Perché questo articolo potrebbe interessarti? Lo yen continua a perdere terreno rispetto al dollaro. Siamo di fronte al segnale di una imminente crisi economico-finanziaria?
La prossima crisi finanziaria mondiale partirà dall’Asia? Non mancano segnali preoccupanti all’interno del continente. A partire dal continuo deprezzamento dello yen in Giappone.
La valuta nipponica sta flirtando con la soglia psicologica di 150 per dollaro, record minimo dell’ultimo trentennio. Per la prima volta da novembre lo yen si è indebolito oltre la suddetta linea rossa, provocando una forte reazione da parte di Tokyo. Già, perché l’inflazione negli Usa, più calda del previsto, ha per adesso spento le scommesse su un taglio anticipato dei tassi di interesse statunitensi.
La situazione è senza ombra di dubbio da monitorare, ma potrebbe non essere il segnale di un imminente terremoto. “Non ci trovo niente di strano. È da tanto che è in corso questa tendenza. Lo yen perde perché il Giappone mantiene i tassi negativi. Vedrà che appena il governo giapponese finirà la politica dei tassi negativi, optando per tassi positivi, lo yen riprenderà alla grande. Non siamo di fronte all’inizio di una qualche crisi”, ha spiegato a True-news.it Alberto Forchielli, imprenditore, grande conoscitore dell’Oriente e studioso di economia internazionale.
Yen sempre più debole contro il dollaro: l’inizio di una crisi?
I media giapponesi scrivono che la continua forza dei prezzi statunitensi ha alimentato la speculazione secondo cui la Federal Reserve avrà bisogno di mantenere i tassi di interesse ai massimi degli ultimi due decenni per molti altri mesi.
La mossa valutaria di Washington ha innescato una raffica di avvertimenti verbali da parte dei più alti funzionari valutari di Tokyo. “Alcuni dei recenti rapidi movimenti sono in linea con i fondamentali, ma alcuni sono chiaramente speculativi. Penso che questi ultimi non siano desiderabili”, ha ad esempio tuonato il vice ministro delle finanze per gli affari internazionali, Masato Kanda.
“La valuta giapponese debole non è l’innesco di una crisi. È giusto preoccuparsi ma, ripeto, lo yen perde perché il Giappone mantiene i tassi negativi. Il differenziale di tassi fa sì che per lucrare i giapponesi spostino qualcosa dove i tassi sono più alti. I giapponesi non pagano gli interessi sul debito pubblico, i soldi si spostano e lo yen si indebolisce. Chiaramente, se uno non paga interessi sul proprio debito i soldi scappano”, ha spiegato ancora lo stesso Forchielli.
Il rendimento del debito giapponese a 10 anni è intanto salito allo 0,76%, il livello più alto da metà dicembre, suggerendo che gli investitori ritengano plausibile una mossa anticipata da parte della Banca del Giappone per alzare i tassi di interesse.
Lo yen, che lo scorso martedì è sceso fino a 150,89 per dollaro, è insomma sottoposto a molteplici pressioni. In un simile scenario, il vice governatore della Banca del Giappone, Shinichi Uchida, ha dichiarato che è difficile vedere la banca aumentare il suo tasso di riferimento in modo continuo e rapido. La valuta giapponese è già crollata di oltre il 23% negli ultimi due anni, più di qualsiasi altra valuta rilevante.
Cosa succede in Asia
Calcolatrice alla mano, nel 2024 lo yen è crollato di oltre il 6% rispetto al dollaro, risultando il più grande perdente tra le valute del G10. È sceso del 3,5% rispetto all’euro, registrando anche la peggiore performance tra i Paesi sviluppati.
Ricordiamo che le autorità giapponesi sono “entrate” nel mercato dei cambi a settembre e ottobre del 2022, nei loro primi sforzi per sostenere la valuta dal 1998, spendendo circa 60 miliardi di dollari.
In ogni caso, a detta di Forchielli più che sul Giappone i riflettori dovrebbero essere puntati sulla Cina. “Solo la Cina in Asia da attenzionare. Lo yuan sta male, è molto basso, perché i tassi cinesi sono bassi. Oltre la Muraglia c’è un desiderio di esportare a tutti i costi, unito ad una grossa fuga di capitali, e questo comprime lo yuan. L’economia cinese, per intenderci, è più in crisi di quella giapponese. Non c’è dubbio”, ha sottolineato Forchielli.
E nel resto dell’Asia, dove figurano diversi Paesi emergenti indebitati in dollari, cosa sta succedendo? Come sta reagendo il resto del continente alle mosse valutarie degli Usa?
“Le mosse Usa vanno verso un abbassamento dei tassi, per cui ci dovrebbe esserci sollievo nei mesi a venire per i Paesi emergenti. Direi che la tempesta è passata. Il peggio c’è stato col tasso molto alto sul dollaro. I Paesi emergenti sono indebitati in dollari, e quindi l’onere del debito si è fatto molto ripido. Però la situazione dovrebbe gradualmente migliorare, mano a mano che in Usa abbassano i tassi, tra marzo e luglio”, ha concluso Forchielli. I mercati trattengono il fiato mentre gli investitori incrociano le dita.