Quella stessa sera, appena uscito dall’inquadratura, avevi licenziato in tronco il tuo agente, quel derelitto buono a niente. Stavolta figurati, stavolta hai un manager con le palle, uno che se ti consiglia un’ospitata extracontinentale, sa che ti riveriranno per la superstar mondiale che sei. Neanche il tempo di salire sul palco, che già uno che si chiama Amadeus, apparentemente il conduttore, lo capisci dalla giacca visibile anche da Urano, ti tratta come un animale allo zoo, intimando a sua moglie, in prima fila, di farvi quante più foto possibili insieme mentre ballate “Stayin’ Alive”. Eh vabbè, i fan. Ciò che ancora non sai è che a breve, quell’uomo con la giacca visibile anche da Urano, ti scorterà giulivo fuori dal quel teatrino di provincia. E che lì fuori ti aspetta un amico suo, Rosario Fiorello detto Ciuri, circondato da paperelle umanoidi. Sarai, dunque, costretto a ballare il “Qua Qua Dance” in Eurovisione. Guardi tutti con somma commiserazione, ma ti presti, che devi fare? Almeno non senti il traduttore simultaneo che, mentre cerchi di parlare di Fellini, dice “Giulietta Messina”. Uscirai da questo incubo, John, licenzierai di nuovo il tuo agente, John, nemmeno lui ti vuole del bene. E non te lo meriti. Non perdonarlo, John, fai come Anna Oxa: senza pietà. Poi ti mando il cv che a Cinisello Balsamo in primavera fanno certe sagre, sai…
Minchia, Signor Dargen! D’Amico ha un Il Pezzo del Festivàl: voto 9.5
Suona come una zarrata qualunque. Però, non lo è. Proprio per niente. La prima sera non tutti, noi compresi, hanno capito quel pipponico “Cessate il fuoco” in cui Dargen D’Amico si è prodotto al termine dell’esibizione. Della sua “Onda Alta”, del resto, era arrivato più il ritmo disco-dance Eiffel 65 mangiandosi il testo, anche per via dei soliti problemucci d’audio che falcidiano la kermesse dal ‘54. Poi il cantante, con gli occhiali da sole d’ordinanza a coprirgli il volto, aveva su una giacca tutta tempestata di oracchiotti, pareva un imbecille, insomma, un clown. Invece, le parole della canzone sono coltellate: Dargen canta zarro di una imbarcazione che sta per affondare nel Mediterraneo perché “navigando verso Malta, sta arrivando l’onda alta, siamo più dei salvagenti nella barca”. Il punto di vista è quello di chi è a bordo e conta i secondi che lo separano dall’impatto, con pensieri ai parenti, sogni infranti, rimpianti, “tutto questo viaggio per riempire un frigo”. Man mano che le immagini si fanno sempre più tetre, il ritmo incalza e viene da muovere il piedino. E da sentirsi in colpa perché è esattamente quello che facciamo ogni giorno: continuare a “ballare” mentre ci giungono notizie di gente che muore male. Ma “Fottitene e balla” non è più la soluzione per Dargen che porta all’Ariston una canzone intelligentissima, profonda, straziante perfino. La apprezzeranno in tre. Se questo stesso testo fosse stato proposto con un filo di voce, magari accompagnato da balalaike varie ed eventuali, lo daremmo tutti per vincitore certo. Minchia, Signor Dargen!
Le polemiche sul body shaming a BigMama, magnate tranquillə: voto 4-
Dopo la prima serata del Festivàl, la pagina Facebook di Striscia la Notizia si è permessa (emoji del faccino rosso, quello che fa “Grrr!”) di postare un meme in cui sottolineava una certa somiglianza tra BigMama e Ursula de La Sirenetta. Nessuna delle dirette interessate ha fatto un plissé, ma una schiera di giustizieri della notte sta – tuttora! – conducendo una battaglia social contro il “cattivo gusto” del tg satirico di Antonio Ricci, accusato del più orrendo dei crimini di oggidì: il reato di body shaming. In un Sanremo quasi totalmente scevro da polemiche, all’infuori della mezza bagarre su Amadeus e Fiorello che hanno accettato (!) di cantare “Bella Ciao” in conferenza stampa prefestivaliera, ci voleva un po’ di caciara a insaporire il menù. Mentre la Rai apre addirittura un provvedimento disciplinare verso un dipendente che avrebbe forse criticato la cantante sui social e non per via della canzone, viene da sbagliare.
