Perché leggere questo articolo? Si parla molto di equità di genere sul mercato del lavoro, ma la strada da percorrere è ancora lunga: a quanto ammonta il gender pay gap medio in Italia? In parole più concrete, qual è la differenza di stipendio tra uomini e donne?
Piena parità di genere? In base all’attuale ritmo di progresso mancano ancora 131 anni, come stimato dal Global gender gap report 2023, pubblicato dal World economic forum. In particolare, ci vorranno 162 anni per colmare il divario nell’emancipazione politica, 169 anni per il divario nelle opportunità economiche, 16 anni per il divario di genere nel livello di istruzione.
Gender pay gap: il confronto
Insomma, la strada è ancora lunga, anche in Italia. Basta guardare il gender pay gap medio, che nel 2023 è stato pari al 10,7% (nel 2022 era al 10%), dopo una riduzione ormai lontana registrata fra il 2017 e il 2019, come rilevato da ODM Consulting, società di consulenza HR di Gi Group Holding, nell’aggiornamento della sua indagine periodica sull’evoluzione delle retribuzioni in Italia relativa al mese di settembre 2023.
In termini di RBA, ovvero di retribuzione fissa annua lorda, la differenza degli stipendi delle donne rispetto a quelli dei colleghi in Italia varia da circa 3.000 euro a oltre 16.000 euro in meno, a seconda dell’inquadramento. Il divario percentuale più ampio, pari al 12,9%, si riscontra tra i dirigenti, quello più basso tra i quadri (5,9%).
Resta il soffitto di cristallo
“Questi dati diventano ancor più significativi se letti congiuntamente a quelli sull’occupazione femminile”, commenta Miriam Quarti, responsabile dell’area Reward&Engagement di ODM Consulting. Secondo Eurostat, infatti, nel 2023 in Italia il tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni è stato del 51,1%, sotto la media europea del 64.9%. Sopra la media UE del 30%, invece, il tasso di inattività femminile, per l’Italia pari al 43,6%. Vanno poi considerati i dati INPS sul lavoro dipendente: “I lavoratori a tempo determinato e indeterminato sono per il 71% uomini e solo il 29% donne. Divario che si amplia per i dirigenti (solo 21% di donne) ed è invece lievemente inferiore per quadri e impiegati, confermando quindi non solo una maggiore difficoltà di ingresso delle donne nel mondo del lavoro, ma anche la persistenza del soffitto di cristallo”.
La tematica di genere, secondo ODM Consulting, è nella top 3 delle tipologie di diversità su cui si sta maggiormente intervenendo, insieme a età e disabilità.Tuttavia, solo il 20% delle aziende agisce già in modo strutturato e si tratta per lo più di grandi realtà. Circa il 59% è in una fase di valutazione o progettazione iniziale delle politiche DE&I, – Diversity, Inclusion & Equity, mentre quasi il 21% dichiara di non occuparsene. “A spingere le aziende ad occuparsi delle diversità e della loro gestione e inclusione è soprattutto la volontà di promuovere un’immagine aziendale positiva sul mercato, ma anche l’esigenza di adeguarsi a normative e obblighi di legge rappresenta una leva importante, seguita dalla volontà di attuare ilproprio impegno verso il lavoro Sostenibile, per essere tale, deve essere anche inclusivo”.
La direttiva UE su Trasparenza e parità salariale
L’equità retributiva è uno degli obiettivi che si pone la Direttiva Europea 2023/970 su Trasparenza e parità salariale, volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra persone – in particolare, tra uomini e donne – per uno stesso lavoro, o per un lavoro di pari valore. La sua applicazione comporterà per le aziende obblighi di trasparenza sulle retribuzioni e sulle modalità di determinazione delle stesse sia verso i candidati, sia internamente. “Le direzioni HR devono preoccuparsi non solo di introdurre strumenti, policy e reportistiche, ma devono anche impegnarsi nel creare una cultura della trasparenza e un rapporto di fiducia con le persone – continua Quarti -. Per fare in modo che la direttiva possa creare un buon clima e non crei conflitto o confusione, sarà importante generare fiducia nel processo di accompagnamento ad una maggiore chiarezza e consapevolezza delle informazioni a cui i lavoratori potranno accedere”.
Non solo gender pay gap
L’ampio divario tra uomini e donne nel mondo del lavoro va oltre l’aspetto retributivo e occupazionale, ma riguarda l’accesso alle opportunità di carriera. Il dato sulla rappresentanza femminile nella leadership conferma che per ora la parità è più numerica che sostanziale: all’interno dei CdA la presenza di donne è cresciuta arrivando al 43%, ma meno del 5% di queste ricopre ruoli esecutivi e solo il 2% la carica di Amministratrice Delegata.
Dopo la legge Golfo Mosca, che ha portato ad un aumento della presenza femminile all’interno dei Consigli d’Amministrazione, un’ulteriore spinta viene data dalla Certificazione della Parità di Genere (UNI/PdR 125:2022), ossia un’attestazione a valore nazionale di validità triennale che le imprese possono richiedere su base volontaria e che viene loro riconosciuta a condizione che dimostrino di aver fatto proprio il paradigma della Parità di Genere nella loro cultura, strategia e piani di azione al fine di ridurre al proprio interno le disuguaglianze uomo-donna.
“Il 26% delle aziende intervistate dichiara di avere la Certificazione sulla Parità di Genere, mentre il 54% se ne sta interessando, seguendo diversi approcci – conclude Miriam Quarti -: si va da quello più tattico, che si concretizza attraverso interventi di base che mirano ad ottenere vantaggi di natura economica, a quello più strategico, realizzato attraverso un processo di cambiamento culturale e organizzativo, che si concretizza in policy di gestione e interventi integrati fra loro in ottica ED&I”.