Nelle scorse settimane più volte il ministro della Difesa Guido Crosetto ha posto l’accento sulle fragilità operative dell’Esercito italiano e delle forze armate in generale. Crosetto ha sottolineato la necessità di creare una platea di riservisti per le forze armate, la potenziale minaccia della guerra ibrida portata attraverso strumenti non cinetici (dall’interdizione commerciale del Mar Rosso alla propaganda russa) e i ritardi programmatici dell’apparato militare italiano.
Di recente, citato dal Corriere della Sera, Crosetto ha detto che le forze armate sarebbero state progettate, in passato, come se il nostro Paese non dovesse più combattere una guerra su media o larga scala in futuro. Ciò in parte è vero, anche se a ben guardare le forze armate posseggono picchi di eccellenza. Si pensi ad esempio al ruolo avuto dalla Marina Militare nello sviluppo della proiezione militare italiana, degli ingenti investimenti e della capacità operativa che l’arma marittima ha dimostrato dalle missioni antipirateria a quelle Nato di addestramento. Parimenti, l’Aeronautica Militare sta vedendo una crescente quota di investimenti destinati dal programma F-35 a cui si aggiunge il Future Combat Air System (Fcas) di sesta generazione in via di sviluppo con Regno Unito e Svezia.
Munizioni e capacità operativa: l’Italia non può sostenere una guerra?
Le criticità riguardano principalmente i buchi dell’Esercito Italiano e l’assenza di una sistemica dottrina italiana di utilizzo delle varie armi in termini di cooperazione interforze. Nei corridoi della Difesa queste cose, però, sono note da tempo. E nel biennio in cui, dall’Ucraina a Gaza, dal Niger al Nagorno-Karabakh, guerre, golpe e crisi geopolitiche hanno fatto deragliare l’ordine globale i militari italiani lo hanno più volte ricordato.
L’Esercito rimane la componente necessitante maggiori investimenti. Nel luglio scorso, in particolare, il segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Portolano, in audizione in commissione Esteri e Difesa del Senato sulla legge a sostegno della produzione di munizioni promossa dall’Unione Europea ha dichiarato che i problemi di munizionamento sono comuni alle forze armate europee.
Portolano anticipò allora quel che Crosetto ha ribadito. Nel suo intervento ha specificato che “con la fine della Guerra Fredda ha avuto inizio una fase storica contraddistinta dall’illusione che non avremmo più assistito a conflitti di natura territoriale su larga scala”. Questo “ha comportato un adattamento – al ribasso – di alcune capacità militari, con particolare riferimento a quelle terrestri, con conseguente, generalizzata notevole riduzione della componente corazzata e delle scorte, incluse quelle di munizionamento”.
Il riarmo dell’Esercito per una guerra convenzionale
Portolano centrava il punto. Il nodo delle scorte è esiziale per l’attiva capacità delle forze armate di operare. E i ben informati della Difesa aggiungono a ciò un dato di fatto fondamentale: la necessità per l’Esercito Italiano di potenziare le sue capacità in termini di armamento corazzato, con l’acquisizione di un carro armato (Main Battle Tank) all’avanguardia, di mezzi d’artiglieria e di strumenti per la guerra anti-drone capaci di proteggere e espandere la proiezione dell’esercito in caso di operazioni terrestri contro forze convenzionali.
Per ovviare a questo, l’Italia ha deciso di riamare le forze terrestri. Da un lato, è stato concluso con l’industria della Difesa tedesca un accordo da 8,4 miliardi di euro per fornire l’Esercito Italiano di 132 carri armati Leopard 2A8, in parte destinati a essere costruiti con l’appoggio di Leonardo.
Dall’altro, ricorda l’Osservatorio Mil€x, si potenzierà anche la componente artiglieria: “l’Italia ha deciso di acquistare i lanciamissili a lunga gittata (150/300 Km) M142 HIMARS della Lockheed Martin a seguito del loro impiego sul fronte ucraino. Si tratta di 21 piattaforme per l’Esercito montate su camion che affiancheranno altrettante piattaforme analoghe già operative (M270 MLRS in fase di ammodernamento allo standard M270A2) montate su cingolati e quindi meno mobili”. L’investimento in questo caso sarà di un miliardo di euro.
Una nuova dottrina militare
L’obiettivo di consolidare l’operatività dell’esercito impone, al contempo, una riflessione sulle prospettive strategiche dello strumento militare. Le forze armate di domani dovrebbero operare per prevenzione delle minacce tradizionali e ibride e aumento della proiezione di potenza del Paese. Capace di fungere, a sua volta, da deterrente per iniziative ostili contro il Paese. Casi come quello della partecipazione italiana alla Missione Aspides nel Mar Rosso e quello dell’accordo di sicurezza siglato con l’Ucraina insegnano che la sicurezza nazionale spesso va difesa lontana dai confini del territorio metropolitano.
Si vis pacem para bellum vale anche oggi. In un mondo inquieto, l’Italia si deve rendere conto che la storia è tornata. E passo passo le forze armate si ammodernano. Anche se ci vorrà tempo: è almeno di un decennio il tempo atteso perché i piani di riarmo prendano piede. Nel frattempo, l’obiettivo è portare al 2% la spesa militare in rapporto al Pil. Obiettivo orientato ai termini Nato, su cui Roma punta anche se ad oggi la quota principale della spesa militare è assorbita dal personale. Servirà investire in mezzi, logistica e strutture per spendere meglio, oltre che di più, in un contesto globale ove la sicurezza non è più, purtroppo, un dato di fatto acquisito.