Al voto regionale in Galizia, una delle regioni più interessanti sul fronte politico e sociale di Spagna, il Partito Popolare si è confermato nella giornata di domenica prima formazione, col 47,35% dei voti e 40 seggi su 75 che garantiranno al governatore uscente Alfonso Rueda un nuovo mandato. Secondo il Blocco Nazionale Gallego col 23,78%, espressione dell’identitarismo locale, e solo terzo col 14% il Partito Socialista di Pedro Sanchez che governa a Madrid. La predominanza conservatrice in una regione tanto peculiare permette di prendere le elezioni come “gancio” per parlare di una terra senza tempo, profondamente duale.
La Galizia, cuore di Spagna
La Galizia è l’altro volto del non plus ultra della Penisola iberica che incontra l’Oceano Atlantico oltre a Gibilterra e alle Colonne d’Ercole. La terra dei verdi boschi, dal clima mite e dalle coste rocciose è il lembo di estremo Nord-Ovest della Spagna. Terra sospesa per vocazione geografica. E terra sospesa anche per storia e identità. Provincia anticamente popolata da tribù celtiche, ostile alla romanizzazione, indomita di fronte a invasioni barbariche e penetrazione araba, nei giorni nostri questa regione poco più grande della Sicilia e con una popolazione di poco più di 2,5 milioni di abitanti è diventata terra di un doppio dualismo.
Quello della Galizia è l’autonomismo meno noto di Spagna dopo quelli celebri di Paesi Baschi e Catalogna. I gallegos sono gente fiera delle proprie tradizioni: da una lingua con antiche sonorità galliche, simili a quelle della Normandia e delle nostre valli montane, a una cucina e costumi tipici che richiamano a una tradizione di popolo fatto di pescatori e pastori.
La pluralità sociale e politica della Galizia
Per molti la Galizia è Santiago di Compostela, sua capitale, col celeberrimo cammino che da trent’anni ne ha rivitalizzato l’economia. Qualche esperto culinario ricorda il pulpo gallego, pregiata variante culinaria con cui preparare il nobile cefalopode. I tifosi calcistici – e chi scrive da milanista in particolare – ricorderanno il Deportivo La Coruna, portabandiera del calcio locale con buona fortuna nei primi Anni Duemila. E non solo. “La Coruna” è il nome spagnolo della città di rappresentanza del Depor. “A Coruna” quello locale, gallego. Una sola consonante può fare la differenza. I simboli contano. E per i galiziani i simboli valgono molto.
Lo sa bene il Partito Popolare spagnolo che dal voto in Galizia sperava di veder emergere la prima riscossa elettorale dopo la nascita del nuovo governo di Pedro Sanchez. Alberto Nunez Feijoo ha lasciato la guida della Galizia per prendere le redini del centrodestra spagnolo. Ha “non vinto” le elezioni: primo, ma incapacitato a formare un governo. Il suo delfino, Rueda, riconquista la poltrona del governo regionale consentendo alla formazione nata dalla galassia conservatrice e post-franchista di rilanciarsi. La storia del Partito Popolare si intreccia a quella della Galizia. E la storia politica di questo territorio è, parimenti, espressione della sua dualità e della dualità spagnola.
Dualismi sociali, religiosi, culturali
La Galizia è la roccaforte della Spagna cattolica e conservatrice. La via che porta a Santiago da tempo ne ha fatto il cuore pulsante delle processioni di fedeli da tutta Europa. Chiese e pievi costellano le sue foreste, anche in luoghi remoti. Al contempo, l’isolamento geografico da buona parte del Paese ha preservato una forte autonomia di pensiero e tradizioni. Saldatasi poi all’identità operaia e di classe tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. L’autonomismo galiziano che porterà in seguito alla strutturazione dell’attuale Bng nasce in quella fase e, sulla scia degli autonomismi di regioni come i Paesi Baschi e l’Irlanda del Nord, è al contempo nazionalista e di sinistra.
Franco e Castro, figli della Galizia
La regione conservatrice e reazionaria, spagnola prima che galiziana, da un lato. La provincia autonoma identitaria, galiziana prima che spagnola, dall’altro. Una dualità irriducibile ma che è durata. Non è un caso, forse, che di sangue galiziano fossero sia Francisco Franco che Fidel Castro. Il caudillo di Spagna nacque a Ferrol nel 1892. Angel Castro, padre del Jefe cubano, era un agricoltore della Galizia profonda che a fine Ottocento prese le vie dell’America. La “rivoluzione” di estrema destra, ovvero l’insurrezione spagnola guidata da Franco nel 1936, da un lato; quella di estrema sinistra, l’ascesa di Castro a Cuba nel 1959, dall’altra.
La dualità gallega è questo, e non solo. Franco fu il leader della dittatura nazionalista che per la prima volta nella storia vide un figlio della Galizia al potere a Madrid. Ma fu anche il più grande repressore dell’identità locale: durante il regime la lingua galiziana fu abolita, 4.200 persone sono state uccise in via extragiudiziale o al termine di processi sommari, tra cui repubblicani, comunisti, nazionalisti galiziani, socialisti e anarchici.
La complessa figura di Manuel Fraga
Le vittime includevano i governatori civili di tutte e quattro le province della Galizia, militari, sindaci ribelli e intellettuali. Ma tutto questo non impedisce ai galiziani di conservare un ricordo ambivalente del franchismo. Restano, nei cimiteri, monumenti ai caduti della guerra civile in campo franchista in cui l’insurrezione del 1936-1939 è ricordata come Sagrada Cruzada (“Santa Crociata”). E la figura che più si ritrova camminando sulla rotta di Santiago nella Galizia rurale è quella di Manuel Fraga Iribarne. Ex ministro della Propaganda di Franco (1962-1969), l’accademico nato nel 1922 e morto nel 2012 fu al contempo volto pubblico del regime e portavoce delle istanze della Galizia. Fu Fraga a spingere durante il governo spagnolo di Franco per la re-industrializzazione della Galizia: i tecnici e gli economisti legati all’Opus Dei che gravitavano attorno a Franco scelsero Vigo, in Galizia, per impiantare le fabbriche di auto della Renault prima e della Seat poi che diedero nuova linfa all’economia locale.
A Villalba, cittadina nativa di Fraga, sfidando ogni possibile forma di politicamente corretto il busto dell’ex governatore, accusato durante il regime franchista di aver ordinato esecuzioni sommarie e repressioni, campeggia nella via centrale della città. A marcarlo stretto, alle sue spalle, una panchina arcobaleno simbolo dei diritti Lgbt. La Galizia non è nostalgica dell’era del regime. Ma con Fraga ha, inevitabilmente, intrecciato la sua storia recente.
Lo strano mix di sviluppismo tecnocratico e neo-operaismo consentì a Fraga una carriera politica da padrone della Galizia dopo la fine della dittatura. Nel 1990 divenne il primo governatore di regione dell’attuale Partito Popolare, guidando la Galizia per quindici anni. E da lì in avanti la Galizia è stata sempre una roccaforte popolare. Non meno autonomista, non meno identitaria, non priva di spinte rivendicative, ma sempre in mano ai conservatori. La profonda dualità di un Paese come la Spagna si riflette nella sua provincia più remoto. A perenne memoria dell’immanente fragilità di una nazione in cerca di sé stessa e del suo centro da quando ha cessato di essere impero.