Posto che qualunque artista in gara, per look o phisique du role, venga, è prassi, paragonato almeno a un personaggio di fantasia tramite meme, la somiglianza tra BigMama e Ursula de La Sirenetta c’è, esiste, è tra noi. Sia pure per il taglio di capelli e il corsetto nero che entrambe indossano. Agli indignatissimi, vorremmo anche sommessamente far notare come la villain della donna-pesciata Disney sia uno dei character più “iconici” (usiamo il loro gergo, magari comprendono) di sempre. E che se la stessa BigMama dovesse mai venir scelta per interpretarla, magari in un musical, di certo non si metterebbe a lacrimare, offesissima. Anzi. Magnate tranquillə.
Il giochino dei cantanti che presentano gli avversari in gara: voto 7.5
Pur non riuscendo ancora a levarci dal cervelletto i guanti da cucina (?) sozzi sfoggiati da Ghali per presentare il primo cantante in gara, dobbiamo dire che questo giochino, ideato da quel geniaccio di Ame, funziona. Nella seconda serata, gli artisti a esibirsi sono “solo” quindici, la metà della tassa completa, quindi Ama ha costretto tutti gli altri a lavorare lo stesso. C’è chi inciampa, chi si emoziona, chi scopre una nuova vocazione e magari la pianta con la musica (lasciateci sognare). I turni di presentazione sono stati sorteggiati la mattina di mercoledì 7 febbraio e hanno prodotto combo malefiche, tipo i La Sad che annunciano il compassato duo Renga-Nek.
Una buona cosa per tutti, griffe comprese che si giocano un outfit in più del previsto al Festivàl. Per la terza puntata, chi ha cantato questa sera dovrà ricambiare il favore agli avversari. Il fatto che gli artisti siano obbligati a non starsene con le mani in mano anche quando non sono chiamati a smarchettare la propria canzone sul palco dà come un senso di pace al pubblico a casa che, tra le altre cose, lavora davvero. Amedeo Sebastiani ha proprio detto: l’avete voluta la bicicletta? Adesso, pedalare!
Alfa, “bellissimissima” questa cover di Furia Cavallo del West: voto 5
Si manifesta sulle scale con una scopa in mano giusto il tempo di illuderci che abbia trovato nuova, decisamente più utile, vocazione. Quella del netturbino. Invece no, il giovane Alfa voleva solo far punti al FantaSanremo. Anche perché la “rumenta” (visto che siamo in Liguria, si può dire) il nostro la butta tutta in musica, copiosamente. E proprio così deve essere nata la sua “Via”, in corsa verso l’abisso della classifica (vogliamo sperare). Un pezzo country (?) che pare una sorta di prequel di Furia Cavallo del West, anno del signor Mal 1977.
Anche se sui social c’è chi sibillina una sfrontata somiglianza del pezzo con una ballad dei One Republic dal titolo Run, il vero reato è che cotanto campioncino sia all’Ariston. E che ci sia, in buona sostanza, per il “merito” di aver campionato “Bella” di Jovanotti, digi-involvendola nella tremenda hit “Bellissimissima”. Per carità, la cantano pure i carrozzieri mentre salano il conto del cambio batteria. Però, in un mondo giusto – che purtroppo non è quello in cui viviamo, una boiata così non l’avrebbe presa in considerazione manco Povia, il tizio che all’Ariston portò la canzone del piccione, andando pure a vincere. Che la storia non si ripeta, via!
