Perché leggere questo articolo? Scommesse e processi, giovani e vecchi, conservatori e innovatori. Chi vota chi. Non è populismo, è nazional popolare. Sanremo fa politica e, forse, i nostri politici potrebbero imparare qualcosa dal Festival. La competizione dove gli italiani votano veramente
Sanremo fa politica, ma anche la politica è un Festival. Due riti ormai da tempo nell’immaginario collettivo e nella quotidianità di milioni di italiani, che mai come in questi tempi si intrecciano. A partire dalla demoscopica, la scienza dell’indagine statistica sull’opinione pubblica. Martedì 6 febbraio 2024 oltre 10 milioni e 561 mila di italiani hanno visto la prima di Sanremo. Domenica 25 settembre 2022 quasi 29 milioni e 413 mila italiani si sono recati alle urne per votare. Percentuali simili, e da record. Però invertiti. Mai così tanti spettatori per l’esordio di Sanremo; mai così pochi elettori per l’affluenza alle politiche. I punti in comune, tra il Festival più conteso e la prassi democratica che più assomiglia a un concorso, non finiscono qui. Perché Sanremo è Sanremo, ma se fosse anche un’elezione politica?
Sanremo fa politica, e viceversa
Sanremo è televisione, è rito, è realtà. La politica – sia “arte del compromesso” o sia “sangue e merda” – non può esimersi dallo starne fuori. Ha iniziato con il Bella Ciao intonata da Amadeus e Mengoni in conferenza stampa pre-Festival, che ha subito scatenato reazioni piccate a destra, per cui il Festival sarebbe “politicizzato” e di “sinistra”. E potrebbe proseguire con le istanze degli agricoltori in protesta. Meloni a Palazzo Chigi sta nicchiando, cercando di lasciare la patata bollente all’Unione europea. Allora una risposta potrebbe arrivare dal palco dell’Ariston, per una settimana vera e propria Quarta Carica dello Stato. Mentre a Roma si discute, Sanremo viene assediata dai trattori. Amadeus si farà portavoce delle rivendicazioni degli agricoltori? Mamma Rai accoglierà i suoi figli dalle campagne? E i cantanti…dopo Albano, qualcuno sarà solidale da quel palco sul quale Toto Cutugno cantava “Voglio andare a vivere in campagna”?
Per il momento, zero esposizioni da parte dei concorrenti. Oltre a Ghali, che in Casa mia parla d’integrazione, l’unico a prendere posizione è Dargen D’Amico, che alla fine della sua Onda alta ha invocato il “cessate il fuoco” su Gaza. Se le altre canzoni in gara poco hanno a che fare con la politica, a rimediare ci pensano i partiti. Sfidatisi a colpi di inni e sit-in di fronte alla sede della Rai. Infatti la protesta del Pd contro “TeleMeloni”, ossia la strumentalizzazione della tv di Stato da parte del governo, è finita sulle note di Bella Ciao. Mentre il contro sit-in del sindacato di destra UniRai ha cantato a gran voce Fratelli d’Italia.
Il Festival nazional popolare
Scommesse e processi, giovani e vecchi, conservatori e progressisti. Sanremo è tutta questione di demoscopica. Non è populismo, è nazional popolare. In questo grande Zibaldone Rai le canzoni sono diventate quasi un pretesto per poter spaziare in ogni ambito della società. Così il fenomeno Sanremo mira al suo pubblico. Anzi ai suoi pubblici, diversi e distanti tra loro. Con la sua capacità – a tratti estrema – di mescolare alto e basso, tradizione e innovazione. Cercando di accontentare tutti, a costo di rispolverare – e ridicolizzare – vecchie icone. Ogni riferimento al ballo del Qua Qua di Travolta è puramente casuale.
Scivoloni a parte, lo share da record di questa 74esima edizione conferma, ancora una volta, il successo del rito Sanremo. Che vede – differentemente dal flusso dei voti alle elezioni politiche – concentrata al Sud la fanbase più attiva. Come dimostra la rimonta del cantante Geolier, volato al primo posto della classifica provvisoria grazie all’apertura del televoto. Il rapper di Secondigliano è ben posizionato anche nelle quote di scommessa. Al terzo posto dietro ad Annalisa e Angelina Mango. Su piattaforme di scommesse impazzano i pronostici e le quotazioni su chi si aggiudicherà la vittoria del Festival. Per non parlare poi del Fanta-Sanremo che con le sue cifre da record fa impallidire tutti gli studiosi dei fenomeni di massa. Due delle pratiche più italiane che il mondo conosca.
E se Sanremo fosse un’elezione?
Il Festival catalizza gli italiani quasi quanto una finale di Champions. Con Sanremo pieno e urne vuote, è evidente che il dibattito pubblico sul probabile cantante vincitore tiene più banco di quello sulle scadenze elettorali. Il Festival infatti è un grande acquario di demoscopica, grazie alla sua miscela di vecchia Italia nazional-popolare con quella moderna, fluida, multietnica. E diventa indicatore caleidoscopico dello stato politico dell’italianità. Per vincere le elezioni – ma anche il Festival – serve il voto over 60. I giovani si astengono dal voto, ma non a Sanremo: attivissimi tra televoto e scommesse. Tra giovani e vecchi, il pubblico di Sanremo non sbaglia mai. L’edizione dell’anno scorso, politicamente schierata a sinistra, ha visto vincere Mengoni tra il bacio di Fedez a Rosa Chemical e rivendicazioni di genere. Chissà chi si aggiudicherà questo Sanremo della destra. Vinceranno i paladini dei nostalgici e conservatori o ci sarà un ribaltone che premierà i progressisti? Comunque vada, forse la politica dovrebbe imparare da Sanremo a fare politica quotidiana. Sanremo è Sanremo, e se la politica nostrana ne approfittasse per farci votare nei giorni del Festival?