Israele alza l’asticella dei raid contro l’Iran. L’offensiva di lunedì 1 aprile contro la capitale siriana Damasco ha portato per la prima volta l’Israel Defense Force a colpire la legazione diplomatica di Teheran nel Paese limitrofo, alleato dell’Iran, dei miliziani libanesi di Hezbollah e della Russia dai tempi in cui, in coalizione, contribuirono a contenere l’assedio a Bashar al-Assad nella guerra civile dal 2015 in avanti.
Una mossa ad altissimo rischio quella di Israele, che ha portato all’uccisione di sette persone, tra cui l’alto ufficiale dei Guardiani della rivoluzione Mohammad Reza Zahedi. L’ennesimo raid contro le forze iraniane e i loro alleati portato avanti in parallelo alla lunga, estenuante e violenta campagna di Gaza, mostra la spinta del governo di Benjamin Netanyahu ad alzare il livello del confronto con i rivali regionali.
Le scelte difficili di Israele
Quasi come se la campagna contro Hamas rappresentasse il “via libera” a regolare altri conti nell’area, Israele ha deciso di colpire in almeno quattro direzioni differenti: in primis, ovviamente, a Gaza. In secondo luogo, con raid contro le postazioni di Hezbollah nel Sud del Libano; parallelamente, contro le milizie filo-iraniane schierate in Siria. Last but not least, con gli attacchi, condotti nel silenzio e senza rivendicazione, contro le stesse forze iraniane.
Qual è l’obiettivo di Tel Aviv? Fulvio Scaglione su InsideOver ha ricordato che Netanyahu mirava a scaricare all’esterno la tensione militare e politica che corrode il suo governo di destra, usando lo spauracchio dell’Iran presentato come grande manovratore di Hamas. Questo nonostante “gli stessi servizi segreti Usa, a suo tempo auditi al Senato, hanno escluso quanto tutti erano inclini a pensare, ovvero che ci fosse la mano dell’Iran dietro la strage organizzata da Hamas il 7 ottobre dell’anno scorso. E non sono certo le forze iraniane presenti in Siria, pur con tutta la loro ostilità a Israele, a influire sulle operazioni in corso a Gaza.”
Per Giacomo Gabellini, analista geopolitico e autore di Israele – Geopolitica di una piccola, grande potenza, il quadro è convergente. Parlando con True-News Gabellini ricorda innanzitutto che a suo avviso “l’attacco israeliano contro l’ufficio diplomatico iraniano in Siria, culminato con l’uccisione di sette funzionari tra personale militare e diplomatico, rappresenta un’oggettiva escalation“.
Gabellini: “L’Iran dovrà reagire”
Grave in particolare, per Gabellini, la scelta del target: “Molto raramente prima d’ora sono state prese di mira le sedi delle rappresentanze diplomatiche”. Questo crea una dinamica in cui a suo avviso, “l’Iran dovrà giocoforza reagire, sia in chiave di deterrenza sia per blindare la propria posizione interna e internazionale. Il governo Netanyahu ne è perfettamente consapevole, è questo suggerisce che intenzione della classe dirigente israeliana sia creare le condizioni per un allargamento del conflitto” a Gaza, ove Israele è in affanno alla ricerca di una vittoria militare.
L’obiettivo di fondo, per Gabellini, è creare una situazione “che costringa gli Stati Uniti a intervenire, nonostante le recenti prese di posizione di Washington vocalmente critiche nei confronti di Israele”. Uno scenario preoccupante. Che apre alla prospettiva che Netanyahu possa giocar una corsa all’escalation, vera o presunta, per spingere gli Usa a fiancheggiarlo. Resta il dubbio se Israele possa sostenere la guerra sul terreno da un lato e le sue “guerre ombra” dall’altro contro l’Iran e i suoi alleati. Specie se le risposte di Teheran contribuiranno ad alzare ulteriormente il clima caldo nel quadrante mediorientale.