All’improvviso, due marmotte: voto 6.5
La nascita, nonché l’evoluzione, delle mascotte delle Olimpiadi Milano Cortina 2026 sono la linea comica che unisce indissolubilmente lo scorso Festival a questo di oggidì. 365 giorni orsono (circa) Amedeo Sebastiani ci aveva mostrato, orgoglioso, due bozzetti orrendi con le effigi di tali esseri, appunto le mascotte dell’evento, che parevano uscite dalla Fabbrica dei Mostri, mitologico gioco anni Novanta, quello dotato di “orribili creature che il forno sfornerà”.
Gli sciagurati disegnini di allora, per quanto spaventosi, erano soltanto inoffensivi render. Brutti almeno quanto una spinta al buio, ma solo sulla carta. Ora Tino e Mila, questi i loro nomi, si sono guadagnati il 3D, stanno tra noi, essi vivono. Essi vivono perché un paio di precari sono stati pagati – speriamo – per entrare nei costumi delle due marmotte (pardon, ermellini, forse) con il rassicurante sorriso del Joker cucito sul muso. Salgono all’Ariston apparentemente in preda a forti convulsioni, sbattono le zampine senza posa, qualcuno rimedi del sedativo per cavalli, presto! “Loro rappresenteranno l’Italia nel mondo alle prossime Olimpiadi!”, annuncia tronfio Amadeus. Perché drogarsi quando esiste Sanremo?
Cosa ci fanno Irama e Geolier al secondo e al primo posto: voto 2
Nel corso della prima serata, la classifica finale è stata frutto dello sforzo congiunto delle due sale stampa sanremesi. I giornalisti in riviera, dunque, avevano piazzato al primo posto temporaneo Loredana Bertè che oggi si ritrova quarta. Che oggi si ritrova quarta perché lo scettro del potere è passato nelle mani di televoto e radio. Ed è stato subito sfacimm. Se Mahmood (quinto), appunto Bertè (quarta) e Annalisa (terza) sono rimasti tra i Fab 5, infatti, sul secondo gradino più alto del podio attuale troviamo un inspiegabile Irama, mentre sul primo Geolier, il tizio che ha mostrato in Eurovisione come suonerebbe un codice fiscale se potesse cantare. Fuoriusciti, al momento, dai favoritissimi alla vittoria Angelina Mango e Diodato. Per fare spazio, lo ricordiamo, a questi altri due qua.
Posto che, con buona pace dei tre tenori(ni) de Il Volo, in gara non ci siano veri e propri capolavori, l’attuale classifica provvisoria grida vendetta più dei Jalisse. Il Paese reale è il nemico.
Allevi torna al pianoforte dopo due anni di malattia: voto a piacere
Mettiamola così: qua chi scrive detesta con ogni fibra del proprio sciagurato corpo i momenti di tv lacrime-strappa. Specie quelli in cui il dolore di un personaggio – noto o meno noto – viene esposto alla mercé del pubblico, pubblico che uscirà dal sermone retoricamente arricchito da una bella lezioncina su come si campa per non morire. È pur vero, però, che l’intervento di Giovanni Allevi non ha generato nemmeno in questa intransigente penna da tastiera bolle e pruriti urticanti. Anzi. Il pianista, colpito da tremenda malattia un paio d’anni orsono, ha portato all’Ariston il proprio doloroso vissuto, ma lo ha fatto con grazia.
Costretto a star lontano dal suo amatissimo strumento musicale per oltre 730 giorni, vi si riconcilia per la prima volta sul palco di Sanremo, annunciando un imminente ritorno in tour. Allevi, per quanto ancora affetto da neuropatia, formicolii alle mani e con due costole fratturate, sta meglio e sostiene di aver imparato molte cose stando in un letto d’ospedale: che il rosso dell’alba è diverso da quello del tramonto, che è stato proprio un fesso quella volta che si è sentito scornato per aver visto una poltrona vuota nella platea del teatro in cui si esibiva, che un tempo suonava per quindici persone ed era felice almeno quanto è felice oggi di tornare a esibirsi “con l’anima, se non dovessi farcela fisicamente”. Tuttora in direzione ostinata e contraria rispetto a quella della tv del dolore, ammettiamo che le parole di Allevi non siano state poi così orrende da mandare giù. Anzi, a tratti, ci hanno pure commosso. Voto a piacere.
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